CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 marzo 2019, n. 6633

Tributi – Accertamento catastale – Rendita catastale – Determinazione – Sopralluogo – Necessità – Esclusione – Stima diretta – Necessità

Fatto e diritto

1. La società N., in persona del l.r. pro tempore, impugnava l’avviso di accertamento con il quale veniva attribuito all’immobile di sua proprietà – sito in Guidonia alla via (…) – una rendita diversa da quella indicata nella dichiarazione Docfa, eccependone l’illegittimità per difetto dell’indicazione e della sottoscrizione del responsabile del procedimento nonché per carenza di motivazione, in difetto della indicazione degli atti comparativi utilizzati dall’Agenzia del territorio per la stima; contestava infine la sproporzione immotivata tra rendita attribuita ed accertata e quella dichiarata.

La CTP di Roma rigettava il ricorso con sentenza appellata dalla contribuente. La CTR del Lazio respingeva il gravame, sul rilievo che l’art. 7 della L. 212/2000 non sancisce la nullità dell’atto privo della sottoscrizione del responsabile e che l’indicazione della categoria e della classe dell’immobile sono elementi idonei a porre il contribuente nelle condizioni di difendersi. Quanto alla sproporzione delle rendite, i giudici regionali aderivano alla tesi sostenuta dall’Agenzia del Territorio, secondo la quale la perizia di parte conteneva tutti gli elementi utili per la determinazione della rendita, senza dover ricorrere al sopralluogo.

La società N. ricorre per la cassazione la sentenza n. 132/37/13, svolgendo quattro motivi, illustrati con successiva memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

2. Con la prima censura si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del DPR n. 600/73 ed omesso esame del decisivo contenuto del ricorso proposto avanti alla CTP ex art. 360 nn. 3, 4, 5 c.p.c., per avere i giudici territoriali ritenuto la validità dell’avviso di accertamento, pur in mancanza di sottoscrizione del responsabile del procedimento, rilevando che l’atto impositivo era carente sia dell’indicazione del responsabile che della sua sottoscrizione.

3. Con il secondo motivo, l’ente ricorrente denuncia violazione dell’art. 7 L. 212/2000 ex art. 3 L. 241/1990, alla stregua dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici regionali ritenuto adeguatamente motivato l’atto impositivo, il quale pur facendo riferimento ad atti comparativi, relativi ad immobili similari, utilizzati dall’Agenzia del territorio, non ne trascriveva il contenuto né li allegava all’avviso di accertamento.

4. Con la terza censura si deduce violazione dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 20 DPR 643/73 e degli artt. 51 e 52 DPR n. 131/1986, per avere i giudici territoriali erroneamente applicato la norma distributiva dell’onere della prova, il quale grava sull’amministrazione, che non può limitarsi a produrre le stime UTE, ma deve fornire gli elementi probatori oggettivi e certi per dimostrare la correttezza della stima.

Peraltro, deduce la contribuente, che l’Agenzia ha fondato l’avviso sulla base di propri accertamenti, omettendo di fornire gli elementi per dimostrare l’equiparabilità dell’immobile oggetto dell’accertamento con gli altri cespiti utilizzati per la comparazione.

5. Con la quarta censura, si lamenta l’omessa valutazione dei valori accertati dalla dettagliata perizia di parte ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.

6. La prima censura è infondata.

L’art. 1, comma 162, l. n. 296 del 2006 (in vigore dal 1/1/2007), prevede che gli avvisi di accertamento dei tributi locali “sono sottoscritti dal funzionario designato dall’ente locale per la gestione del tributo” e, quanto alla sottoscrizione con firma a stampa del responsabile del procedimento, l’art. 1, comma 87, l. n. 549 del 1995, stabilisce che «la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati>>.

Questa Corte si è assestata sul principio secondo il quale “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza, non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, al di là di questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo” (S.U. n. 11722/2010; Cass. n. 20628/2017; n. 31707/2017; n. 11856/2017; Cass. 30050/2018; Cass. n. 10805 del 2010; Cass. n. 4757 del 2009; Cass. 2015/5985; Cass. 2013/1644).

La mancata sottoscrizione dell’atto impositivo da parte del funzionario emittente è, dunque, irrilevante ai fini della validità dell’atto, in quanto, in tema di tributi regionali e locali, qualora l’atto di liquidazione o di accertamento sia prodotto mediante sistemi informativi automatizzati, la sottoscrizione di esso può essere legittimamente sostituita, ai sensi dell’art. 1, comma 87, della l. n. 549 del 1995, dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile.

