CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2018, n. 21856
Tributi – Accertamento – Reddito di partecipazione – Patto sociale – Società di fatto
Rilevato che
– con sentenza n. 10/29/2010, depositata in data 26 gennaio 2010, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Toscana, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di V.D.F. avverso la sentenza n. 192/04/2007 della Commissione tributaria provinciale di Lucca, dichiarando, in conferma di quest’ultima, la illegittimità di quattro avvisi di accertamento, con i quali, per gli anni di imposta 2000-2003, l’Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di finanza di Lucca nei confronti della ditta individuale “P.P.”, esercente attività di compravendita di autoveicoli, aveva contestato a V.D.F., quale socio della “società di fatto P.P.”, il relativo reddito di partecipazione, ai fini imposte dirette e Iva;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:1) l’Ufficio non aveva fornito elementi, neanche di carattere presuntivo, idonei a comprovare, non già la mera apparenza, ma la concreta esistenza di un rapporto sociale di fatto tra il D.F.V. e il P.P.; 2) le testimonianze dei clienti – solo due delle quali concordavano nell’avere contattato direttamente il D.F. e nell’avere consegnato a lui gli assegni, di cui uno intestato ad una società terza – non costituivano “valida prova per fondare il sospetto dell’esistenza di una società di fatto”; 3) dalle dichiarazioni del P.P. – dalle quali era emersa la sussistenza con il D.F. di un mero rapporto di amicizia nonché la saltuaria collaborazione di quest’ultimo con la società P. s.r.l. – non si poteva desumersi “alcuna prova convincente per dimostrare che tale rapporto fosse esistito con il P.P.”; 4) era irrilevante il godimento gratuito da parte del P. dell’immobile – ove aveva sede la ditta- di proprietà di una società di capitali, quale soggetto giuridico del tutto diverso, essendo inconferente il fatto che il D.F. ne fosse amministratore unico; 5) dai controlli nei confronti di alcuni fornitori non risultava provata la circostanza che il D.F. si fosse occupato del ritiro di alcune vetture e che avesse posto in essere rapporti contrattuali con i terzi a nome dell’impresa; 6) il numero limitato di documenti di trasporto accertati – emessi dalla G. s.r.l. e sottoscritti dal D.F.”a quanto sembra” riferiti a trasporto di auto usate per conto della P. s.r.l. – non dimostrava “l’effettiva esistenza di un patto sociale”, non potendo essere una presunzione fondata su “saltuari atteggiamenti uti soci da parte dei soggetti verificati”; 7) avuto riguardo alle verifiche sui conti correnti bancari intestati al D.F., l’Ufficio non aveva prodotto “prove convincenti aventi il carattere della certezza e della fondatezza per dimostrare che tali movimenti fossero attinenti all’asserita attività di una società di fatto tra il D.F. e il P.”; 8) alle luce delle suddette circostanze, l’Ufficio non aveva fornito la prova “dell’esistenza di un patto sociale, della sussistenza di avvenuti conferimenti di beni o servizi suscettibili di originare il fondo patrimoniale comune, dell’alea dei profitti e perdite, di un fine sociale e dell’affectio societatis”;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso V.D.F.;
– il controricorrente ha depositato memoria ex art 380bis1 c.p.c. insistendo per la conferma della sentenza impugnata;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2247, 2297 e 2729 c.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’Ufficio non avesse provato “l’effettiva esistenza degli elementi costitutivi del vincolo sociale, non essendo sufficiente la mera apparenza di esso”;
– al riguardo, ad avviso della ricorrente, a fronte delle molteplici circostanze evidenziate dall’Ufficio possibilmente rilevatrici, sulla base di una prova logica, dei fattori essenziali di un rapporto di società nella gestione dell’azienda (quali le dichiarazioni, verbalizzate negli allegati del p.v.c., dei clienti G. e B. dalle quali era emerso il ruolo marginale del P. e lo svolgimento delle trattative di acquisto con il D.F., al quale era stato versato il corrispettivo; la concessione in comodato gratuito al P.P. dell’immobile, sede della ditta, da parte del D.F., quale amministratore unico della società di capitali proprietaria dello stesso; la sottoscrizione da parte del D.F. di alcuni documenti di trasporto delle autovetture), il giudice di appello avrebbe erroneamente preteso a carico dell’Ufficio la prova degli elementi costitutivi del rapporto societario, quali la costituzione di un fondo comune e l’affectio societatis;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata sul fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la CTR valutato, nel loro complesso e in combinazione tra loro, gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio a sostegno della tesi della esistenza della società di fatto tra il P. e il D.F.;
– i motivi primo e secondo – da trattare congiuntamente per connessione – sono inammissibili;
– è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758/2017; n. 21381/2006);
– quanto al dedotto vizio motivazionale, questa Corte ha affermato che è inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U. n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006). Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sé degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014);
– nella specie, la ricorrente, nel prospettare la erroneità ed insufficienza della valutazione da parte della CTR in ordine alla riscontrata insussistenza, nella specie, di elementi indicativi, anche di carattere presuntivo, della reale esistenza di un organismo sociale, sollecita per l’appunto una inammissibile rivalutazione dei fatti e una rivisitazione del ragionamento svolto dal giudice di merito;
– con il terzo motivo proposto in subordine, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR erroneamente ritenuto che, quanto alle indagini bancarie sui conti correnti intestati al D.F., l’Ufficio non avesse prodotto prove convincenti “aventi il carattere della certezza e della fondatezza” per dimostrare che tali movimenti fossero attinenti all’asserita attività di una società di fatto tra il D.F. e il P.;
– la cristallizzazione dell’accertamento della sentenza impugnata in ordine alla inesistenza della società di fatto, comporta l’assorbimento del terzo motivo, che pur sempre quell’accertamento postula;
– peraltro, l’inammissibilità dei motivi del ricorso, e conseguentemente dell’impugnazione determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, con conseguente non necessità, nelle ipotesi di litisconsorzio necessario, di integrazione del contraddittorio (Cass. n. 19118 del 2016); problematica che verrebbe in rilievo trattandosi di controversia relativa alla configurabilità o meno di una società di fatto ai fini della pretesa tributaria, comportante il litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti coinvolti (Cass. n. 14387 del 2014; Cass. n. 16958 del 2016);
– in conclusione, il ricorso va rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore di V.D.F. delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 a titolo di compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli altri oneri di legge.
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