CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 marzo 2019, n. 6634

Tributi – ICI – Detrazione per l’immobile adibito ad abitazione principale – Dimora abituale del proprietario ma non della moglie – Esclusione del beneficio

Rilevato che

1. G.F. ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza n. 4156/04/2014 della CTR del Lazio che ha rigettato l’appello del contribuente, disattendendo le eccezioni preliminari sollevate in merito alla tardiva costituzione del Comune in primo grado e alla conseguente inammissibilità della produzione documentale nel giudizio di gravame, e respingendo le tesi del ricorrente, sulla base del principio che la materia dell’agevolazione tributaria è di stretta interpretazione, ragion per cui è onere del richiedente dimostrare la sussistenza dei presupposti per beneficiare dell’agevolazione.

2. In particolare, i giudici regionali, nel citare il disposto dell’art. 8 d.lgs n. 504/1992, affermavano che il ricorrente non aveva dimostrato ( per gli anni di imposta 2005 e 2006) che l’immobile in Roma era adibito ad abitazione principale sua e dei suoi familiari.

3. Il Comune resiste con controricorso.

4. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 8 del d.lgs 504/92 nonchè dell’art. 4 del d.lgs 437/96 in relazione all’art. 1 comma 2 del d.lgs 546/92 nonché dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 43, 2727 e 2729 c.c., per avere i giudici territoriali erroneamente valutato le prove offerte a dimostrazione che l’immobile oggetto dell’atto impositivo era effettivamente destinato alla residenza effettiva del contribuente.

5. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 54 comma 5 d.lgs n. 504/92, nonché dell’art. 23 d.lgs 546/92 in relazione all’art. 1 comma 2 d.lgs 546/92, artt. 116 c.p.c. e art. 111 della Cost, per avere i giudici territoriali disatteso l’eccezione secondo la quale la tardiva costituzione della controparte determinava l’inammissibilità delle prove e dei documenti offerti a dimostrazione dell’eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio, sostenendo la decadenza dell’amministrazione comunale dalle eccezioni ” di residenza, di dimora abituale, di effettiva utilizzazione dell’immobile”.

6. Deve essere preliminarmente esaminata la seconda censura.

Essa è priva di pregio.

7. In materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla I. n. 69 del 2009), essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado( ex plurimus: Cass. 2017/27774).

Per altro verso, le mere difese svolte dal Comune non integrano affatto eccezioni “processuali e di merito” non rilevabili di ufficio.

Al riguardo, non può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quali, i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da guanto dal contribuente ritenuto.

Donde l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dall’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo.

A tal proposito, osserva la Corte che il processo era stato instaurato per affermare il diritto alla imposta integrale ICI sulla base del fatto che il presupposto per l’agevolazione è la residenza anagrafica ovvero che il contribuente che possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale l’abitazione vi dimori abitualmente con i suoi familiari.

8. Il primo motivo è inammissibile.

Con esso, il ricorrente censura la non corretta valutazione delle prove offerte nel giudizio di merito per dimostrare che l’immobile in Roma costituiva residenza effettiva del contribuente, in quanto acquistato nel luogo di lavoro.

La doglianza tuttavia non attinge la ratio decidendi posta a fondamento della decisione impugnata, che ha escluso l’agevolazione sul presupposto che il beneficio spetta solo se nell’abitazione dimorano abitualmente sia il contribuente che i suoi familiari, non essendo sufficiente all’insorgere del diritto alla detrazione che il contribuente dimori abitualmente nell’unità immobiliare se i suoi familiari vivono altrove.

La sentenza della CTR si è conformata al principio di diritto affermato da questa Corte e ribadito con la sentenza n. 26947/2017: «”In tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), dall’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992 (come modificato dall’art. 1, comma 173, lett. b), della I. n. 296 del 2006, con decorrenza dall’1 gennaio 2007), occorre che il contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo».

In applicazione di questo principio, la Corte ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell’accertamento che l’immobile “de quo” costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie (v. anche Cassazione, ordinanze nn. 15444/17, 12299/17, 13062/17, 12050/10).

L’invocata detrazione di cui all’art. 8, comma 2, D.Lgs. n.504 del 1992, il quale, come noto, dispone che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”, non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è affatto contraddetto ma semmai reso più evidente dalla modifica normativa apportata dall’art. 1, comma 173, L. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), a tenore della quale “… al comma 2 dell’articolo 8, dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, che si limita ad introdurre una presunzione relativa e non supera il concetto di abitazione principale fondato sul criterio della dimora abituale di cui si è prima detto.

La modifica legislativa del 2006 deve essere letta nel senso che – con effetto dall’annualità d’imposta 2007 – si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per “l’abitazione principale”, prova che deve comunque riguardare l’effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo famigliare del contribuente (Cass. n. 13062/2017; Cass. n. 14398/2010).

In mancanza di detta prova, il ricorso deve essere respinto con aggravio di spese.

Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dal Comune resistente che liquida in euro 600,00, oltre rimborso forfettario e accessori come per legge.

– Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.