Nel caso di specie è pacifico che non si controverta di identificazione o attribuzione dell’atto impositivo ad una determinata pretesa tributaria facente capo ad un determinato ufficio dell’Agenzia quanto soltanto di mancata sottoscrizione della persona fisica del funzionario emittente. Sì che

– sulla base dei principi poc’anzi evidenziati – va esclusa la dedotta causa di nullità, atteso che l’avviso di accertamento impugnato reca alla pagina 2 l’indicazione del responsabile con la stampigliatura del nominativo.

7. La seconda e la terza censura, che possono essere esaminate congiuntamente, coinvolgendo la medesima questione, sono fondate, assorbito il quarto motivo.

8. Va premesso che in ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, il contribuente ha riportato il contenuto della motivazione dell’avviso di accertamento (altresì allegato al ricorso per cassazione), con cui l’Ufficio ha rideterminato una nuova e maggiore rendita catastale dell’immobile, portandola da euro 8.192,00 ad euro 11.77,00 e limitandosi a far riferimento alla relazione di collaudo in cui la “Stima veniva effettuata all’Epoca Censuaría 1988/89”, eseguita con criterio comparativo sintetico.

La società contribuente lamenta il difetto di motivazione dell’atto impugnato, denunciando le esposte censure. Secondo quanto prescritto dall’art. 10 r.d.l. 652/39, conv. in l. 1249/39: “la rendita catastale delle unità immobiliari costituite da opifici ed in genere dai fabbricati di cui all’art. 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni, è determinata con stima diretta per ogni singola unità. Egualmente si procede per la determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari che non sono raggruppabili in categorie e classi, per la singolarità delle loro caratteristiche”. In base all’art. 30 d.P.R. 1142/49 (Regolamento per la formazione del nuovo catasto edilizio urbano): “Le tariffe non si determinano per le unità immobiliari indicate nell’art. 8. Tuttavia la rendita catastale delle unità immobiliari appartenenti a tali categorie si accerta ugualmente, con stima diretta per ogni singola unità”.

Ai fini della determinazione del reddito dei fabbricati, l’art. 37 d.P.R. 917/1986 stabilisce che: “Il reddito medio ordinario delle unità immobiliari è determinato mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo, stabilite secondo le norme della legge catastale per ciascuna categoria e classe, ovvero, per i fabbricati a destinazione speciale o particolare, mediante stima diretta”.

Va dunque affermato come il compendio normativo deponga – con riguardo ai fabbricati a destinazione speciale – per la necessità di ‘stima diretta’, senza tuttavia che ciò debba necessariamente presupporre l’esecuzione del ‘sopralluogo’; il quale non costituisce, in materia, un diritto del contribuente né una condizione di legittimità dell’avviso attributivo di rendita, quanto soltanto un ulteriore e concorrente strumento conoscitivo di verifica ed accertamento di cui l’amministrazione finanziaria può avvalersi per operare la valutazione. Sicché la mancanza di esso non preclude, di per sé, la valutazione mediante ‘stima diretta’, allorquando l’ufficio sia comunque già in possesso di tutti gli elementi valutativi idonei allo scopo. Elementi valutativi che in tanto possono integrare ‘stima diretta’, in quanto appunto permettano di individuare le caratteristiche di ciascuna unità immobiliare oggetto di classamento; così da dare conto della peculiarità dal caso di specie, quale criterio alternativo all’applicazione standardizzata di rendite presunte con metodo tariffario o statistico (Cass. 22886/06).

L’indirizzo di legittimità si volge in tal senso, essendosi più volte stabilito che – ferma la necessità di stima diretta per l’attribuzione di rendita di fabbricati a destinazione speciale – non è detto che tale stima diretta presupponga indefettibilmente l’accesso in loco per la disamina; potendo le caratteristiche del bene essere, allo scopo, “desunte anche dalle risultanze documentali a disposizione dell’Ufficio, senza necessità di sopralluogo”(Cass. 3103/15).

Nel riaffermare questo principio, le pronunce di cui in Cass. nn. 7410/05; 8423/09 e ord. 19215/12 hanno altresì precisato che: “il canone determinativo del classamento e della conseguente attribuzione della rendita catastale per gli immobili di categoria D deve basarsi, a norma del d.P.R. primo dicembre 1949, n. 1142, e dell’art. 37 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sulla stima diretta, che tenga conto delle caratteristiche del bene, potendo all’uopo essere utilizzate le risultanze emergenti dalla perizia prodotta dalla parte interessata senza necessità di sopralluogo. Questo, infatti, a mente dell’art. 11 del D. L. 14 marzo 1988, n. 70, convertito in legge 13 maggio 1988, n. 154, può essere effettuato “salvo successive verifiche con riferimento ad unità già censite aventi medesime caratteristiche”, sicché in tale chiave il riferimento alle strutture analoghe ha solo valore rafforzativo e integrativo del metodo legale utilizzato, essendo idoneo a confermare l’adeguatezza della rendita attribuita sulla base della stima diretta“.

