CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 ottobre 2022, n. 29287
Lavoro – Operaia agricola a tempo determinato – Indennità di disoccupazione – Parametro del salario medio convenzionale – Maggiorazione del terzo elemento – Esclusione
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 477/19, la Corte d’appello di Reggio Calabria confermava la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di F.R., operaia agricola a tempo determinato, di condanna dell’Inps al pagamento della maggior somma spettante a titolo di indennità di disoccupazione agricola per l’anno 2013, parametrata al valore al salario medio convenzionale della provincia di Reggio Calabria ovvero, in subordine, al salario minimo contrattuale previsto dal contratto collettivo provinciale di lavoro per gli operai agricoli e florivivaisti della medesima provincia, da maggiorarsi del c.d. terzo elemento, nonché di condanna al corrispondente accreditamento della relativa contribuzione figurativa.
La Corte ha escluso che la disciplina del salario medio convenzionale di cui agli artt. 28 d.P.R. n. 488/68 e 7 l. n.233/90 rilevasse ai fini del calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola degli operai agricoli a tempo determinato, e ha altresì disatteso la tesi volta a maggiorare di una percentuale corrispondente al c.d. terzo elemento la retribuzione del contratto provinciale da assumere a base di calcolo della predetta indennità, ritenendo che il terzo elemento vi fosse già incluso. Di conseguenza, ha ritenuto infondata la domanda di rideterminazione della contribuzione figurativa per i periodi di disoccupazione. Ha infine compensato ai sensi dell’art. 92 d.a. c.p.c. le spese del giudizio di appello, confermando invece la pronuncia di primo grado di condanna alle spese, poiché la dichiarazione di cui all’art. 152 d.a. c.p.c. era stata prodotta in sede di appello e non in primo grado.
Contro la sentenza, il ricorso per cassazione propone cinque motivi di censura.
L’Inps ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Considerato in diritto
Con il primo motivo viene denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 28 d.P.R. n. 488/68, 7 l. n. 233/90, 1 (rectius 01), co. 4, d. l. n. 2/2006 conv. con l. n. 81/06, in relazione all’art. 8 l. n. 334/68 e all’arti d. l. n. 338/89, nonché dell’art. 2, co. 5 e co. 153, l. n. 191/09. La sentenza avrebbe errato nel ritenere applicabile ai lavoratori agricoli a tempo determinato il regime generale dell’arti, co.1 d. l. n.338/89. Al contrario, per essi continuerebbe a vigere la retribuzione calcolata in base al salario medio convenzionale, poiché l’arti., co. 785, l. n.296/06, interpretando in via autentica l’art.01, co.4, d. l. n.2/2006, ha previsto che per i soggetti di cui all’art.8 l. n.334/68 continuino a trovare applicazione gli artt. 28 d.P.R. n. 488/68 e 7 l. n. 233/90, e, tra questi soggetti, sono citati gli operai agricoli a tempo determinato, equiparati ai compartecipanti familiari e piccoli coloni.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonché dell’art. 49 CCNL 25.5.2010 per gli operai agricoli e florovivaisti e dell’art. 14 CCP 14.3.2013 per gli operai agricoli e florivivaisti per la provincia di Reggio Calabria. La Corte avrebbe errato nel ritenere che la tabella allegata al Contratto Collettivo Provinciale per la provincia di Reggio Calabria già contenesse il c.d. terzo elemento.
Con il terzo motivo si ribadiscono le violazioni di diritto dei primi due motivi ai fini della contribuzione figurativa.
Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. in quanto la Corte d’appello avrebbe dovuto accogliere il ricorso e quindi condannare l’Inps al pagamento delle spese del giudizio d’appello.
Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 152 d. a. c.p.c. La Corte avrebbe dovuto compensare le spese del giudizio di primo grado sebbene la dichiarazione di cui all’art. 152 d.a. c.p.c. fosse stata depositata solo in sede d’appello.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte, con più pronunce (v. Cass. 40400/01, seguita, tra le altre, da Cass.41466/21, Cass.440/22, Cass. 2705/22) rese su casi analoghi al presente, ha ritenuto che, ai fini del calcolo delle prestazioni temporanee previste in favore degli operai agricoli a tempo determinato, non possa farsi riferimento alla misura del salario medio convenzionale di cui all’art. 28 del d.P.R. n. 488/68, in quanto tale criterio, per la categoria in questione, è stato sostituito con quello della retribuzione prevista dai contratti collettivi di cui all’art. 1, co. 1, del d. l. n. 338/89, convertito con modificazioni in l. n. 389/89, secondo quanto previsto dall’ art. 01, co. 4 e 5, d. l. n. 2/06, convertito con modificazioni in l. n. 81/2006, e dall’art. 1, co. 55, della l. n. 247/07. In particolare – si è affermato – va escluso che il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 785, della l. n. 296/06, all’art. 8, della l. n. 334/68, possa avere il significato di reintrodurre il precedente sistema del salario medio convenzionale. È stato altresì escluso un dubbio di legittimità costituzionale per disparità di trattamento, avendo il giudice delle leggi più volte affermato che la necessaria tutela del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, di cui all’art. 35 Cost., non impedisce al legislatore di approntare tutele differenziate in ragione di tali diverse forme (cfr., fra le tante, Corte cost. nn. 365 del 1995 e 165 del 1972).
A tale orientamento il collegio ritiene di doversi uniformare, non presentando gli argomenti della memoria rilievi capaci di minarne la fondatezza giuridica.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Secondo parte ricorrente, la tabella retributiva allegata al contratto collettivo provinciale del 2013 non includerebbe il terzo elemento ma solo la paga base.
L’orientamento di questa Corte, espresso nelle sentenze summenzionate, facendo leva sull’art. 1363 c.c., ha invece ritenuto che la tabella già ricomprendesse la voce del c.d. terzo elemento. Il richiamo all’art. 1363 c.c. appare del tutto corretto, considerato che nell’interpretazione dei contratti collettivi ruolo predominante va assegnato alla regola ermeneutica dettata da tale norma (Cass. 11834/09, Cass. 40400/21). Del resto, la diversa lettura interpretativa propugnata in ricorso, assunta in sé sola, resta irrilevante. Infatti, la censura per cassazione dell’interpretazione data al contratto dal giudice di merito, non può risolversi nella mera prospettazione di un’interpretazione alternativa, ritenuta più confacente alle aspettative della parte ricorrente (Cass. 9950/21, Cass. 319/03).
L’infondatezza dei primi due motivi di ricorso determina l’assorbimento del terzo e del quarto.
Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Come questa Corte ha già affermato nella citata sentenza n. 40440/01, la dichiarazione ex art. 152 d.a. c.p.c. prodotta in grado d’appello non può valere per il primo grado al fine di consentire l’esonero delle spese per quel grado, atteso che la legge riconnette a tale dichiarazione un’assunzione di responsabilità che, oltre ad essere personalissima e non delegabile al difensore, segna il punto di bilanciamento tra l’esigenza di assicurare l’effettivo accesso alla tutela di diritti costituzionalmente garantiti e quella di prevenire e reprimere gli abusi tramite controlli, questi ultimi chiaramente preclusi ove si consentisse l’ingresso nel processo di dichiarazioni autocertificative per il passato.
Il ricorso va pertanto rigettato, nulla pronunciandosi sulle spese del giudizio di legittimità stante la dichiarazione ex art. 152 d.a. c.p.c. allegata al ricorso per cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/02, con conseguente obbligo in capo a parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.