CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 marzo 2022, n. 7400
Licenziamento – Illegittimo – Intento ritorsivo – Identità dei motivi del licenziamento individuale e di quello collettivo
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma ha rigettato il reclamo proposto dalla D.C. s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato la nullità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad A.M. a far data dall’8 ottobre 2016, in frode alla legge, perché fondato sulle medesime ragioni che avevano originato in precedenza un licenziamento collettivo e senza, tuttavia, che ne fossero stati rispettati gli adempimenti previsti dalla legge n. 223 del 1991 ed in particolare senza alcuna comparazione con gli altri dipendenti.
2. Il giudice del reclamo ha osservato che il Tribunale aveva ritenuto che tali circostanze erano di per sé significative dell’insussistenza della ragione posta a base del recesso ed inoltre aveva accertato che dal confronto degli organigrammi degli anni 2015 e 2017 era risultata confermata la prosecuzione dell’attività e l’insussistenza delle ragioni poste a base del recesso ed aveva sottolineato che la contiguità tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato al lavoratore in prossimità della cessazione del congedo e della chiusura della procedura collettiva erano circostanze sintomatiche della condotta elusiva tenuta.
3. Il giudice del reclamo, quindi, nel confermare che le ragioni poste a fondamento del licenziamento collettivo e di quello individuale erano sostanzialmente sovrapponibili ha sottolineato che non vi erano elementi di fatto per ritenere che la procedura di dismissione imposta dalla Commissione Europea, dalla quale era originato il licenziamento collettivo, avesse avuto, successivamente alla conclusione della procedura ed in coincidenza con il rientro del M. ed il suo licenziamento individuale, un’improvvisa accelerazione. Al riguardo la Corte di merito ha evidenziato che la procedura di licenziamento collettivo si era conclusa senza esuberi per effetto della totale adesione dei destinatari alla proposta di esodo volontario incentivato, con riassorbimento di due unità che già vi avevano aderito e che nell’anno trascorso tra la cessazione della procedura collettiva ed il licenziamento del M. la situazione era rimasta invariata.
4. In conclusione il giudice del reclamo ha posto in rilievo che, in assenza di ragioni sopravvenute che avrebbero potuto giustificarne il sacrificio, la mancata inclusione del M. nella procedura collettiva gli aveva precluso la possibilità di avvalersi in quell’ambito del raffronto della sua posizione con tutte le altre.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la D.C. s.p.a. affidato a quattro motivi. A.M. ha resistito con controricorso ulteriormente illustrato da memoria.
Considerato che
6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 cod. civ. nonché degli artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 41 Cost. per avere la Corte di appello ritenuto elusivo della legge n. 223 del 1991 il licenziamento intimato al dott. M. in ragione del mancato inserimento dello stesso nel calcolo degli esuberi determinando uno svantaggio al lavoratore.
7. In sintesi, il ricorrente deduce che la metodologia di calcolo degli esuberi rientra nella discrezionalità del datore di lavoro non essendovi alcuna disposizione di legge che imponga di indicare come vi si è addivenuti e potendo, semmai la questione essere demandata alla negoziazione con le OO.SS.
8. Sostiene che nello specifico non era ravvisabile alcun intento elusivo o fraudolento neppure nella mancata inclusione dei lungo assenti tra gli esuberi ed evidenzia che al lavoratore non sarebbe stata preclusa l’adesione alla fase di risoluzione volontaria concordata in sede sindacale e dunque questi non si potrebbe dolere dell’avvenuta mancata comparazione con gli altri lavoratori. Sottolinea infatti che la necessità di procedere ad una comparazione tra i lavoratori è peculiare della procedura di licenziamento collettivo che, di fatto, non era stata mai attivata.
9. La censura è infondata e deve essere rigettata.
10. Questa Corte ha già avuto occasione di esaminare una questione del tutto analoga alla presente (cfr. Cass. 23/04/2021 n. 10869) ed in quella sede si è ritenuto che non sia consentito al datore di lavoro tornare sulle scelte compiute quanto al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero, ovvero ai criteri di scelta dei singoli lavoratori da estromettere, attraverso ulteriori e successivi licenziamenti individuali la cui legittimità è subordinata alla individuazione di situazioni di fatto diverse da quelle poste a base del licenziamento collettivo (Cass. 16 gennaio 2020, n. 808). Realizza uno schema fraudolento ai sensi dell’art. 1344 cod.civ. il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento collettivo a meno che questo non sia risultato nullo o inefficace. Solo in tal caso, infatti, il datore di lavoro può procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che ne sussistano i requisiti, ma tale rinnovazione si risolve nel compimento di un negozio diverso dal precedente e resta al di fuori dello schema dell’art. 1423 cod.civ., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti ex tunc ma non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale (cfr. Cass. 02/11/2015 n. 22357).
11. Va ribadito invece che la peculiarità del contratto in frode alla legge, regolato dall’art. 1344 cod.civ., consiste nel fatto che le parti raggiungono, attraverso accordi contrattuali, il medesimo risultato vietato dalla legge. Nonostante il mezzo impiegato sia lecito, è illecito invece il risultato che, attraverso l’abuso del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria, si vuole in concreto realizzare (Cass. 26/01/2010 n. 1523). Così si è ritenuto ad esempio che la scissione societaria in frode alla legge determini la nullità dei licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo qualora vi sia un collegamento negoziale tra l’operazione societaria e i plurimi recessi datoriali, perché in tal modo viene elusa la normativa sui licenziamenti collettivi (Cass. 26/07/2018 n. 19863).