In conclusione, l’avviso di accertamento della rendita catastale – ancorché emesso ‘a tavolino’ – può fondarsi su una stima diretta; intesa quale valutazione mirata sulle specifiche caratteristiche dei singoli immobili integranti l’opificio e senza automatica estensione di parametri standardizzati eventualmente riferibili ad altri immobili, ancorché limitrofi.

Su tale presupposto, onere del contribuente – da questi assolto nel giudizio di merito – è dunque quello di confutare gli avvisi attributivi di rendita in questione, non perché emessi in assenza di sopralluogo, ma perché emessi in assenza di elementi di stima diretta e mirata sulle caratteristiche dei singoli beni.

Ciò premesso, è certamente pertinente il richiamo, in linea con precedenti pronunce (tra le quali Cass. n. 9629 del 2012), di Cass. n. 23247 del 2014, che, seppur riferita a fattispecie inerente a procedura attivata ex art. 1, comma 335, della l. n. 311 del 2004, contiene ampia premessa espositiva nella quale esplicita quello che deve intendersi come il contenuto mimino motivazionale dell’avviso di classamento in relazione alle differenti ipotesi di riclassamento della unità immobiliare già munita di rendita catastale; in particolare occorrendo che sia indicato a quale presupposto la riclassificazione sia dovuta, il non aggiornamento del classamento o la palese incongruità rispetto a fabbricati similari, dovendo specificamente individuarsi, in tale ultima ipotesi, i fabbricati, il loro classamento e le caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all’unità immobiliare oggetto di classamento (in senso conforme Cass. n. 627 del 2015).

Condizione che nella fattispecie in esame non può certamente intendersi soddisfatta dal mero generico riferimento ai dati riportati nell’avviso di accertamento, atteso che la modifica della rendita catastale deve essere idoneamente giustificata, per consentire al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa ed al fine di delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso.

A tale lacuna l’Amministrazione ha tentato di ovviare con la produzione in giudizio delle stime UTE ed allegando ulteriori elementi, quali l’aumento del prezzo al mq per le tettoie dell’opificio, perché si trattava di strutture tamponate su tre lati, cosi come la valorizzazione del capannone( indicata come struttura precaria nell’elaborato peritale della parte) in struttura mista ( muratura e ferro) ed infine il maggior valore attribuito agli uffici rispetto al capannone in virtù delle raffinate rifiniture; ma tale operazione non può essere ritenuta idonea all’integrazione del contenuto motivazionale dell’atto (Cass. n. 6065 del 2017; Cass. n. 25450/2018).

Sennonché, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ “an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass. n. 2540/2018; Cass. n. 26431/2017; 25037/2017).

Pertanto, la decisione adottata dai giudizi regionali si pone in contrasto con i principi affermati da questa Corte, in quanto nell’ipotesi di attribuzione della rendita catastale – che abbia luogo a seguito della cd. procedura DOCFA ed in base ad una stima diretta eseguita dall’Ufficio (come accade per gli immobili classificati nel gruppo catastale D) – la stima integra il presupposto ed il fondamento motivazionale dell’avviso di classamento (esprimendo un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica: (Cass. n. 17971/2018).

Le censure vanno, inoltre, condivise, posto che il giudice di secondo grado non ha considerato che la stima dell’Ufficio era stata redatta senza indicare gli elementi comuni degli immobili similari e senza identificare gli immobili medesimi, sulla base di un generico criterio sintetico comparativo e sulla scorta di presunte stime eseguite dall’ufficio del Territorio (non trascritte e neppure allegate all’atto impositivo).

In conclusione, l’onere motivazionale dell’Ufficio non può essere soddisfatto mediante la produzione in giudizio delle stime Ute e l’allegazione delle caratteristiche strutturali che avevano condotto all’attribuzione di una maggiore rendita, elementi “probatori” prima non indicati nell’atto impositivo oppostola motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione, difatti, di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa (22148/17).

Il ricorso va dunque accolto, con riferimento alla seconda e alla terza censura, assorbito il quarto motivo e respinto il primo; con conseguente cassazione della sentenza impugnata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., mediante accoglimento del ricorso introduttivo della parte contribuente, ed annullamento dell’avviso di accertamento opposto. Visto il consolidarsi soltanto in corso di causa dell’orientamento di legittimità in materia, si ritiene che le spese del giudizio debbano essere interamente compensate.

P.Q.M.

Accoglie la seconda e la terza censura del ricorso, assorbito il quarto motivo e respinto il primo;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente;

dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.