CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 ottobre 2021, n. 27320
Rapporto di lavoro – Dequalificazione professionale – Risarcimento danni – Licenziamento – Indennità sostitutiva delle ferie, delle festività e dei permessi non goduti
Rilevato che
1. la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non dovuta da T.I. s.p.a. la somma di € 31.831,62 di cui al decreto ingiuntivo ottenuto da G.D.S. per l’importo complessivo di € 438.091,86, decreto opposto dalla società;
2. la pretesa monitoria era stata azionata sulla base della sentenza n. 1972/2012 del Tribunale di Roma, parzialmente riformata dalla Corte distrettuale con sentenza n. 6783/2013, confermata dalla Corte di cassazione;
3. ha osservato il giudice di appello che gli effetti caducatori connessi alla parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma n. 1972/2012 si riflettevano sulle somme richieste a titolo di risarcimento del danno da dequalificazione professionale per l’anno 2007, di danno biologico temporaneo oltre accessori ed, in parte, sulle somme richieste a titolo di spese legali; in relazione alla somma di € 31.831,62, pretesa a titolo di indennità sostitutiva delle ferie, delle festività e dei permessi non goduti, esclusa con riguardo alla stessa la cessazione della materia del contendere, ha rilevato che tali emolumenti non erano dovuti nel periodo di sospensione conseguente all’illegittimo licenziamento del D.S. trattandosi di emolumenti che presupponevano l’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità;
4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.D.S. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione del principio di immodificabilità del Collegio Giudicante ai sensi degli artt. 276, 158, 420 e 437 cod. proc. civ.; sostiene che la pronunzia del dispositivo e la successiva pubblicazione della motivazione della sentenza erano state deliberate da un collegio diverso da quello dinanzi al quale – in data 7.12.2015 – era avvenuta la discussione orale e che aveva trattenuto in decisione la causa;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 434 cod. proc. civ. – error in procedendo -, censurando la sentenza impugnata per non avere rilevato il difetto di specificità dell’atto di gravame della società T. la quale si era limitata alla contestazione del quantum delle maggiori indennità ingiunte, senza investire i presupposti alla base della statuizione di cessazione della materia del contendere di primo grado;
3. il primo motivo di ricorso è infondato. In tema di controversie in materia di lavoro, l’art. 429 cod. proc. civ. stabilisce la contestualità tra esaurimento della discussione, conclusioni delle parti, lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni in fatto e in diritto della decisione, salva la ipotesi della particolare complessità che consente la fissazione di un termine per il deposito della sentenza; analogamente, l’art 437, comma 1, cod. proc. civ., con riferimento alla udienza di discussione in grado di appello stabilisce, per quel che qui rileva, che il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronunzia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza; il principio di immodificabilità del Collegio invocato dall’odierno ricorrente non postula la necessaria identità dei relativi componenti in relazione a tutte le udienze nelle quali si snoda il procedimento ma solo la coincidenza fra i componenti del Collegio che hanno assistito alla discussione, intesa come momento finale delle attività processuali di difesa delle parti antecedenti alla delibazione della decisione, e coloro che tale decisione hanno in concreto adottato; il che si è verificato nel caso di specie stante la coincidenza tra il Collegio che ha assistito alla discussione della causa all’udienza del 13 novembre 2017 e quello che all’esito della stessa ha pronunziato sentenza dando lettura del dispositivo; la udienza di ” discussione” nel senso preteso da parte ricorrente non potrebbe identificarsi, pertanto, con quella tenuta dal Collegio di appello il 7 dicembre 2015 in quanto all’esito della stessa non vi è stata alcuna decisione della causa ma solo un provvedimento di sospensione del giudizio in attesa della decisione dell’impugnazione, proposta davanti alla Corte di cassazione, della sentenza di secondo grado sull’an debeatur; tanto esclude in radice che l’inizio della discussione possa farsi risalire, come prospetta parte ricorrente, alla udienza del 7 dicembre 2015, non emergendo alcuna indicazione in tal senso di rinvio per prosieguo della discussione e dovendo ulteriormente rilevarsi che tale discussione, proprio alla luce delle ragioni alla base della sospensione, richiedeva, per poter essere utilmente effettuata, la verifica dell’esito del giudizio di cassazione relativo alla sentenza sull’an. Non sussiste quindi la dedotta violazione del principio di immodificabilità del Collegio che si rinviene allorquando risulti che la decisione è stata adottata da un Collegio diverso da quello davanti al quale si è svolta la discussione della causa (Cass. 13963/2019, 22658/2007, 8066/2007) ;
4. il secondo motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha espressamente dato atto che l’appello della società T. concerneva anche la statuizione di cessazione della materia del contendere in relazione alla somma di € 31.831,62 (v. sentenza, pag. 4, ultimo capoverso) e tale affermazione non è validamente contrastata dall’odierno ricorrente;
4.1. secondo la consolidata giurisprudenza della S.C., in caso di denunzia di error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. tra le altre, Cass. 20716/2018, 8069/2016, 16164/2015). Al fine di consentire tale sindacato, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 2771/2017); in particolare, in presenza di denunzia implicante la verifica di specificità del motivo di appello è stato escluso che la parte ricorrente possa limitarsi ad un mero rinvio per relationem all’atto di gravame (Cass. 22880/2017, 20405/2006);
4.2. tale onere non è stato in concreto assolto dall’odierno ricorrente il quale, pur denunziando la non conformità del ricorso in appello al parametro legale di cui all’art. 434 cod. proc. civ., ha affidato la censura articolata ad una trascrizione solo parziale dell’atto di gravame della società, inidonea in quanto tale a consentire, attraverso l’esame diretto dell’atto, la verifica dell’errore in tesi ascritto al giudice di merito. Come detto, parte ricorrente si è limitata alla riproduzione solo di alcune pagine del ricorso in appello (pagg. 3 e 4) e da esse non è dato evincere il denunziato difetto di specificità del gravame di T. in ordine alla contestazione dei presupposti in base ai quali era stata dichiarata la cessazione della materia del contendere;
5. al rigetto del ricorso consegue la regolamentazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione;
6. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. Sez. Un. 4315/ 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali,€ 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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