12. In definitiva la frode alla legge si realizza ove si manifesti una divergenza fra la causa tipica dell’atto negoziale e la determinazione causale del suo autore indirizzato alla elusione di una norma imperativa e la sua verifica è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione ove correttamente ed adeguatamente motivata (Cass. 7 febbraio 2008, n. 2874; Cass. 26 settembre 2018, n. 23042).
13. Nel caso in esame la Corte territoriale ha accertato l’identità delle ragioni della procedura collettiva e del licenziamento in ragione della loro prossimità temporale. A tal riguardo risulta priva di decisività la questione relativa alle posizioni dei lavoratori c.d. lungo assenti, come l’odierno controricorrente. Ed infatti, in assenza di una specifica indicazione nella comunicazione di avvio della procedura, ai sensi dell’art. 4 terzo comma della legge n. 223 del 1991, questi non potevano essere esclusi dal computo ai fini della determinazione degli esuberi.
14. Con il secondo motivo di ricorso è denunciato, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per avere il giudice di appello affermato che l’esclusione del dott. M. gli aveva procurato uno svantaggio senza considerare che egli stesso aveva dichiarato, nei suoi scritti difensivi, di essere stato incluso tra i lavoratori considerati in esubero e che aveva deciso di non aderire all’esodo. Sottolinea la ricorrente che, a maggior conforto dell’inesistenza dello svantaggio ritenuto invece sussistente dal giudice del reclamo, andava considerato che il lavoratore al momento dell’avvio della procedura ed all’atto della sottoscrizione dell’accordo in sede sindacale non era lungo assente essendolo divenuto solo a distanza di oltre un mese dalla sottoscrizione dell’accordo sindacale e nello stesso giorno in cui si erano chiuse le adesioni alla fase di esodo volontaria. Sostiene che nello specifico non potrebbe essere invocata rispetto alla censura mossa l’esistenza della preclusione introdotta dall’art. 348 ter comma quinto cod.proc.civ.
15. La censura è inammissibile atteso che ciò di cui ci si duole è proprio l’erroneità della ricostruzione dei fatti in concreto allegati e provati. Si tratta di ricostruzione eseguita conformemente sia in sede di opposizione che in sede di reclamo ed un suo nuovo esame è precluso in cassazione. In ogni caso, anche a voler superare tale preliminare preclusione va rilevato che la censura si risolve in una diversa valutazione dei fatti accertati in ogni caso preclusa al giudice di legittimità. Il travisamento della prova, che presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, che era valutabile in sede di legittimità qualora avesse dato luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360, comma 1 n. 5 cod.proc.civ. dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla legge n. 134 del 2012, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Conseguentemente “a fortiori” se ne deve escludere la possibilità di denunciarlo in caso di cd. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348- ter, ultimo comma, cod.proc.civ. (Cass. 03/11/2020 n. 24395).
16. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 30 della legge n. 183 del 2010 avendo la Corte effettuato valutazioni di merito sulle scelte tecniche organizzative e produttive della Banca. Deduce la ricorrente che l’indagine del giudice di appello ha attinto alle scelte discrezionali, sotto il profilo della congruità ed opportunità delle stesse, effettuate dalla datrice di lavoro per fronteggiare la necessità ridurre lo stock di mutui e titoli e della conseguente necessità di riduzione dell’organico sulla base di fatti sopravvenuti ed imprevedibili al tempo della procedura collettiva. Sottolinea che tenuto conto dell’unico obiettivo della società, di contenere le perdite per accompagnare l’estinzione degli attivi, la scelta dei criteri di gestione dell’impresa per sua natura dinamica e correlata a fattori diversi, non avrebbe potuto e dovuto essere sindacata davanti al giudice a fronte dell’esistenza di situazioni ulteriori ed oggettive che hanno determinato le specifiche scelte aziendali.
17. La censura non può essere accolta. La Corte di appello non ha effettuato alcuna valutazione critica delle scelte imprenditoriali della società ma ha piuttosto proceduto alla mera constatazione della sostanziale sovrapponibilità delle ragioni poste a fondamento della procedura collettiva e di quelle invocate per giustificare il recesso dal rapporto di lavoro con l’odierno controricorrente.
18. Nella sua indagine la Corte del reclamo si è limitata a ricostruire i fatti e, una volta verificatane l’identità, ha tratto da tale accertamento la conclusione della illegittimità del recesso applicando principi conformi a quelli affermati da questa Corte che anche di recente ha ribadito che “In tema di licenziamento collettivo, la gestione procedimentalizzata ha lo scopo di realizzare l’effettivo coinvolgimento del sindacato nelle scelte organizzative dell’impresa vincolando l’imprenditore al loro rispetto anche dopo la chiusura della procedura; ne deriva che non è consentito al datore di lavoro di tornare sulle scelte compiute quanto al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero, ovvero ai criteri di scelta dei singoli lavoratori da estromettere, attraverso ulteriori e successivi licenziamenti individuali la cui legittimità è subordinata alla individuazione di situazioni di fatto diverse da quelle poste a base del licenziamento collettivo (Cass. n. 808 del 2020 cit.).
19. L’ultimo motivo di ricorso, che ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 cod. civ., degli artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 e dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 oltre che dell’art. 41 Cost. per avere la Corte di appello ritenuto in frode alla legge il licenziamento del dott. M. per sostanziale identità di motivazione del licenziamento con le ragioni poste alla base della procedura deve essere infine rigettato per le medesime ragioni già esposte con riguardo al primo motivo del presente ricorso e che qui si intendono richiamate.
20. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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