CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 marzo 2019, n. 6681
Lavoro – Mansioni di massaggiatrice – Collaborazione – Individuazione del progetto ex art. 61 D.Lgs. n. 276/2003 – Prova della natura subordinata del rapporto di lavoro
Rilevato che
1. il Tribunale di Venezia aveva rigettato la domanda proposta da J. B., intesa all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro ed alla condanna alle conseguenti differenze retributive in relazione ad assunta illegittimità dell’individuazione del progetto ex art. 61 d. Igs. 276/2003 ed alle descritte modalità di svolgimento della prestazione, con mansioni di massaggiatrice, presso il Centro P. I.;
2. la Corte d’appello di Venezia, con sentenza non definitiva del 14.5.2015, accoglieva parzialmente il gravame della lavoratrice e dichiarava la natura subordinata del rapporto di lavoro a far data dal febbraio 2001, condannando la società appellata al pagamento del t.f.r. nella misura determinata, nella sentenza definitiva n. 361/2015, in un importo pari ad euro 11.270,02;
3. la Corte rilevava che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti si era articolato in tre fasi: in un primo periodo, dal giugno 1999 al gennaio 2001, lo stesso era privo di regolarizzazione, in un secondo, dal febbraio 2001 al dicembre 2004, era stato regolato da contratti di collaborazione a progetto ed in un terzo, dal gennaio 2005 al 29.10.2009, il rapporto era stato regolato da un contratto a progetto;
4. in relazione al primo periodo, era ritenuta l’assenza di prova della esistenza del rapporto e della sua natura subordinata, non avendo i testi fornito elementi a conforto delle allegazioni;
5. quanto al secondo ed al terzo periodo, la Corte evidenziava che l’esame del regolamento interno aveva consentito di individuare una serie di vincoli, cui le lavoratrici come la B. erano tenute ad attenersi strettamente, e la presenza di precise direttive in ordine allo svolgimento del lavoro, che privavano le lavoratrici di ogni discrezionalità tecnica, essendo le stesse vincolate, per ogni richiesta del cliente, all’autorizzazione da richiedere al responsabile; anche i turni erano programmati in base ad un numero minimo individuato dalla società e, per le assenze, la predisposizione dei turni e quanto altro, era necessario seguire le indicazioni del responsabile, che non era vincolato alle indicazioni delle lavoratrici; a tutto ciò si aggiungevano l’esistenza di un orario di lavoro vincolante, l’assenza di una sia pur minima organizzazione aziendale e di rischio di impresa ed il pieno inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, sicuri indici della subordinazione, unitamente all’utilizzo di attrezzature aziendali ed all’espletamento del lavoro nei locali del datore di lavoro, elementi anch’essi deponenti per la sussistenza dell’alienità del lavoratore rispetto alla organizzazione aziendale ed ai risultati della sua prestazione;
6. si riteneva che non fosse rilevante la tardività dell’allegazione della genericità del progetto con le conseguenze di cui all’art. 69 d. Igs. 276/03, dal momento che si trattava di valutare le prove acquisite per fondare il giudizio sulla qualificazione del rapporto, investendo la genericità del progetto i profili di ripartizione degli oneri probatori, superati nella specie dalla possibilità di valutare le prove acquisite relative alla modalità di svolgimento del rapporto;
7. quanto al trattamento retributivo, in applicazione del principio dell’assorbimento, veniva reputato che il trattamento economico complessivamente erogato non fosse inferiore a quello minimo del dipendente in base alla qualificazione del rapporto e che pertanto non dovessero liquidarsi mensilità aggiuntive, ad eccezione del t.f.r., che non poteva ricomprendersi nell’assorbimento, t.f.r. quantificato in relazione ad un orario di lavoro di sei ore al giorno per sei giorni alla settimana ed al trattamento retributivo previsto dal c.c.n.I. di categoria per il livello 4S;
8. il relativo importo era determinato in sede di sentenza definitiva;
9. di tali decisioni domanda la cassazione la B., affidando l’impugnazione a cinque motivi, illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, la società, che ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Considerato che
1. si assume da parte della società che la procura speciale in calce al ricorso della B. sia limitata all’impugnazione della sentenza definitiva n. 361/15 e che non sia estesa all’impugnazione della sentenza non definitiva n. 133/15;
2. effettivamente non si menziona nella procura quale oggetto di impugnazione la sentenza non definitiva, ma l’eccezione va disattesa, in quanto, pur dovendosi concordare sulla genericità della delega conferita con l’atto di procura speciale, non si ritiene che ciò possa inficiare il presupposto di specificità della stessa, in quanto apposta in calce del ricorso per cassazione che reca nel frontespizio la precisa indicazione della sentenza impugnata, riportando testualmente il numero e l’anno di pubblicazione;
