CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 novembre 2019, n. 28689
Tributi – Accertamento – Operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti – Consapevolezza del contribuente – Presunzione automatica
Rilevato che
la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Milano, con sentenza del 5 maggio 2011, ha accolto parzialmente l’appello di A. E H. I., titolare della ditta individuale E.-T., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lodi che aveva, a sua volta, accolto parzialmente il ricorso proposto dal contribuente per ottenere l’annullamento dell’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato il suo reddito d’impresa relativamente all’esercizio 2002 ed aveva liquidato le maggiori imposte da lui dovute a titolo di IVA, IRPEF ed IRAP;
la CTR, in particolare: ha respinto l’eccezione dell’Ufficio di inammissibilità della prova documentale prodotta da A. E. H. I. per la prima volta in sede d’appello; ha accolto l’appello del contribuente nella parte in cui lamentava l’illegittimità della ripresa concernente le movimentazioni in entrata e in uscita del suo conto corrente; ha invece respinto il motivo di gravame con il quale l’appellante aveva insistito per l’annullamento della ripresa a tassazione di costi che l’Agenzia aveva ritenuto indeducibili in quanto relativi ad operazioni inesistenti (fatture emesse dalla D&D Impianti s.r.l. per lavori di posa in opera eseguiti presso il capannone di Sant’Angelo Lodigiano costruito da E. T.) rilevando: a) che l’amministrazione finanziaria aveva provato la sostanziale inesistenza della D&D, addirittura confermata da colui che ne risultava il legale rappresentante, e l’incompatibilità dell’attività di impresa della società (lavori di manutenzione di parti di carpenteria) con il tipo e la complessità dei lavori apparentemente da essa fatturati; b) che inoltre lo stesso appellante aveva riconosciuto la falsità sia oggettiva che soggettiva delle fatture, affermando di aver preso contatto con tale sig. N., persona diversa dall’amministratore di D&D e non meglio identificata, che si era reso disponibile a fornire la sola mano d’opera per i lavori da effettuare; c) che, infine, l’entità economica dei lavori apparentemente svolti non era logicamente compatibile con il costo complessivo dell’opera, di poco superiore al loro ammontare, né con la circostanza, emergente dalla stessa documentazione prodotta dal contribuente, che la costruzione del capannone era iniziata anni prima e nel 2002 era in fase di ultimazione;
A. E. H. I. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi di censura;
l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale per un motivo;
considerato che
il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 19 d.P.R. n. 633/1972, per non avere la CTR valutato il suo stato di buona fede e la sua mancanza di consapevolezza del comportamento fraudolento posto in essere dalla società cedente;
col secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, cod. civ., 2697, cod. civ., e degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., lamenta che la CTR abbia fondato la decisione su elementi presuntivi privi dei caratteri della univocità, certezza e concordanza, senza esaminare la documentazione da lui prodotta;
con il terzo motivo deduce l’omessa e/o insufficiente motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla sua mancata conoscenza della fittizietà della fatture emesse da D&D;
il primo ed il terzo motivo, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati;
la CTR ha infatti accertato che le operazioni apparentemente fatturate da D&D s.r.l. erano non solo soggettivamente, ma anche oggettivamente inesistenti: tale accertamento implica, in via logica, anche quello della consapevolezza della frode da parte dell’odierno ricorrente, posto che, come ripetutamente affermato da questa Corte, «una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede dell’operatore, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo»( da ultimo, fra molte, Cass. nn. 18118 del 2016, 851 del 2018, 11873 del 2018);
il secondo motivo è infondato laddove denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., che non può essere prospettata per l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. civ., 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. civ., 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960);
il motivo è invece inammissibile, ai sensi dell’art. 366, 1° comma n. 6 c.p.c., nella parte in cui lamenta l’omesso esame di alcuni documenti, o l’errata interpretazione di altri ritenuti dalla CTR fondanti la prova presuntiva, che non sono stati specificamente allegati al ricorso e di cui non è precisata l’esatta collocazione processuale: tali omissioni precludono infatti a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti di causa, di verificare la decisività dei primi e il travisamento dei secondi;
con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, d.P.R. n. 600/1972 e dell’art. 58, decreto legislativo n. 546/1992, per avere la CTR ritenuto ammissibile la produzione in appello dei documenti relativi ai singoli movimenti bancari; il motivo è infondato;
va osservato, in primo luogo, che ai sensi dell’art. 32, comma quarto, d.P.R. n. 600/1972, le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta;
l’applicabilità della previsione normativa in esame presuppone che l’amministrazione abbia formalizzato uno specifico invito alla produzione, facendone specifica richiesta ed informando il contribuente degli effetti negativi della mancata risposta, ma della sussistenza di tali presupposti non è dato in alcun modo atto nel presente motivo;
inoltre, con riferimento alla ritenuta violazione dell’art. 58 del decreto legislativo n. 546/1992, va osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel processo tributario, il secondo comma della previsione normativa in esame abilita alla produzione di qualsivoglia documento in appello, senza restrizione alcuna e con disposizione autonoma rispetto a quella che, nel primo comma, sottopone invece a restrizione l’accoglimento dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova (Cass. civ., 16 novembre 2018, n. 29568; conf, Cass. civ. n. 22776/2015);
la reciproca soccombenza delle parti giustifica la declaratoria di integrale compensazione delle spese del presente giudizio;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese di lite.
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