CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14055
Tributi – Iva – Recupero credito – Controllo automatizzato operato dall’Ufficio ex art. 36 bis del DPR n.600/73 e dell’art. 54 bis del DPR n. 633 del 1972 – Contestazione – Preventiva notifica di avviso di accertamento – Condizioni
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 359/23/2014, depositata in data 13 febbraio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia, previa riunione, accoglieva gli appelli proposti dalla Società Cooperativa Edilizia S.G. nei confronti della Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 84/2/09 della Commissione tributaria provinciale di Brindisi la quale aveva rigettato i ricorsi proposti dalla contribuente avverso due cartelle di pagamento, emesse per il recupero del credito Iva per gli anni di imposta 2004 e 2006, a seguito del controllo automatizzato operato dall’Ufficio ex art. 36 bis del DPR n.600/73 e dell’art. 54 bis del DPR n. 633 del 1972.
La CTR riteneva illegittimo l’utilizzo dello strumento della liquidazione d’imposta mediante controllo formale della dichiarazione dei redditi ex art. 36 bis DPR n.600/73 dovendo, nella specie, l’amministrazione procedere alla preventiva notifica di un avviso di accertamento, atteso che il recupero dell’imposta trovava la sua causa legittimante nel disconoscimento di un credito di imposta.
Avverso la sentenza del giudice di appello l’Agenzia delle Entrate ha proposte ricorso per cassazione affidando il suo mezzo a un motivo.
La contribuente resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Equitalia ETR s.p.a. oggi Equitalia Sud s.p.a. non ha spiegato difese.
Ritenuto in diritto
1. Con il motivo l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 30, comma 2, 28, comma 3 e 4 e 54 bis, comma 2, lett. B DPR 633/72 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Deduce che erroneamente la CTR aveva ritenuto l’illegittimità dell’utilizzo della procedura automatizzata per il recupero di un tributo derivante dal disconoscimento del diritto di detrazione del credito Iva per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, la quale aveva comportato per la contribuente la perdita del diritto alla detrazione, salvo il diritto al rimborso.
La censura non è fondata anche se deve essere corretta la sentenza della CTR.
È pacifico in atti che la contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale IVA nel 2004 (anno di imposta 2003) portando il credito in detrazione nella successiva dichiarazione del 2005 e nel 2006 (anno di imposta 2005), portando il credito in detrazione nella successiva dichiarazione del 2007.
Le sezioni unite di questa Corte (con sentenza 8 settembre 2016, n. 17758) hanno stabilito che, in fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione annuale iva, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione di cartella di pagamento. Ben può, difatti, il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da mero raffronto con dati ed elementi, in possesso dell’anagrafe tributaria, ai sensi degli artt. 54-bis e 60 del d.P.R. n. 633/1972 (fatta salva, nel successivo giudizio d’impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione a cura del contribuente che la detrazione d’imposta, eseguita entro il suddetto termine biennale, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a Iva e finalizzati a operazioni imponibili) (Cass. 4392/2018).
La motivazione della sentenza nella parte in cui ha affermato la necessità della previa notifica dell’avviso di accertamento è, pertanto, erronea e deve essere corretta.
È errata, tuttavia, la conseguenza che ne trae la ricorrente.
Deve essere, infatti, rilevato, come affermato dalle Sezioni Unite con le sentenze dell’8 settembre 2016, n. 17757 e 17758, che il rapporto di natura tributaria con il fisco scaturisce da un’operazione lecita ed effettiva e gli obblighi che ne derivano (dichiarazione, registrazione ecc.) hanno solamente una funzione illustrativa dei relativi dati al fine di consentire all’Agenzia delle Entrate di poter verificare agevolmente gli stessi onde procedere alla riscossione delle imposte. Pertanto ciò che conta ai fini della detraibilità è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito.
Il percorso della giurisprudenza è andato nella direzione di dare rilevanza alla sostanza (l’esistenza del credito) piuttosto che alla forma (mancato invio del modello annuale Iva) e il giudice tributario dovrà riconoscere il credito Iva se il contribuente dimostra che sostanzialmente ha diritto alla detrazione.
L’omesso invio della dichiarazione Iva da cui emerge un credito, poi riportato nel modello dell’anno successivo, non comporta, quindi, la decadenza dal diritto di far valere tale credito purché lo stesso emerga dalle scritture contabili. Tale conclusione, discende dalla interpretazione dell’art.18 della Direttiva CE n. 77/388/CE, il quale subordina il diritto alla detrazione dell’Iva solamente al possesso della fattura, compilata secondo le disposizioni a essa applicabili. Tale soluzione garantisce il principio di neutralità dell’imposta in questione, quale principio fondamentale sul quale poggia l’intero impianto normativo dell’Iva. (cfr Cass. 16 ottobre 2012 n. 17754; Cass. 22 febbraio 2013 n. 4539).
La necessità di rispettare il citato principio di neutralità, infatti, deve essere garantito anche nel caso in cui il soggetto passivo non rispetti le formalità imposte da uno Stato membro, quale ad esempio la presentazione della dichiarazione annuale Iva. Questa Corte, con riferimento ai concetti espressi dalla Corte di Giustizia CE cause C-95/07 e C-96/07 del 8/5/2008, ha affermato che “ai sensi degli artt. 18, n. 1, lett. d) e 22 della sesta direttiva CE n. 77/388, come modificata dalla direttiva 2000/17 il principio della neutralità fiscale impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno stato membro, in applicazione delle disposizioni comunitarie succitate, non può privarlo del suo diritto alla detrazione, mediante l’annotazione a credito nella dichiarazione di imposta, ferma restando l’eventuale sanzione per l’inosservanza di tali obblighi” (cfr Corte Europea 12 maggio 2011, C – 107/10 e Cass. 22/05/2006, n. 12012; Cass. 06/08/2008, n. 21202; Cass. 20/3/2013 n. 6925) ed ha affermato il seguente principio di diritto “il credito Iva maturato nell’anno in cui la dichiarazione annuale risulta omessa può comunque essere computato in detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto, fermo restando il potere/dovere dell’amministrazione finanziaria di accertare l’esistenza del credito ai sensi dell’articolo 55 d.p.r. 633/1972” (Cass. 20120/2018).
Pertanto, in forza dei principi di diritto affermati da questa Corte, l’omessa presentazione della dichiarazione Iva non fa perdere il diritto alla detrazione del credito maturato nel corso del medesimo anno, nell’ipotesi in cui lo stesso credito venga ripreso ed indicato nella dichiarazione Iva dell’anno successivo.
Il diritto alla detrazione deve essere, infatti, esercitato entro la scadenza prevista per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972 non contrastante con la citata Direttiva.
Il presente giudizio, così come anche riconosciuto dalla stessa Agenzia, non ha per oggetto l’accertamento dell’esistenza del credito, bensì l’accertamento del diritto alla compensazione del credito vantato dalla società con i debiti tributari maturati nell’anno successivo a quello di maturazione del credito e, pertanto, deve essere riconosciuto il diritto del contribuente alla richiesta compensazione.
Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 2.900,00 oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
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