CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2021, n. 19371
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Appello tardivo – Inammissibilità
Ritenuto che
1. La CTR dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, con sentenza n. 336/06/2017, depositata il 24/04/2017, confermava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, l’avviso di liquidazione relativo all’imposta di registro proporzionale del 3% applicato sul decreto ingiuntivo n. 215 del 2012 emesso dal Tribunale di Chieti a favore della contribuente che, in qualità di fideiussore, aveva chiesto la condanna del debitore principale e, per l’effetto, riformava la sentenza di primo grado.
La CTR rilevava l’autonomia in ambito tributario del contratto di fideiussione indicato nel decreto ingiuntivo, di talché la tassazione del contratto di garanzia non rimaneva attratta in quella IVA ex art. 40 del d.p.r. n. 131 del 1986.
2. Avverso tale sentenza la B.N.L. S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
3. L’Agenzia delle entrate non si è costituita.
4. Con ordinanza dell’11.1.2021 il Collegio ha rinviato a nuovo ruolo il presente procedimento disponendo l’acquisizione del fascicolo di merito.
Considerato che
1. Con il primo motivo, la B.N.L. S.p.a. deduce, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 38, 51, 53 e 62 del d.lgs. 546 del 1992 nonché dell’art. 327 c.p.c.
La ricorrente eccepisce che la CTR ha implicitamente rigettato l’eccezione di tardività dell’atto di appello benché fosse stato notificato il 15 maggio 2015 e, dunque, successivamente al decorso del termine semestrale previsto dagli art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 327 c.p.c., assumendo all’uopo rilievo la pubblicazione della sentenza di primo grado avvenuta il 14 novembre 2014. A conforto di quanto dedotto la ricorrente riporta l’interrogazione su sito delle Poste dal quale risultava la spedizione dell’atto di appello avvenuta il 15 maggio 2015, non avendo sul punto l’Agenzia delle entrate dedotto alcunché né offerto la prova della tempestività del gravame proposto.
2 Con il secondo motivo la B.N.L. S.p.a. lamenta la violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. e all’art 62 del d.lgs. n. 546 del 1992.
La contribuente afferma che la sentenza impugnata sarebbe nulla in quanto, in violazione di ius novorum in appello, ha accolto il gravame dell’Agenzia dell’entrate seppure con esso l’Ufficio ha riformulato la motivazione dell’avviso di liquidazione e il titolo stesso della pretesa impositiva. In proposito la contribuente osserva che l’atto impositivo sottoponeva a tassazione il decreto ingiuntivo con l’aliquota del 3% calcolata ai sensi dell’art. 8, lett b) della Tariffa Parte prima allegata al d.p.r. n. 131 del 1986 sull’importo ivi recato riconosciuto a favore del fideiussore e quale condanna del debitore principale, non ritenendo esistente alcuna operazione assoggettabile ad IVA. Diversamente, nell’atto di appello l’Ufficio mutava il titolo della propria pretesa sul rilievo che ad essere stata soggetta all’imposta di registro non era la condanna riportata nel decreto ingiuntivo (art. 8 cit), bensì l’enunciazione in tale atto della fideiussione che comportava l’applicazione dell’art. 22 del d.p.r. n. 131 del 1986; enunciazione che, comunque, avrebbe comportato l’applicazione dell’aliquota dello 0,50% e non del 3%.
3. Con il terzo motivo di ricorso, la contribuente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.
La B.N.L. S.p.a. rileva che, qualora non si ritenesse non fondato il motivo che precede, la sentenza della CTR sarebbe comunque nulla in quanto avrebbe accolto il gravame pronunciandosi su di una domanda diversa rispetto a quella formulata dall’appellante e cioè ritenendo assoggettabile ad imposta di registro l’enunciazione della fideiussione contenuta nel decreto ingiuntivo e non la relativa statuizione di condanna ex art. 8, comma 1 lett. b) della Tariffa Parte prima allegata al d.p.r. n. 131 del 1986.
