CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2018, n. 21783
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Incrementi patrimoniali
Fatti di causa
M.R. propone ricorso per cassazione con due motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato l’accertamento sintetico, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, con il quale era stato determinato ai fini dell’IRPEF un maggior reddito a seguito dell’accertamento di incrementi patrimoniali per l’anno 2002, non suffragati da adeguata dichiarazione dei redditi per quell’anno.
Il contribuente, la cui attività consisteva nella compravendita di terreni agricoli e partecipazioni mobiliari, assumeva che nel corso del periodo che andava dal 2002 al 2005 aveva ricevuto una donazione di euro 88.000 dal padre quale lascito ricevuto a sua volta dalla madre, regali matrimoniali per euro 13.750, risarcimenti assicurativi per euro 6.249, nonché redditi agrari annuali derivanti dalle proprietà agricole per euro 20.000.
Il giudice d’appello ha ritenuto, quanto alla donazione paterna, che la dichiarazione giurata del padre non aveva alcuna valenza: se essa non era provata costituiva in effetti una prova testimoniale, che, per quanto suffragata dal giuramento, non era ammessa nel processo tributario. Per provare la donazione della somma il contribuente avrebbe dovuto quanto meno presentare l’atto pubblico, anche per intendere il periodo nel quale l’atto di liberalità era stato effettuato, se era cioè stato effettuato nell’imminenza degli anni 2002/2005, e così doveva dirsi per i regali matrimoniali. Né poteva costituire fonte di reddito la convivenza nella famiglia di origine, per quanto fosse benestante.
L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di mera costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.
Ragioni della decisione
Col primo motivo il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, quinto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere il giudice d’appello dichiarato non ammissibili le prove addotte dal contribuente in sede di contraddittorio, vale a dire la copia dell’estratto conto da cui risultava accreditata dal padre del contribuente, G., la somma di euro 88.000,00 in data 22/04/05, e copia del testamento del nonno paterno per documentare l’articolata vicenda successoria nella quale tale donazione si inseriva; l’estratto del conto corrente relativo alle somme accreditate come regali di nozze nel luglio 2004; la quietanza 3 luglio 2003 della R. Bank relativa alla somma derivante da un risarcimento assicurativo. Quanto ai redditi da attività agricola e alla circostanza che egli viveva con il padre benestante, deduceva non poter offrire prova documentale.
Col secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, dolendosi della mancata o insufficiente motivazione in ordine alla ritenuta inammissibilità della circostanza relativa ai regali matrimoniali, ai redditi derivanti dall’esercizio dell’attività agricola, alla convivenza con la famiglia, alla somma ricevuta a titolo di risarcimento assicurativo.
I due motivi del ricorso sono fondati, nei limiti indicati.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce al quinto comma che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti.
La presunzione dunque non è assoluta, perché il successivo sesto comma riconosce al contribuente la facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta: l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.
Questa Corte ha in proposito più volte affermato come “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’art. 38, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” (Cass. n. 25104 del 2014; si veda anche, con un accento parzialmente diverso, Cass. n. 6396 del 2014).
Il giudice d’appello è quindi incorso negli errori addebitatigli in primo luogo per non aver ammesso alla prova contraria i fatti allegati – già in sede di contraddittorio, come previsto dal sesto comma dell’art. 38 (“il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento …”) – in relazione ai quali il contribuente offrisse “idonea documentazione”, categoria cui sono ascrivibili, in astratto, la donazione paterna, i regali di nozze e la somma a titolo di risarcimento proveniente dalla R. Bank, redditi tutti asseritamente risultanti da idonea documentazione.
Ed è, in secondo luogo, incorso in vizio di motivazione per non avere dato adeguata giustificazione, o non aver dato alcuna giustificazione, all’esclusione dalla prova contraria di taluni redditi.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, perché proceda ad un nuovo esame della controversia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in differente composizione.
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