CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14081
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Pagamento di differenze retributive – Prova della subordinazione
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 24 novembre 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto le domande proposte da S.S., unitamente ad altri due litisconsorti, nei confronti di G.C. volte all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal 1992 al 2002, quale manovale, con richiesta di condanna al pagamento di differenze retributive;
2. la Corte, anche dopo aver effettuato ulteriore istruttoria, ha condiviso le conclusioni del primo giudice circa il fatto che non fosse stata raggiunta “una prova sufficiente e tranquillizzante” che consentisse di poter ritenere , dimostrata l’esistenza del dedotto rapporto di subordinazione; ha inoltre osservato la Corte che, “per quanto riguarda un estratto conto previdenziale prodotto dal sig. S., … esso è stato prodotto tardivamente, come rilevato dal primo giudice, e quindi di esso non può tenersi conto”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.S. con unico articolato motivo, cui ha resistito G.C. con controricorso;
Considerato che
1. il motivo di ricorso denuncia: “violazione o falsa applicazione degli artt. 420, 421 e 437, comma 2, c.p.c., nonché dell’art. 2700 c.c. in relazione all’art. 54 della legge n. 88 del 1989, il tutto in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.”;
ci si duole che il giudice d’appello, recependo acriticamente quanto affermato dal primo giudice, avrebbe ritenuto tardivo “il deposito dell’estratto conto previdenziale dell’INPS del 13.3.2009” avvenuto nel corso del giudizio di primo grado, nonostante dallo stesso emergesse che il C. aveva versato in favore del S. contributi da lavoro dipendente dal 1998 al 2002; si deduce che l’estratto conto previdenziale era pervenuto a mezzo posta al S. solo nel marzo 2009, per cui era stato “tempestivamente prodotto, essendosi formato successivamente all’interruzione del rapporto di lavoro e all’introduzione del giudizio”; si invoca il valore certificativo del documento e la sua decisività, eccependo altresì che il Collegio, senza alcuna motivazione, aveva violato l’art. 437 c.p.c. per non avere acquisito, anche d’ufficio, un documento “indispensabile ai fini della decisione della causa”;
2. le censure proposte dal ricorrente sono fondate nei limiti segnati dalla motivazione che segue;
2.1. resta fermo il principio, sancito dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 8202 del 2005; tra le più recenti conf. v. Cass. n. 11994 del 2018 e Cass. n. 20055 del 2016), secondo cui, nel rito del lavoro, in base al combinato disposto degli artt. 416, terzo comma, c.p.c., 437, secondo comma, c.p.c., l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, a meno che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione; inoltre tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 437, secondo comma, c.p.c., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa;
quanto all’esercizio dei poteri officiosi nel rito del lavoro, con precedenti decisioni sempre nella composizione a Sezioni unite di questa Corte, si è sancito che, proprio in nome del contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verità materiale, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere- dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza del fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti (cfr. in termini: Cass. SS.UU. n. 761 del 2002); successivamente, ribadito che i poteri d’ufficio del giudice del lavoro possono essere esercitati pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, si è affermato, a composizione di un contrasto interno alla Sezione lavoro, che l’esercizio di essi, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., non è arbitrario né meramente discrezionale, ma si presenta come un potere-dovere, sicché il giudice del lavoro non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo l’obbligo – in ossequio al “giusto processo regolato dalla legge” – di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far – ricorso all’uso dei poteri istruttori ovvero di non farvi ricorso ed il relativo provvedimento può, così, essere sottoposto al sindacato di legittimità qualora non sia sorretto da una congrua e logica spiegazione nel disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione della causa (Cass. SS. UU. n. 11353 del 2004; più di recente v. Cass. 19305 del 2016; Cass. n. 28439 del 2019);
in punto di “indispensabilità” della prova nel giudizio di appello, sempre le Sezioni unite (sent. n. 10790 del 2017), sebbene con riferimento all’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (con formulazione analoga all’art. 437, comma 2, c.p.c.), hanno stabilito che “costituisce prova nuova indispensabile, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado“;
2.2. tanto premesso in diritto, ha errato la Corte territoriale nel limitarsi a motivare apoditticamente che l’estratto conto previdenziale del S. era stato “prodotto tardivamente, come rilevato dal primo giudice”, senza esplicitare né le ragioni per cui la produzione non fosse giustificata dal tempo della sua formazione successiva all’introduzione del giudizio in primo grado, né perché il documento non fosse valutabile in grado di appello a mente del comma 2 dell’art. 437 c.p.c., nonostante che la stessa Corte napoletana abbia riconosciuto, nella specie, la ricorrenza di “dubbi e … incertezze” che conducevano ad una mera insufficienza del quadro probatorio e senza considerare che l’estratto contributivo in questione documentava il versamento di contributi da “lavoro dipendente” negli anni dal 1998 al 2002 da parte del C. in favore del S.;
3. conclusivamente il ricorso deve essere accolto nei sensi espressi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà ai principi innanzi richiamati, provvedendo anche sulle spese;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.