4 4. Con il quarto motivo la contribuente lamenta, ex art 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 40 del d.p.r. n. 131 del 1986 e dell’art. 8 della Tariffa Parte prima allegata al medesimo d.p.r.
La ricorrente rileva che la CTR avrebbe violato le disposizioni enunciate in quanto avrebbe escluso che i decreti ingiuntivi recanti una condanna nei confronti del fideiussore al pagamento di somme soggette ad IVA vadano assoggettati ad imposta di registro in misura fissa.
5. Con il primo motivo di ricorso viene denunciato un error in procedendo, il cui vizio comporta che il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass. n. 20716 del 2018).
6. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Dagli atti del fascicolo di merito, acquisiti a seguito del disposto rinvio a nuovo ruolo del presente giudizio, risulta che l’appello dell’agenzia delle entrate venne proposto tardivamente.
In particolare, la contribuente nel lamentare l’intempestività dell’atto di appello proposto dall’Agenzia dell’entrate aveva prodotto la sentenza impugnata dinnanzi alla CTR da cui risultava il relativo deposito avvenuto il 14.11.2014, nonché accettazione avvenuta 15 maggio 2015 presso l’Ufficio postale del ricorso in appello proposto dall’Amministrazione finanziaria; circostanze, queste, che provano che tale ultimo adempimento è avvenuto il giorno successivo a quello (giovedì) di scadenza del termine semestrale previsto dall’art. 327 c.p.c. per come richiamato dall’art.38 d.lgs. n.546 del 1992.
In conclusione, già al momento della consegna del plico da parte dell’appellante alle poste risulta essere spirato il termine per impugnare la sentenza di primo grado.
Sul punto vale il principio fissato da questa Corte (Cass. n. 18551 del 10/08/2010 Rv. 614439 – 01) secondo cui «In tema di notificazione a mezzo posta, nella specie relativa ad appello dell’Agenzia delle Entrate avverso sentenza della Commissione tributaria provinciale, quando debba accertarsene il perfezionamento nei confronti del destinatario, la prova della tempestività esige che, nel termine di cui all’art.327 cod. proc. civ., vi sia stata la presentazione dell’atto all’ufficio postale; ne consegue la tardività dell’appello se la data del relativo atto risulti da un mero elenco di trasmissione recante la data, la dicitura ed il timbro della sola Agenzia delle Entrate, richiedente la notifica e non una ricevuta delle Poste che, quale terzo addetto a tale adempimento, deve a sua volta certificare in modo incontrovertibile di aver ricevuto l’atto in questione in quella data»; principio successivamente precisato da altro arresto giurisprudenziale (Cass. n. 14163 del 04/06/2018 (Rv. 648752 – 01) secondo cui «Nel processo tributario, la prova del perfezionamento della notifica a mezzo posta dell’atto di appello è validamente fornita dal notificante mediante la produzione dell’elenco delle raccomandate recante il timbro delle poste, poiché la veridicità dell’apposizione della data mediante lo stesso è presidiata dal reato di falso ideologico in atto pubblico, riferendosi all’attestazione di attività compiute da un pubblico agente nell’esercizio delle sue funzioni di ricezione, senza che assuma rilevanza la mancanza di sottoscrizione, che non fa venir meno la qualificazione di atto pubblico del detto timbro, stante la possibilità d’identificarne la provenienza e non essendo la stessa richiesta dalla legge “ad substantiam”».
In conclusione, nel caso di specie è emerso che la CTR ha omesso ogni esame in ordine alla tempestività del gravame; esame che avrebbe condotto i giudici di merito a dichiarare l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate.
6. All’accoglimento del primo motivo di ricorso consegue l’assorbimento degli altri e la cassazione della sentenza impugnata con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
7. In ragione dell’esito del giudizio parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di appello e di quelle del giudizio di legittimità che sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
– Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile l’appello dell’Agenzia delle entrate.
– condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese in favore della contribuente che liquida; quanto al giudizio di legittimità in euro 2.300,00 e euro 1.500,00 per il giudizio di appello per compensi professionali e euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
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