3. ne consegue che la specialità del mandato è assicurata dalla predetta indicazione, che garantisce la finalizzazione al patrocinio in questa fase di legittimità (Cass. n. 1328 del 2006) ed investe il difensore espressamente del potere di proporre ricorso per cassazione contro una sentenza determinata (cfr. Cass. 27.12.2018 n. 33423, con richiamo a Cass. nn. 7084 del 2006 e Cass. n. 929 del 2012, nonché Cass. 22979 del 2015);
Ricorso principale
4. con il primo motivo, si denunzia violazione dell’art. 416 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., stante l’accertamento della ritenuta decorrenza del rapporto dal febbraio 2001, a fronte della diversa decorrenza 15.6.1999 enunciata in ricorso ex art. 414 c.p.c. e non specificamente contestata nella comparsa di risposta di primo grado;
5. con il secondo motivo, si lamenta violazione dell’art. 2120 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. per l’imposizione del calcolo del t.f.r. su un’arbitraria retribuzione del c.c.n.I., previo accertamento di un livello mai oggetto di domanda, anziché sulla retribuzione effettiva, nonché dell’art. 147 c.c.n.I.;
6. con il terzo motivo, è ascritta alla decisione impugnata violazione dell’art. 139 c.c.n.I. di settore e dell’art. 416 c.p.c., degli artt. 1362 e 2697 c.c., per avere Corte del merito applicato all’istituto della tredicesima mensilità di cui all’art. 139 c.c.n.I. di settore il principio dell’assorbimento, sostenendosi che sia la qualifica della lavoratrice che l’importo della retribuzione minima prevista dal contratto collettivo siano irrilevanti ai fini dell’istituto in questione;
4. violazione dell’art. 2109 c.c. e degli artt. 102 e 104 del c.c.n.I. e dell’art. 36, 3° comma Cost., nonché violazione della convenzione OIL, resa esecutiva in Italia dalla legge 157/81, sono dedotte nel quarto motivo, con il quale si richiamano per le ferie principi assimilabili a quelli esposti per la tredicesima, sostenendosi che non possa prescindersi dal principio per cui le stesse debbano essere retribuite e che non vi era un patto di conglobamento: si assume che debba farsi riferimento alla retribuzione giornaliera di lire 144.000, ovvero di euro 144,00 nei singoli periodi di 26 gg. lavorativi e, in via subordinata, che debba aversi riguardo, quanto meno, al minimo contrattuale, che la sentenza impugnata ha individuato nella retribuzione del livello 4° super;
5. con il quinto motivo, ci si duole della violazione dell’art. 2109 c.c., degli artt. 102 e 104 c.c.n.l e dell’art. 36 3° comma Cost., della violazione della convenzione OIL resa esecutiva dalla I. 157/81 anche in relazione al trattamento economico per le festività;
6. quanto al primo motivo, la non contestazione dei fatti non costituisce prova legale, bensì un mero elemento di prova, sicché il giudice di appello, ove nuovamente investito dell’accertamento dei medesimi con specifico motivo di impugnazione, è chiamato a compiere una valutazione discrezionale di tutto il materiale probatorio ritualmente acquisito, senza essere vincolato alla condotta processuale tenuta dal convenuto nel primo grado del giudizio.(CFR. Cass. 4.4.2017 n. 8708). Peraltro, se il giudice ha ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione” diventa inammissibile (Cass. 16.3.2012 n. 4249); sotto altro profilo, le affermazioni di cui al motivo contravvengono all’insegnamento di questa Corte secondo cui la non contestazione del fatto ad opera della parte che ne abbia l’onere è irreversibile, ma non impedisce al giudice di acquisire comunque la prova del fatto non contestato, sicché in tale ultima ipotesi resta superata la questione sulla pregressa non contestazione di quei fatti che, se ravvisata, avrebbe comportato l’esclusione di essi dal “thema probandum” (cfr. Cass. 13.3.2012 n. 3951);
7. quanto al secondo motivo, occorre porre richiamo all’insegnamento di Cass. 3.1.2017 n.46 e Cass. 16489/2014, secondo cui: “Ai fini della determinazione dell’importo dovuto a titolo di TFR non potrà operare l’assorbimento con le eventuali eccedenze sulla retribuzione minima contrattuale corrisposte durante il rapporto di lavoro; esso dovrà essere determinato sulla base delle retribuzioni che risultano annualmente dovute in applicazione dei parametri previsti dalla contrattazione collettiva o, se superiore, sulla base dì quanto effettivamente corrisposto nel corso del rapporto di lavoro, accertata l’insussistenza di un obbligo restitutorio”; tuttavia il motivo è fuori centro, in quanto le parti, come si evince dalla sentenza definitiva, hanno concordato che il t.f.r. maturato al termine del rapporto era pari ad euro 11.270,02, lordi, somma in tale misura riconosciuta in sentenza, oltre accessori di legge, e la circostanza non è stata oggetto di contestazione;
