CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2022, n. 21615
Lavoro – Ispettore INPS – Mansioni superiori – Differenze retributive – Accertamento – Svolgimento della funzione di reggente – Esclusione
Rilevato che
1. la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 614/2015, confermava la decisione del Tribunale di Treviso che aveva respinto la domanda con la quale G.S. aveva chiesto che fosse accertato il suo diritto al superiore inquadramento dirigenziale (rispetto alla posseduta qualifica di ispettore generale) relativamente al periodo 1/7/1998 al 31/12/1999 e la condanna dell’INPS al pagamento delle differenze retributive connesse all’espletamento delle mansioni di ‘Dirigente o ‘Primo Dirigente in relazione all’attività svolta dapprima presso il reparto ‘prestazioni non pensionistichè e poi presso il reparto/area ‘pensionato-assicurato; il Tribunale aveva respinto la domanda evidenziando che nel periodo in questione al S. erano state assegnate funzioni vicarie del direttore, ma che il ruolo di direttore era stato ricoperto da altri dipendenti ed il ricorrente non aveva dimostrato che, nonostante la sua qualifica di vicario e la soggezione al potere gerarchico del direttore, avesse adottato provvedimenti.
La Corte territoriale riteneva infondata la pretesa del ricorrente anche escludendo che lo svolgimento dei compiti direttivi dal medesimo descritti integrasse l’espletamento di mansioni dirigenziali; richiamava la riorganizzazione della dirigenza eseguita con delibera dell’INPS n. 779/1998 ed il precedente di questa Corte di cui a Cass. n. 17841/2015 per concludere che gli uffici cui il S. era stato preposto non potevano considerarsi dirigenziali alla luce del nuovo assetto, irrilevanti essendo gli organigramma riferiti al precedente sistema; riteneva che le funzioni di responsabile del processo non fossero funzioni dirigenziali; ribadiva che le funzioni di dirigente della sede di Treviso erano state attribuite ad altri dipendenti, restando il S. responsabile di un settore con incarico corrispondente alla sua qualifica di ispettore generale, funzionario di livello più elevato che però non svolgeva, neppure secondo la sua stessa prospettazione, le tipiche funzioni dirigenziali; rilevava che anche le funzioni vicarie erano comunque proprie della posseduta qualifica di ispettore generale;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.S. sulla base di tre motivi;
3. l’INPS ha resistito con tempestivo controricorso;
4. il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1. cod. proc. civ.
Considerato che
1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2103, 2126 e 2129 cod. civ., 2, commi 1 – 3, d.lgs. n. 29/1993, 5 d.lgs. n. 29/1993, 56 d.lgs. n. 29/1993, 25 d.lgs. n. 80/1998, 15 d.lgs. n. 387/1998, 17 d.lgs. n. 29/1993 come sostituito prima dal d.lgs. n. 546/1993, art. 10 e quindi dal d.lgs. n. 80/1998, 19 d.lgs. n. 29/1993 nonché della deliberazione INPS n. 799/1998, dell’art. 11 delle preleggi; censura la sentenza impugnata per aver affermato che ogni tipo di accertamento dovesse essere effettuato in relazione alla deliberazione INPS n. 799 del 28 luglio 1998 ed evidenzia che ciò rappresenta una violazione dell’art. 11 delle preleggi e del principio di irretroattività delle norme, anche interne; assume che l’accertamento – quantomeno relativamente al periodo dal 01.07.1998 al 27 luglio 1998 -, doveva e deve essere effettuato sulla base della precedente normativa;
2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2103, 2126 e 2129 cod. civ., 17 d.lgs. n. 29/1993 tenuto conto della deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’INPS dell’8 aprile 1993, n. 7 approvata dai Ministeri competenti ai sensi della l. n. 88/1989, art. 1 nonché violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ.; censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha fondato il proprio convincimento sulla deliberazione n. 799 del 28.7.1998, in quanto tale deliberazione non è entrata immediatamente in vigore, ma è stata attuata successivamente; assume che la suddetta deliberazione n. 799 del 28.7.1998 aveva stabilito che i nuovi incarichi dirigenziali dovessero essere disciplinati da una successiva circolare che fu emanata in data 11.1.2001; deduce che, in ogni caso, la delibera fu attuata solo con la Circolare INPS n. 17 del 2 febbraio 1999, avente appunto ad oggetto: “deliberazione n. 799 del 28 luglio 1998. Linee attuative”;
3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2103, 2126 e 2129 cod. civ., 112 e 115 cod. proc. civ., 17 d.lgs. n. 29/1993; censura la sentenza impugnata per avere escluso che il S. avesse provato l’espletamento di mansioni superiori, sussumibili nella categoria dirigenziale; rileva che, contrariamente alla interpretazione fornita dalla Corte d’appello, il ‘vicariò è colui che esercita temporaneamente (e pienamente) le funzioni dell’Autorità nell’assenza dell’effettivo titolare dell’Ufficio e che così deve intendersi il termine alla luce della circolare INPS n. 76 del 27 marzo 1990, secondo cui gli Ispettori Generali di cui all’art. 15 d.lgs. n. 88/1989 avrebbero potuto assumere la “reggenza di uffici non coperti per destinazione dei dirigenti ad incarichi di rilievo prioritario”; evidenzia che la sua reggenza dell’Ufficio Dirigenziale (Direzione Area Pensionato – Assicurato) emergeva dal certificato di servizio, atto pubblico poiché attestato dal Direttore della Sede INPS di Treviso per periodo 15.3.1997 — 31.12.1999, ossia per oltre due anni e mezzo; richiama l’orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori con conseguente diritto del lavoratore a percepire le differenze retributive tra cui il trattamento economico percepito e quello proprio delle superiori mansioni; richiama, a conferma dell’assunto suddetto, le deposizioni testimoniali rese in corso di causa;
4. i motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati;
