CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 marzo 2019, n. 6658
Tributi – IRAP – Compensi per prestazioni professionali qualificate – Indice di organizzazione – Apporto qualificato al proprio lavoro professionale – Imposta dovuta
Rilevato
Per gli anni di imposta 2007 e 2008 il contribuente instava per il rimborso IRAP ritenendo essere libero professionista esercente l’attività di dottore commercialista presso studio altrui o presso il recapito gratuitamente assentitogli dal fratello avvocato.
Otteneva apprezzamento dal giudice di prossimità che gli era stato favorevole anche per le annate precedenti, ma sull’appello dell’Ufficio vedeva riformata la sentenza di primo grado, sull’irrilevanza dei precedenti, rinnovandosi di anno in anno i presupposti dell’IRAP, sicché le singole annualità di imposta godono di piena autonomia; sotto altro profilo la CTR sottolineava i compensi corrisposti a terzi, indice di un’impostazione della propria attività professionale basata su divisione del lavoro e, quindi, in forma organizzata.
Propone ricorso il professionista contribuente, con tre motivi di gravame, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con puntuale controricorso.
Considerato
Si può prescindere dall’eccezione in rito sollevata dalla difesa erariale circa l’impossibilità di notifica del ricorso a mezzo PEC nel processo tributario, stante l’infondatezza nel merito.
1. Con il primo motivo di gravame si lamenta nullità della sentenza per contrasto insanabile fra motivazione e parte dispositiva, in parametro all’art. 360, comma primo, n. 4 codice di rito civile, nel particolare stigmatizzando che all’affermazione d’esordio per cui l’appello merita il rigetto, si arrivi a concludere che l’appello è accolto e rigettato il ricorso di prime cure.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio non ritiene vi siano ragioni per discostarsi, il dedotto vizio sussiste solo quando non sia ricostruibile in via ermeneutica in modo univoco la volontà del giudicante, mentre nel caso in esame è chiaro il mero errore materiale dell’affermazione iniziale, a fronte della quale il prosieguo argomentativo è in consequenziale e logico sviluppo di adesione alle tesi dell’Ufficio, per concludersi con l’accoglimento dell’appello.
Il primo motivo è quindi infondato e va disatteso.
2. Con il secondo motivo per un profilo si lamenta insufficiente motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in parametro all’art. 360, comma primo, n 5 codice di rito civile, nella sostanza ritenendo non spiegato dove sussistesse l’autonoma organizzazione come base imponibile dell’IRAP, mentre con un secondo profilo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 446/1997 in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 stesso codice di rito, avendo errato la CTR nel ritenere il contribuente soggetto passivo di IRAP non disponendo di autonoma organizzazione.
2.1 Quanto al primo profilo, in disparte la mancata trascrizione o riassunto nel ricorso dell’atto di appello, per le parti rilevanti, al fine di consentire a questo Collegio la valutazione del fondamento della prospettata censura, è giurisprudenza consolidata quella secondo cui il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. 30822 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017; n. 15489 del 2007). Ed anche nel vigore del vecchio testo del numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., è invece inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto all’apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass. n. 7763 del 17/05/2012; Cass. SU n. 20598 del 30/07/2008; di recente, Cass. n. 8346 del 04/04/2018).
Tale non pare il caso in esame dove il giudicante si è riferito agli orientamenti consolidati di questa Corte.
Il profilo è quindi infondato e va disatteso.
2.2 Quanto al secondo profilo di doglianza, è ormai consolidato orientamento di questa Corte, all’esito delle sentenze rese dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U., 26 maggio 2009; Cass. Sez. U, 26 maggio 2009 n. 12108; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12109; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12110), che, in tema di Irap, il professionista «è escluso dall’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quanto il contribuente a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità od interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni>>.
2.3 Si è pure precisato (Cass. 25 settembre 2013, n. 25109) che l’applicazione dell’imposta deve trovare giustificazione in una specifica capacità contributiva del soggetto colpito, che coinvolge la capacità produttiva dell’obbligato se accresciuta e potenziata da una attività autonomamente organizzata, nel cui ambito assume rilievo anche la presenza di un solo dipendente – quale elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito – ma senza che di per sé l’apporto del lavoro altrui induca ad affermare il requisito di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, spettando tale apprezzamento al giudice di merito (Cfr., recentemente in termini, 30225/2018).
Argomentando a contrariis, soccorre anche l’arresto delle Sezioni unite n. 9451 del 2016 secondo cui la presenza di un solo dipendente non comporta il superamento del limite della struttura organizzativa minima e quindi la sottoposizione a imposta, alla condizione che svolga mansioni meramente esecutive. Nel caso all’esame, il ricorrente non retribuisce prestazioni meramente esecutive, bensì prestazioni professionali qualificate, tali cioè da fornire un apporto qualificato al proprio lavoro professionale, indice di organizzazione, di modalità fondate sulla necessaria collaborazione altrui.
2.4 L’arresto delle Sezioni Unite, e la giurisprudenza che ne è seguita, guarda al lavoro altrui, senza distinguere se si tratti di lavoro professionale o meno. Per contro, rileva la circostanza che si tratti di apporto che trascende la capacità del contribuente, senza il quale non sarebbe in grado di rendere, a sua volta, a prestazione richiesta o la renderebbe in tempi più lunghi o quantità limitata.
Non ha quindi fondamento la tesi secondo cui i compensi a terzi rilevano solo se corrisposti a dipendenti subordinati mentre al contrario essi sono indice del superamento della struttura organizzativa minimale anche quando sono corrisposti a terzi professionisti (sulla cui rilevanza quali indice sintomatico della sussistenza del presupposto della autonomia organizzativa, cfr. Cass. n. 22674/2014; n. 27423/2018).
In sostanza, occorre osservare che per gli anni di imposta in questione il ricorrente ha ritenuto di ferire la propria libera professione con l’apporto, diverso, di altro professionista, strutturandosi quindi in forma di organizzazione, secondo i criteri indicati da questa Corte. A tali parametri si è attenuta la gravata sentenza, sicché anche il secondo profilo del secondo motivo è infondato e va disatteso.
In definita il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in €. millecinquecento,00 oltre a spese prenotate a debito.
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