8. in merito al terzo motivo, come già precisato da questa Corte è nella specie applicabile il principio dell’assorbimento della tredicesima, quattordicesima, r.o.l., ferie e permessi non goduti: nell’ipotesi di prestazione di attività lavorativa nell’ambito di un rapporto qualificato dalle parti come autonomo, che risulti poi in realtà di natura subordinata, opera il suddetto principio, per il quale il corrispettivo pattuito deve ritenersi di regola destinato nella intenzione delle parti a compensare interamente l’opera prestata, di modo che, ai fini della verifica del rispetto nel caso concreto dei minimi retributivi dovuti in dipendenza dell’accertata natura subordinata del rapporto, deve aversi riguardo all’importo complessivo che risulti corrisposto al lavoratore; il diritto del lavoratore alla retribuzione trae origine esclusivamente dalla previsione del contratto collettivo di categoria in relazione al livello riconosciuto, e non più dal contratto individuale formalmente intercorso tra le parti;
9. tale criterio è imperniato sul trattamento globale più favorevole tra quello di fatto goduto e quello spettante sulla base dei minimi contrattuali, con conseguente imputazione alle competenze indirette degli emolumenti eccedenti e pone la necessità di operare un raffronto, per la differente qualificazione delle voci di compenso, fra il percepito e il dovuto (v. da ultimo Cass. 3.1.2017 n. 46, nonché, precedentemente, tra le tante, Cass. 3.9.2014 n. 18561, Cass. 31.5.2011 n. 12051, Cass. 7.4.10 n. 8255, Cass. 23.1.06 n. 1261, Cass. 16.4.92 n. 4651 e 26.6.91 n. 7172), con conseguente imputazione alle competenze indirette degli emolumenti eccedenti i primi;
10. cosa diversa è il patto di conglobamento nei compensi, corrisposti per le prestazioni lavorative, di corrispettivi ulteriormente dovuti al lavoratore subordinato per legge o per contratto (quali la tredicesima mensilità, il compenso per le ferie e per le festività), che può essere ammesso solo se dal patto risultino gli specifici titoli cui è riferibile la prestazione patrimoniale complessiva, poiché solo in tal caso è superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria, e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto (cfr. Cass. 4.6.02 n. 8097, Cass. n. 8255 del 2010, cit., da ultimo v. Cass. 23.1.2018 n. 1644);
11. dunque, in ipotesi di assorbimento, fattispecie diversa da quella da ultimo richiamata, il trattamento corrisposto di fatto, se più favorevole, si sostituisce in toto a quello contrattuale (fatto salvo il trattamento di fine rapporto che, prima e dopo l’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982, matura al momento della cessazione del rapporto), sicché va escluso il diritto ad una applicazione cumulativa dei benefici rispettivamente previsti dal contratto individuale e dalla disciplina contrattuale collettiva;
12. è stato anche precisato che, ove il datore richieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo, non può limitarsi a provare che il suddetto contratto prevede, per le prestazioni svolte, retribuzioni inferiori, ma deve dimostrare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dell’altro contraente, ossia di un errore che presenti i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c. (Cass. 5552/2011, Cass. 4942/2000, Cass. 4499/87) e che tale principio vale anche nella particolare ipotesi in cui venga accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro in luogo di quella autonoma formalmente prescelta dalle parti, poiché anche la diversa qualificazione del rapporto operata dalle parti, e risultata poi non esatta, può essere bensì frutto di un mero errore delle parti stesse, ma può derivare anche dalla loro volontà di usufruire di una normativa specifica, oppure di eluderla (cfr. Cass. 17455/2009, nonché Cass. 20669/2004);
13. in relazione ai motivi quarto e quinto, il problema si pone in termini analoghi che per il terzo motivo, anche per le ferie, con riferimento alla tariffa contrattuale applicabile, e per le festività, atteso che i precedenti richiamati affermano l’insussistenza di un diritto ad una applicazione cumulativa dei benefici rispettivamente previsti dal contratto individuale e dalla disciplina contrattuale collettiva o dalla legge ed affermano il principio per il quale il controllo contabile sul compenso ricevuto e sulla retribuzione spettante in base alla contrattazione collettiva debba avvenire nei termini globali prima indicati, escludendosi il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto;
Ricorso incidentale:
14. con il primo motivo, è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla totale assenza di prova circa l’obbligatorietà del regolamento, laddove tale circostanza sarebbe stata rilevante per un giudizio di segno opposto ed era stata oggetto di discussione tra le parti, essendosene rilevata l’inutilità ai fini dell’accertamento degli indici della subordinazione;