4.1. occorre premettere che il d.lgs. n. 165 del 2001 ha recepito precedenti disposizioni ed infatti la formulazione letterale del d.lgs. n. 29 del 1993, art. 25 poi trasfusa nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 69 rende evidente che le sole funzioni di direzione di un ufficio, anche se di particolare rilevanza, non caratterizzano, nei termini rivendicati dal lavoratore, le mansioni essendo necessario che si alleghi e si dimostri la natura dirigenziale delle funzioni stesse; questa Corte (v. Cass. n. 17290 del 2015; Cass. n. 14719 del 2015; Cass. n. 17841 del 2015; Cass. 12898 del 2017; Cass. n. 752 del 2018; Cass. 28508 del 2019) ha già avuto modo di affermare che: a) in base al d.lgs. n. 80 del 1998, art. 17 poi trasfuso nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 27, comma 1, gli enti pubblici non economici nazionali devono adeguare i propri ordinamenti a quelli stabiliti nel decreto legislativo, adottando appositi regolamenti di organizzazione, obbligo al quale l’INPS ha adempiuto con la delib. n. 799 del 1998; b) nell’art. 16, sono state ridisegnate le funzioni dirigenziali, e, diversamente da altre disposizioni di carattere organizzativo, per l’efficacia di quelle attinenti alla dirigenza non è stato previsto alcun differimento sino all’integrale realizzazione del nuovo modello organizzativo; c) dal rilievo secondo cui il differimento costituiva una conseguenza logicamente necessaria, non potendo le nuove mansioni dirigenziali essere esercitate senza quel modello, non può trarsi l’ulteriore conseguenza che le mansioni esercitate secondo il modello precedente mantenessero il loro carattere dirigenziale; d) una simile conclusione da un lato non considera che una siffatta classificazione avrebbe in definitiva comportato la reviviscenza di regole sulla dirigenza pubblica del tutto incompatibili con le norme recate dal d.lgs. n. 80 del 1998 (poi consolidate con il d.lgs. n. 165 del 2001) e, dall’altro lato, non tiene conto dei profili valutativi (e peraltro indirettamente regolativi) delle norme di cui alla citata delibera; e) le suddette fonti normative, nonché il contratto collettivo nazionale di lavoro di settore 1998/2001 – sottoscritto nel febbraio 1999 ma riguardante, per volontà delle parti (art. 2, comma 1 c.c.n.l. stesso), il periodo dal 1° gennaio 1998, portano a concludere che le medesime mansioni che nel precedente regime pubblicistico venivano considerate dirigenziali possono essere diversamente qualificate nel regime privatistico del pubblico impiego, in considerazione del diverso contenuto e rilievo che ad esse è stato attribuito in tale ultimo regime;
4.2. a detti principi di diritto si è attenuta la Corte territoriale, non potendosi desumere la natura dirigenziale dal precedente assetto ordinamentale e non essendo perciò fondata la tesi del ricorrente secondo cui nell’arco temporale precedente l’attuazione della riforma da parte dell’INPS si sia venuta a determinare la sopravvivenza e/o l’ultrattività degli incarichi correlati alla posizione di “primo dirigente”, in seguito affidati ai funzionari apicali e dovendo, al contrario, ritenersi che, dopo l’emanazione della riforma può dirsi dirigenziale solo la funzione rispondente al modello ivi configurato; in conseguenza, anche la valutazione delle funzioni esercitate dai dipendenti deve essere riferita alle nuove regole, anzitutto a quelle legislative e, in un secondo momento, a quelle organizzative interne, e non già a quelle previgenti all’entrata in vigore della riforma, del tutto incompatibili col nuovo ordinamento;
4.3. è, inoltre, mancata la prova della natura dirigenziale delle mansioni svolte avendo la Corte territoriale anche evidenziato il S. non aveva in realtà svolto la funzione di reggente – in assenza del titolare dell’ufficio – ma solo quella di vicario, posizione, questa, che presuppone una sostituzione e, pertanto, non postula il riconoscimento delle funzioni superiori; sul punto, i rilievi del ricorrente (incentrati sull’erronea irrilevanza attribuita a documentazione asseritamente attestante non già solo lo svolgimento di funzioni vicarie ma funzioni di reggenza di ufficio e per un periodo di due anni e mezzo), nonostante la formale denuncia di violazioni di legge, si sostanziano in censure che attengono al merito della controversia ed al percorso motivazionale della Corte territoriale che, come ricordato, ha valorizzato le opposte risultanze di cause e cioè che un titolare dell’ufficio vi era sempre stato, che le funzioni vicarie rientravano nelle attribuzioni dell’ispettore generale, che il S. non aveva mai svolto diversi da quelli di direzione dell’unico processo gestione dell’utente assicurato/pensionato con assoggettamento al coordinamento del dirigente addetto alla sede; va, però, ricordato che secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), l’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, nel testo in vigore successivamente alle citate modifiche, consente di consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia, nella specie neppure invocata, si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così, Cass. n. 27415 del 2018; Cass. n. 14014 del 2017; Cass., n. 9253 del 2017); al di fuori di tale omissione, il controllo del vizio rimane, pertanto, circoscritto alla sola verifica dell’esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost.;
4.4. né l’omesso esame di elementi istruttori può dare luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017); da ultimo si osserva che la dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez Un., n. 16598 del 2016; Cass. n. 11892 del 2016); la valutazione delle risultanze delle prove, così come il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (v. ex multis Cass. n. 11511 del 2014);
5. il ricorso, in via conclusiva, deve essere rigettato;
6. alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;
7. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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