CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2018, n. 21774
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per vizio di motivazione – Deduzione proposta per la prima volta nelle fase successive al primo grado – Inammissibilità. – Disavanzo da fusione – Deducibilità – Condizioni
Fatti di causa
La Srl G.C. propone ricorso per cassazione, con due motivi, illustrato con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana che, rigettandone l’appello nel giudizio introdotto con l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso, ai fini dell’IRPEG e dell’IRAP per l’anno 2004, sulla base di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza di Siena, con il quale si formulavano una pluralità di rilievi, e segnatamente, per quel che ancora rileva, si contestava la illegittima deduzione delle somme corrispondenti al disavanzo di fusione di società, ha confermato la fondatezza della pretesa dell’ufficio.
Secondo l’atto di appello, G.C. e P.N. avevano dapprima rivalutato le quote di partecipazione detenute nella srl Edilizia S. fino agli importi fissati dalla perizia giurata di stima 16112/2002, pagando l’imposta sostitutiva prevista dalla legge n. 448 del 2001, e successivamente, in data 29 maggio 2003, avevano ceduto le quote stesse alla srl G.C. optando per la tassazione della eventuale plusvalenza in sede di dichiarazione dei redditi: nessuna plusvalenza tuttavia veniva rilevata perché la cessione era avvenuta al medesimo valore risultante dalla rivalutazione, assunto come nuovo valore fiscale. La società contribuente, acquistate le quote dalle due persone fisiche (il C. e la N.), aveva proceduto alla fusione per incorporazione della società (la srl Edilizia S.) oggetto della cessione delle quote, con delibera di fusione del 10 luglio 2003. A seguito della fusione per incorporazione totalitaria, la società contribuente aveva rilevato un disavanzo da fusione per annullamento di quote pari a euro 2.326.000 derivante dal maggior prezzo pagato per il loro acquisto, e di conseguenza aveva iscritto in bilancio una posta a titolo di “avviamento” come spesa relativa a più esercizi”.
La CTR ha rigettato sul punto il gravame, confermando la sentenza di primo grado, in quanto l’opzione di affrancamento doveva essere espressa nell’esercizio in cui la fusione era stata effettuata, mediante pagamento dell’imposta sostitutiva del 19% sui maggiori valori iscritti.
Tale possibilità, osserva il giudice d’appello, non era stata esercitata dalla società contribuente nella forma prevista dall’art. 6 del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, che appunto detta il regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione o scissione di società, articolo il cui testo veniva trascritto.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Col primo motivo la società contribuente denuncia la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: la CTR di Firenze avrebbe omesso di pronunciare sia circa l’eccezione di nullità della notifica dell’atto di accertamento, sia circa il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento medesimo, eccezioni sollevate dalla srl C. impugnati. In via subordinata, nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione del combinato disposto degli artt. 61 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, 132, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché art.111, comma 6, Cost., a fronte del difetto assoluto della motivazione sottesa al rigetto – che parrebbe implicito – dell’eccezione di essa C. di cui sopra.
Il motivo, nella sua duplice articolazione, è infondato ovvero inammissibile, atteso che, secondo il costante orientamento di questa Corte, “in tema di IRPEF e IVA, il vizio di «nullità» dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione (artt.42 e 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972), deve essere inteso come vizio di «annullabilità»; ne consegue che esso deve necessariamente (artt. 61 d.P.R. n. 600 del 1973 e 59 del d.P.R. n. 633 del 1972) essere dedotto dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria di primo grado, e che si riveli inammissibile la sua deduzione per la prima volta innanzi alla Commissione Tributaria Regionale” (Cass. n. 8114 del del 2002; più di recente, cfr. Cass. n. 13126 del 2013, n. 10802 del 2010, nel senso che “nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio”.
La eccezione era quindi inammissibile in quanto nuova, rimanendo escluso ogni profilo di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. Analoghe considerazioni vanno svolte circa l’obbligo, insussistente, di motivazione sulla eccezione o domanda nuova e perciò inammissibile, in relazione alla quale il giudice di appello ha nondimeno sottolineato (pag. 2) che “la sentenza è impugnata dalla srl G.C. solo con riferimento alla indeducibilità del disavanzo di fusione e alla applicazione dell’IVA ordinaria al 10%”, e che “ritenendone la rilevabilità anche di ufficio, la srl C. ha anche eccepito la nullità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione assolta solo per relationem …”.
Quanto al profilo del motivo concernente l’omessa pronuncia in ordine alla sollevata, già in primo grado, eccezione di difetto di notifica dell’avviso, esso è inammissibile per mancanza di autosufficienza, in quanto l’unica illustrazione della censura si rinviene in un passo, scarsamente comprensibile in sede di legittimità, del ricorso introduttivo trascritto, a tenore del quale “la notifica avvenuta a mani del servizio postale, e solo nei confronti della persona giuridica tramite i suoi incaricati, non ha consentito alla persona fisica di conoscere, com’è nel suo pieno diritto, le contestazioni eventualmente mosse anche nei suoi confronti in quanto rappresentante legale della persona giuridica oggetto di accertamento”.
Col secondo motivo denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, per violazione del combinato disposto degli artt. 61 e 36, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, 132, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché art. 111, comma 6, Cost. : la CTR, nel respingere la tesi sostenuta dalla società circa la illegittima esclusione della deducibilità delle somme corrispondenti al disavanzo di fusione, ha omesso di indicare la motivazione sottostante al proprio decisum.
Il motivo è infondato, in quanto il giudice d’appello ha motivato il rigetto del motivo.
In materia di imposte sui redditi, con riguardo alla fusione di società per incorporazione, ed in tema di deducibilità del disavanzo da fusione, infatti, “solo con l’art. 27 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, è stato introdotto il principio di neutralità fiscale delle operazioni societarie di fusione e di scissione, con la conseguenza che, a partire dall’1 gennaio 1995 – data di entrata in vigore di detta legge -, il disavanzo di fusione, ai sensi dell’articolo citato, non è più utilizzabile “per iscrizioni di valori in franchigia d’imposta, a qualsiasi voce, forma o titolo operate” (Cass. n. 3413 del 2002).
La deduzione di tali componenti negativi, tuttavia, era riconosciuta, alle condizioni fissate dall’art. 6 del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 (ma fino al 31 dicembre 2003, a norma dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344: “Sono abrogati gli articoli da 1 a 6 del d. Igs. 8 ottobre 1997, n. 358, con riguardo alle cessioni e ai conferimenti effettuati nonché alle operazioni di fusione e scissione perfezionate dopo il 31 dicembre 2003”).
Il giudice d’appello, richiamando la sentenza di primo grado, ha “respinto” la tesi della contribuente, “in quanto l’opzione di affrancamento doveva essere espressa nell’esercizio in cui la fusione fu effettuata, mediante pagamento dell’imposta sostitutiva del 19% sui maggiori valori iscritti. Tale possibilità non era stata esercitata dall’appellante nella forma prevista dall’art. 6 del d.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358”, recante Regime dei disavanzi derivanti da operazioni di fusione o scissione di società, articolo del quale di seguito il giudice ha trascritto i quattro commi, l’ultimo dei quali appunto stabilisce che “i soggetti che intendono avvalersi delle disposizioni dei commi 2 e 3 devono chiederne l’applicazione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui ha effetto la fusione o la scissione. Restano ferme, in caso contrario, le disposizioni in materia di fusioni”. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 7.000 oltre alle spese prenotate a debito.
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