CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 novembre 2018, n. 28487
Licenziamenti disciplinari – Mancata audizione orale del lavoratore – Diritto di difesa – Sanzione espulsiva sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti contestati
Rilevato
che con sentenza del 9 giugno 2016, la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Pescara, accoglieva la domanda proposta da G. De I. nei confronti della Casa di cura privata “V.S.” del Dr. L. P. S.r.l., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità dei due successivi licenziamenti disciplinari intimatigli; che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, sussistenti, relativamente ai denunciati vizi formali, la violazione del principio di specificità con riguardo alle contestazioni del 27.5 e del 13.10.2005 e la lesione del diritto di difesa in relazione alla mancata audizione orale del lavoratore conseguita alle numerose richieste di rinvio per motivi di salute inoltrate dal medesimo e, ad abundatiam, stante il rilievo assorbente delle irregolarità rilevate, carenti di giusta causa, sul piano sostanziale, entrambi i licenziamenti, per essere la comminata sanzione espulsiva sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti contestati, ma sanzionabili, stante l’acquisizione da parte dell’interessato di altro lavoro a far data dal 22.11.2006, con il solo risarcimento del danno commisurato a tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella dell’accesso al nuovo impiego, esclusa ogni pretesa risarcitoria connessa al denunciato demansionamento e mobbing rimasto indimostrato sotto il profilo dell’intento vessatorio e prevaricatorio della condotta datoriale;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la Casa di cura, affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, il De I., che, a sua volta, propone ricorso incidentale, articolato su tre motivi, in relazione al quale la Casa di cura non ha svolto alcuna attività difensiva; che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata; che entrambe le parti poi presentavano memoria;
Considerato
che, con il primo motivo, la Casa di cura ricorrente principale, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c.e 111 Cost., deduce la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione in ordine alle eccezioni di inammissibilità dell’appello del De I. sollevate in via preliminare dalla Casa di cura allora appellata con riguardo alla violazione della regola della sinteticità dell’appello, all’inesistenza della notifica effettuata decorso il termine di 10 giorni di cui all’art. 435 c.p.c., alla carenza di interesse per aver la Casa di cura dato corso ad un terzo licenziamento in data 23.8.2006 non impugnato dal De I.;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, I. n. 300/1970, la Casa di cura ricorrente principale deduce l’erroneità della valutazione negativa espressa dalla Corte territoriale in ordine alla specificità delle contestazioni mosse al De I.;
che, con il terzo motivo del ricorso principale, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonché alla violazione e falsa applicazione dell’art. 7. L. n. 300/1970 in relazione all’art. 1375 c.c., si imputa alla Corte la mancata considerazione delle testimonianze dei medici cui era
riferibile il rilascio dei certificati di cui il De I. si è avvalso per giustificare l’assenza agli incontri reiteratamente fissati per la sua audizione a difesa, certificati che, a detta della Casa di cura ricorrente, varrebbero ad attestare la compatibilità della patologia certificata con la sostenibilità del colloquio e, così, l’uso strumentale di quei certificati tale da riflettere un contegno non ispirato a correttezza e buona fede;
che, nel quarto motivo del ricorso principale, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in una con la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. è predicato in relazione al giudizio espresso dalla Corte territoriale circa l’insussistenza dell’invocata giusta causa di recesso con riferimento a ciascuno degli addebiti contestati;
che, nel quinto motivo, la Casa di cura ricorrente principale prospetta la medesima censura concernente il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. cui questa volta aggiunge l’art. 2106 c.c. con riguardo al generale giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla non proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dei fatti contestati;
che, dal canto suo, il ricorrente incidentale, nel denunciare, con il primo ed il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, I. n. 300/1970, censura, condizionatamente all’accoglimento delle censure di cui al ricorso principale circa i vizi formali degli impugnati licenziamenti, il giudizio espresso dalla Corte territoriale in relazione alla ritenuta irrilevanza della mancata affissione del codice disciplinare ed al rispetto dei principi dell’immutabilità e dell’immediatezza delle contestazioni;
che, con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2087, anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente incidentale deduce l’erroneità del convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla non ravvisabilità nella condotta datoriale di un intento persecutorio e discriminatorio a suo carico tale da consentirne la riconducibilità ad una ipotesi di mobbing; che, il primo motivo del ricorso principale si rivela infondato, atteso che, la pur sintetica motivazione, di per sé legittimata in parte qua dal riferimento all’analoga pronunzia di rigetto dell’eccezione relativa alla carenza di interesse in ragione dell’efficacia di un terzo licenziamento (di cui peraltro non si dà prova) recata dalla sentenza di prime cure, è idonea a dar conto dell’irrilevanza ai fini dell’ammissibilità dell’appello di censure palesemente inconsistenti quale quella relativa alla violazione della pretesa regola di sinteticità dell’appello o, comunque, ampiamente superabili in base all’orientamento invalso nella giurisprudenza anche di legittimità, quale quella concernente l’asserita inesistenza della notifica effettuata oltre il termine di 10 giorni di cui all’art. 435 c.p.c.;
che, di contro, inammissibile deve ritenersi il secondo motivo del ricorso principale, atteso che, non adducendo la Casa di cura ricorrente argomentazioni idonee ad evidenziare la non conformità a diritto della valutazione espressa dalla Corte territoriale in ordine alla specificità delle contestazioni, al contrario, correttamente incentrata sulla considerazione dell’esigenza di salvaguardia del diritto di difesa del lavoratore, la censura si limita, appunto inammissibilmente, a prospettare come valida la propria contraria valutazione; che parimenti inammissibile si appalesa il terzo motivo del ricorso principale, non ricorrendo il denunciato vizio di omesso esame rispetto alle censure mosse in sede di gravame circa l’idoneità giustificativa dell’assenza ai fissati incontri per l’audizione a difesa del lavoratore dei prodotti certificati medici, né risultando confutabile la valutazione, correttamente espressa dalla Corte territoriale alla stregua degli artt. 7, I. n. 300/1970 e 1375 c.c., circa il contegno improntato a buona fede da parte del lavoratore;
che ancora inammissibili risultano il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, in quanto riferiti a capi della sentenza dichiaratamente estranei alla ratio decidendi sulla quale la stessa si fonda;
– che il carattere condizionato del primo e del secondo motivo del ricorso principale ne determina l’assorbimento stante il rigetto (dei corrispondenti motivi di cui al ricorso principale; che, viceversa inammissibile risulta il terzo motivo del ricorso incidentale, risolvendosi la censura, anche in considerazione della non ravvisabilità del denunciato vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che qui sarebbe dato da una dichiarata volontà di estromissione del ricorrente dal posto di lavoro ampiamente confermata in sede istruttoria, in una mera rivalutazione dell’apprezzamento del materiale istruttorio operato dalla Corte territoriale;
che, pertanto, il ricorso principale va rigettato mentre quello incidentale, relativamente al terzo motivo, va dichiarato inammissibile, con compensazione tra le parti delle spese di lite in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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