15. con il secondo, è addebitata alla sentenza violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2094, 2222, 1324 e 1362 e ss. c.c., nonché dell’artt. 61 d. Igs. 276/2003 e 409, n. 3, c.p.c., sostenendosi che la Corte del merito abbia confuso l’inserimento organico della collaboratrice nell’organizzazione dell’imprenditorie con il coordinamento funzionale della prestazione, tipico della collaborazione coordinata e continuativa; si riporta il testo del Regolamento per sostenere che gli obblighi cui il collaboratore era tenuto in assenza di una decisione unilaterale del committente circa i giorni di presenza e di svolgimento della prestazione erano perfettamente compatibili con la collaborazione autonoma e che gli elementi valorizzati dalla Corte per affermare la natura subordinata del rapporto (previsione di durata dei trattamenti, utilizzo di materiali della società) erano del tutto neutri ai fini considerati, laddove avrebbero dovuto valorizzarsi l’autonomia nella determinazione dei periodi di riposo, a discrezione del collaboratore nella quantità e nel periodo di godimento, la libertà nello scambiarsi i turni, di stabilire la durata della reperibilità, la predisposizione non unilaterale dell’orario di lavoro settimanale, così come valutato dal primo giudice quanto all’assenza di stringenti direttive sul quomodo della prestazione; si assume che il giudice del gravame avrebbe dovuto procedere alla valutazione senza stralciare la volontà delle parti in sede di costituzione del rapporto, che rimane sempre il punto di partenza dell’ interpretazione;
16. si richiamano, con il primo motivo, deposizioni asseritamente a conforto della mancanza di obbligatorietà e vincolatività dello stesso, il che dimostra che non si tratta di omesso esame di un fatto, ma di deduzione di una serie di elementi probatori, la cui asserita valutazione, difforme da quella voluta dalla parte, esula dal vizio dedotto. La pluralità di fatti censurati (di palese negazione ex se del requisito di decisività: Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625) pone la censura al di fuori del paradigma devolutivo e deduttivo del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), avendo la doglianza piuttosto il carattere di una (inammissibile) contestazione della valutazione probatoria della Corte di merito;
17. quanto al secondo motivo, i rilievi sull’attività di valutazione riservata al giudice del merito non sono consentiti in sede di legittimità in quanto attingono il merito e non l’applicazione dei parametri normativi di cui all’art. 2094 c.c., o direttamente connesse, quanto alla relativa decisione, alla natura del rapporto quale individuata in sede giudiziale;
18. La giurisprudenza è unanimemente attestata nel ritenere che il nomen iuris (la qualificazione del rapporto data dalle parti) non può assumere valore dirimente di fronte ad elementi fattuali – quali la previsione di un compenso fisso, di un orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere delle mansioni, nonché il collegamento tecnico, organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali – che costituiscono indici rivelatori della natura subordinata del rapporto, anche se svolto per un arco temporale esiguo (Cass. 8.4.2015 n. 7024, Cass. 21.10.2014 n. 22289 con riguardo al lavoro a progetto con riferimento al suo concreto atteggiarsi);
19. più in generale, si è affermato che sia allorché le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, a) abbiano simulatamente dichiarato di volere un diverso rapporto lavorativo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia, b) sia nel caso in cui l’espressione verbale abbia tradito la vera intenzione delle parti, c) sia infine nell’ipotesi in cui, dopo avere voluto realmente il contratto di lavoro autonomo, durante lo svolgimento del rapporto le parti stesse, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione e di passare ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione, il giudice di merito, cui compete di dare l’esatta qualificazione giuridica del rapporto, deve attribuire valore prevalente al comportamento tenuto dalle parti nell’attuazione del rapporto stesso (Cass. 1.9.2014 n. 18476): tale conclusione si pone come logica conseguenza del principio dell'”indisponibilità del tipo contrattuale”;
20. per tutte le considerazioni svolte, deve pervenirsi al rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;
21. la reciproca soccombenza giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità;
22. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002 per entrambe le parti;
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto sia per il ricorso principale che per quello incidentale a norma dell’art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R.
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