CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14058
Accertamento – Tributi – Attività d’impresa – Versamenti bancari non giustificati – Ricavi – Prova analitica del contribuente
Fatti di causa
Rilevato che la contribuente impugnava avvisi di accertamento per il recupero di IRPEF, IRAP e IVA per l’annualità 2010 in base ad accertamenti bancari dai quali erano emersi versamenti non giustificati per 353mila euro circa ed acquisti non contabilizzati per 161mila euro circa;
la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso; la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello della parte contribuente ritenendo che, in ragione delle presunzioni legali di cui agli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, i prelevamenti e i versamenti sui conti correnti bancari sono imputabili a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa e per vincere tali presunzioni è necessaria la produzione da parte del contribuente di una prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione ad operazioni estranee all’attività d’impresa, mentre nel caso di specie la contribuente non ha fornito alcuna prova specifica in ordine alle movimentazioni bancarie limitandosi a rappresentare la loro riferibilità a donativi dei genitori, senza produrre alcuna documentazione e ha invocato la deducibilità di costi relativi all’attività di procacciatrice di affari senza fornire alcuna specifica prova;
la parte contribuente proponeva ricorso affidato a due motivi di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.
Ragioni della decisione
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la parte contribuente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e 36 co. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione agli artt. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 in quanto la sentenza della CTR nel suo complesso conterrebbe una motivazione meramente apparente e illogica;
considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la parte contribuente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché dell’art. 2697 c.c. per aver fornito la prova analitica dell’estraneità all’attività d’impresa delle movimentazioni registrate sul proprio conto corrente;
considerato, quanto al primo motivo, che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);
considerato che, alla luce di suddetto principio, il motivo è infondato in quanto una motivazione coerente e plausibile è presente e consiste nell’aver affermato che i prelevamenti e i versamenti sui conti correnti bancari sono imputabili a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa e per vincere tali presunzioni è necessaria la produzione da parte del contribuente di una prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione ad operazioni estranee all’attività d’impresa, mentre nel caso di specie la contribuente non ha fornito alcuna prova specifica in ordine alle movimentazioni bancarie limitandosi a rappresentare la loro riferibilità a donativi dei genitori, senza produrre alcuna documentazione e ha invocato la deducibilità di costi relativi all’attività di procacciatrice di affari senza fornire alcuna specifica prova;
considerato, quanto al secondo motivo, che esso è parimenti infondato in quanto, in tema d’imposte sui redditi, secondo questa Corte:
la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta l’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (Cass. n. 29572 del 2018);
il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili (Cass. 3 maggio 2018, n. 10480), dimostrazione che nel caso di specie non risulta avvenuta, senza che assuma alcuna rilevanza la sua qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore, dato che la presunzione legale relativa alla prima parte del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 (consistente nel fatto che i “dati” e gli “elementi” acquisiti attraverso le indagini bancarie possono essere posti a base degli accertamenti e rettifiche, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38-41, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55 per l’IVA, se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che essi non hanno rilevanza allo stesso fine), trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi in virtù della portata generale del disposto normativo (Cass. 2 luglio 2014, n. 15050);
la mera “prassi familiare” di erogazione di liberalità da parte dei genitori a favore dei figli costituisce un fatto solo probabile e, quindi, non integra un fatto notorio (nella specie, relativa ad accertamento IRPEF, la Cassazione ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto la gratuità della cessione di una quota di società da parte del padre alla figlia argomentando solo dal rapporto di parentela tra i titolari del rapporto: Cass. n. 14063 del 2014);
in tema di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa, dal momento che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. n. 21772 del 2019; n. 640 del 2019);
considerato che la CTR si è attenuta ai suddetti principi laddove ha ritenuto – trattandosi nel caso di specie di attività d’impresa – sussistente la presunzione secondo la quale sia i prelevamenti che i versamenti su conti correnti, sono soggetti ad imposizione fiscale, salva la dimostrazione da parte del contribuente che le operazioni bancarie siano già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti, non potendosi tale dimostrazione considerarsi effettuata – come correttamente sostenuto dalla CTR – in virtù della semplice allegazione da parte della contribuente della provenienza dei redditi da donazioni dei genitori;
considerato inoltre che il ricorrente, sostenendo di aver fornito la prova analitica dell’estraneità all’attività d’impresa delle movimentazioni registrate sul proprio conto corrente e riportando e proponendo una propria ricostruzione dei fatti, diversa da quella effettuata dalla CTR, mira ad una nuova valutazione delle prove che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., attività che è, invece inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità;
ritenuto pertanto infondati entrambi i motivi di impugnazione, il ricorso della parte contribuente va respinto; la condanna alle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 8.000, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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