CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 marzo 2018, n. 5416
Iva – Avvisi di rettifica delle dichiarazioni doganali e di accertamento – Recuperare a tassazione
Rilevato
– che l’Agenzia delle dogane e dei monopoli emetteva nei confronti della M. s.r.I., quale condebitore solidale del rappresentante indiretto in dogana, CAD La Spezia s.r.l. e del gestore del deposito fiscale F.V. s.r.I., sei avvisi di rettifica delle dichiarazioni doganali e di accertamento con cui, sul presupposto dell’indebito utilizzo del deposito fiscale gestito dalla F.V. s.r.I., per omessa materiale introduzione delle merci nello stesso, provvedeva a recuperare a tassazione l’IVA all’importazione e ad infliggere, con separato atto di contestazione, le relative sanzioni;
– che il ricorso proposto dalla predetta società contribuente avverso i predetti avvisi di rettifica veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale della Spezia che annullava il «recupero a tassazione degli importi dovuti a titolo di IVA sulla merce all’importazione, lasciando inalterati gli altri rilievi mossi», relativi agli interessi di mora e alle sanzioni;
– che l’appello proposto avverso tale statuizione dall’amministrazione doganale veniva rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Liguria con sentenza n. 116 del 21 dicembre 2011;
– che i giudici di appello sostenevano che la contestazione della omessa introduzione della merce nel deposito fiscale, che non risultava essere stata realmente effettuata, non era avvenuta in contraddittorio con il contribuente, in violazione «delle norme in materia di giusto procedimento amministrativo», e che, in ogni caso, la ripresa a tassazione operata dall’amministrazione doganale avrebbe dato luogo ad una non consentita doppia imposizione stante l’autofatturazione operata dalla società contribuente; ritenevano, quindi, fondata l’irrogazione delle sanzioni «non avendo la contribuente dato prova inoppugnabile della medesima introduzione nel deposito doganale»;
– che avverso tale statuizione l’Agenzia delle dogane dei monopoli propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi (nel ricorso erroneamente numerati fino al n. 5), cui replica l’intimata con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi;
– che con atto del 20/06/2016, prot. n. 22160/RU, regolarmente notificato alla società contribuente e depositata presso la Cancelleria di questa Corte, l’Agenzia ricorrente, sulla scorta dei principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2014, nella causa C- 272/13, Equoland, in materia di depositi IVA, «ravvisando nell’omessa introduzione fisica della merce negli spazi adibiti a deposito fiscale IVA la sussistenza di una violazione soltanto formale in quanto, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, si configurerebbe soltanto un ritardato pagamento dell’IVA e non un’evasione fiscale», disponeva l’annullamento in autotutela degli atti impositivi impugnati.
Considerato
– che con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli deduce la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 57 d.lgs. n. 546 del 1992 per avere la CTR pronunciato, peraltro contraddittoriamente, su un accertamento in fatto, rappresentato dalla questione relativa alla introduzione o meno delle merci nel deposito fiscale, che non era stato devoluto alla sua cognizione, in quanto non oggetto né dell’appello principale di essa ricorrente né di quello incidentale della società contribuente;
– che con il secondo motivo deduce il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sulla medesima questione sopra prospettata;
– che con il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 53 e 54 d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che la CTR aveva pronunciato, ancorché con motivazione apparente, su un motivo di appello incidentale proposto dalla società contribuente che avrebbe dovuto, invece, dichiarare inammissibile per difetto di specificità;
– che con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione di varie disposizioni, anche unionali, in materia di depositi fiscali ai fini IVA;
– che il deposito da parte dell’amministrazione doganale dell’atto di annullamento in autotutela degli avvisi di rettifica ai fini IVA, impugnati dalla società contribuente, rende necessaria la preliminare considerazione che «in materia tributaria, il potere della pubblica amministrazione di provvedere in via di autotutela all'”annullamento di Ufficio” o alla “revoca”, anche in pendenza di giudizio o di non impugnabilità, degli atti illegittimi od infondati è espressamente riconosciuto dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, comma 1, convertito, con modifiche, in L. 30 novembre 1994, n. 656; (nell’ambito di tale potere va ricompreso anche il potere di rinuncia all’imposizione illegittima o infondata in caso di autoaccertamento: D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 1, recante il regolamento di attuazione emanato ai sensi del predetto D.L. n. 564 del 1994, art. 2 quater)» (Cass. n. 22827 del 2013);
– che la determinazione unilaterale dell’amministrazione doganale di disporre, in via di autotutela, l’annullamento degli atti impositivi impugnati, ad eccezione dell’atto di irrogazione delle sanzioni, comporta l’estinzione del giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere, che va dichiarata anche a dispetto di eventuali cause di inammissibilità del ricorso per cassazione, con sentenza che operi alla stregua di cassazione senza rinvio, in quanto l’avvenuta composizione della controversia, per il venir meno di ragioni di contrasto fra le parti, impone la rimozione delle sentenze emesse non più attuali, perché inidonee a regolare il rapporto fra le parti» (Cass. n. 9357 del 2017; n. 5641 del 2015; n. 16324 del 2014; n. 19533 del 2011);
– che, pertanto, nel caso di specie la materia del contendere può dirsi cessata ancorché limitatamente alla pretesa fiscale incardinata negli atti emessi ai fini del recupero dell’IVA all’importazione, cui si riferisce esplicitamente l’atto adottato in autotutela, ma non nei riguardi dell’atto irrogativo delle sanzioni;
– che quanto detto consente a questa Corte di evitare lo scrutinio del primo, secondo e quarto motivo di ricorso principale;
– che va invece esaminato il terzo motivo di ricorso sopra sunteggiato, in quanto involgente questione estranea alla pretesa fiscale rinunciata con l’atto adottato in autotutela;
