CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2022, n. 21530

Tributi – IRAP – Dottore commercialista – Silenzio diniego all’istanza di rimborso – Impugnazione – Sentenza di parziale accoglimento – Omessa determinazione in ordine al “quantum debeatur” – Legittimità – Ammontare facilmente determinabile

Fatti di causa

1. G.R., esercente l’attività di dottore commercialista, domandava il rimborso di quanto versato a titolo di Irap in relazione all’anno 2013, ritenendo di non dover essere assoggettato al tributo.

2. A seguito della formazione del silenzio diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria, proponeva impugnazione giurisdizionale dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna, la quale accoglieva parzialmente il ricorso proposto dal contribuente.

3. Avverso la decisione di primo grado, nella parte in cui era rimasto soccombente, spiegava appello il G. innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, che rigettava l’impugnativa.

4. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria. Il contribuente ha pure depositato memoria, confermando e ribadendo i propri argomenti.

Ragioni della decisione

1. Con il suo primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente contesta la nullità della sentenza in conseguenza della violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ. e degli artt. 1, 18, 35 e 36, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 111 Cost., per non avere la CTR pronunciato sul quantum del rimborso riconosciutogli.

2. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., degli artt. 1, 18, 35 e 36, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 111 Cost., per non avere la CTR pronunciato sul quantum del rimborso riconosciutogli.

3. Con il suo terzo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi, dell’art. 15 del D.Lgs. n. 546 del 1992, e degli artt. 91 e 92, comma 2, cod. proc. civ., nonché dell’art. 24 Cost., per avere la CTR condannato il soccombente al pagamento integrale delle spese del grado di giudizio, sebbene fosse risultato parzialmente vittorioso nella lite.

4. I primi due motivi di impugnazione propongono la medesima contestazione, in relazione ai profili della nullità della sentenza e della violazione di legge, sono connessi e possono essere trattati congiuntamente.

Il contribuente lamenta che il giudice dell’appello, pur confermando che una parte del rimborso Irap richiesto dovesse essergli riconosciuto, così come già il giudice di primo grado, non ha esattamente determinato l’ammontare delle somme che devono essergli corrisposte.

4.1. La CTR ha confermato la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto al rimborso dell’Irap in relazione alle attività di “A) amministratore; B) sindaco o revisore contabile; C) curatore fallimentare (o commissario) di procedure concorsuali”, osservando che “non si tratta di un contenuto indeterminato; il contenuto è perfettamente determinabile. Inoltre, è sufficiente un rinvio alla fatturazione del professionista, per distinguere le due categorie di attività, quelle imponibili e quelle non imponibili operazione che, peraltro, richiede una modestissima attività esecutiva ed un semplice calcolo aritmetico” (sent. CTR, p. 7 s.).

4.2. In proposito questa Corte di legittimità ha chiarito che “se l’attore ha chiesto la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro determinata o determinabile (c.d. condanna specifica) il giudice non può, in assenza dell’accordo delle parti o quanto meno della opposizione del convenuto alla relativa richiesta dell’attore, rinviare a separato giudizio la liquidazione della somma dovuta limitandosi alla condanna all'”an debeatur” (c.d. condanna generica), ma deve decidere anche in ordine al “quantum debeatur” accogliendo la domanda, ovvero respingendola in caso contrario, fermo restando che non può considerarsi generica la condanna al pagamento di una somma di denaro che, anche se non indicata nel suo preciso ammontare, sia facilmente determinabile con semplici operazioni di calcolo aritmetico sulla base degli elementi forniti dalla sentenza stessa”, Cass. sez. L, 18.2.2011, n. 4051 (conf. Cass. sez. L, 2.4.2002, n. 4653). Il ricorrente non indica specifiche difficoltà di calcolo, e l’Amministrazione finanziaria ha pure provveduto al conteggio del rimborso dovuto, depositato con finalità conciliativa nel corso del giudizio di primo grado.

4.3. Il contribuente non ha accettato la proposta conciliativa, ma neppure nel ricorso per cassazione propone specifici rilievi per contrastare il calcolo effettuato dall’Agenzia delle Entrate

Il primo ed il secondo motivo di impugnazione sono quindi infondati, e devono pertanto essere rigettati.

5. Mediante il terzo strumento d’impugnazione il contribuente lamenta l’errata attribuzione delle spese di lite per il secondo grado di giudizio.

Invero, la scelta della CTR di gravare delle spese di lite il solo contribuente risulta giustificata dalla sua totale soccombenza in grado di appello.

6. In definitiva il ricorso deve essere respinto.

6.1. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura della pronuncia emessa e del valore del giudizio. Risulta dovuto dal ricorrente anche il versamento del c.d. doppio contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto da G.R., che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle Entrate, e le liquida nella complessiva misura di € 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del cit. art. 13 comma 1 bis, se dovuto.