– che il predetto motivo è fondato e va accolto in quanto il motivo di appello incidentale proposto dalla società contribuente dinanzi alla CTR, integralmente riprodotto, per autosufficienza, nel ricorso in esame (pag. 11) è chiaramente generico, essendo così formulato: «1. Nullità dei provvedimenti impugnati per violazione delle norme in materia di giusto procedimento amministrativo. Per quanto possa occorrere, in via di appello incidentale, si reiterano preliminarmente le critiche mosse in primo grado avverso gli avvisi e l’atto di contestazione della sanzione per violazione delle norme in materia di giusto procedimento amministrativo, da intendersi qui integralmente ritrascritte»;
– che la formulazione di un motivo di appello avverso la sentenza di primo grado così formulata si pone in evidente contrasto con il dettato normativo che in materia prevede che il ricorso in appello deve contenere «i motivi specifici dell’impugnazione», a pena di inammissibilità, sussistente anche in ipotesi di sua assoluta incertezza (art. 53, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992), come costantemente interpretato da questa Corte, secondo cui «le deduzioni dell’appellante devono essere svolte in contrapposizione alle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado, di cui la parte non può disinteressarsi, limitandosi a riproporre al giudice di secondo grado le medesime testuali difese contenute nel ricorso introduttivo» (cfr., ex multis, Cass. n. 4558 del 2017);
– che all’accoglimento del predetto motivo consegue la dichiarazione di inammissibilità dei tre motivi di ricorso incidentale incentrati sulla questione della legittima applicazione delle sanzioni per non avere la società contribuente dato prova dell’introduzione fisica delle merci nel deposito fiscale;
– che i predetti motivi presentano ulteriori profili di inammissibilità e sono comunque infondati;
– che, in vero, il primo motivo, con cui viene dedotta cumulativamente la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 13 e 6 comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997 (nel motivo erroneamente indicato come d.lgs. n. 472 del 1997, nonché «omessa pronuncia su motivo di ricorso di cui all’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c.» è inammissibile per mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei in esso confusamente contenuti, facendo riferimento cumulativo alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., ovverosia a quelle di cui al n. 4 (laddove censura la sentenza impugnata «per omessa pronuncia sul terzo motivo di appello incidentale» – pag. 93 del controricorso), al n. 3 (laddove deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 9 bis, e 13 d.lgs. n. 471 del 1997) e persino al n. 5, seppure non indicato nella rubrica del mezzo di cassazione (laddove, nell’esposizione del motivo, la controricorrente sostiene che «la sentenza impugnata, nell’assumere apoditticamente il diritto dell’Amministrazione ad ottenere il pagamento delle sanzioni contestate omette sinanco di vagliare oltre che motivare – anche implicitamente – il rigetto degli argomenti dedotti a sostegno del motivo di appello» – pag. 93 del controricorso);
– che, in ogni caso, il motivo, laddove inteso come diretto a censurare la sentenza impugnata «per omessa pronuncia sul terzo motivo di appello incidentale» (in tal senso privilegiando la richiesta conclusiva fatta dalla controricorrente a pag. 93 del controricorso), è infondato atteso che i giudici di appello hanno espressamente affermato la legittimità dell’atto irrogativo delle sanzioni sostenendo che «proprio in virtù della probabile, ma non provata (o quanto meno non provata in contraddittorio con al contribuente) mancata introduzione appaiono fondate le pretese alle sanzioni applicate, non avendo la contribuente dato prova inoppugnabile della medesima introduzione nel deposito doganale»;
– che il secondo motivo di ricorso incidentale, con cui viene dedotta la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata per avere i giudici di appello ritenuto rilevante l’asserita mancanza di prova dell’introduzione fisica della merce nel deposito doganale nonostante avessero ritenuto «irritualmente e/o irregolarmente contestato» tale accertamento ed accertato anche il rispetto degli obblighi fiscali attraverso il meccanismo del reverse charge è palesemente infondato; invero, premettendosi che la CTR, diversamente da quanto sostiene la controricorrente, ha accertato soltanto che la società contribuente aveva adempiuto agli obblighi fiscali mediante il meccanismo del reverse charge, ma non che lo abbia fatto regolarmente e tempestivamente, deve escludersi che sussista l’incompatibilità logica nelle affermazioni dei giudici di merito indicate dalla controricorrente, tali da configurare il dedotto vizio motivazionale;
– che il terzo motivo di ricorso incidentale, con cui si sostiene che «dalla pretesa irregolare gestione del deposito non discese alcuna evasione di imposta», è inammissibile per carenza di interesse alla pronuncia, sopravvenuta al sopra citato provvedimento dell’amministrazione doganale di annullamento in autotutela della pretesa fiscale;
– che conclusivamente va dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione ai motivi di ricorso principale, limitatamente alla pretesa fiscale ai fini IVA, cui consegue l’assorbimento del primo, secondo e quarto motivo di ricorso principale, va accolto il terzo mezzo di cassazione e dichiarati inammissibili i motivi di ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, anche in relazione al motivo accolto, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con rigetto dei motivi di appello incidentale proposti dalla società contribuente nelle controdeduzioni depositate dinanzi alla CTR;
– che, l’esito del giudizio, su cui hanno inciso i sopravvenuti arresti giurisprudenziali, anche di matrice unionale, costituisce valida compensazione tra le parti delle spese processuali;
P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere limitatamente alla pretesa fiscale ai fini IVA incardinata negli atti impositivi impugnati, con assorbimento del primo, secondo e quarto motivo di ricorso principale, accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibili i motivi di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, senza rinvio, con rigetto dei motivi di appello incidentale proposti dalla società contribuente e compensa le spese del giudizio di legittimità.
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