CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2018, n. 21862
Tributi – Condono tombale ex art. 9 L. 289/2002 – Cause ostative – Notifica P.v.c.
Rilevato che
– con sentenza n. 146/09/2010, depositata in data 15 ottobre 2010, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, accoglieva l’appello proposto dalla società V.S.G. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 170/05/2007 della Commissione Tributaria Provinciale di Genova che aveva rigettato il ricorso contro il provvedimento di diniego della domanda di condono tombale, ai sensi dell’art. 9 L. 289/2002, in conseguenza della mancata definizione, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289/2002, del processo verbale di constatazione redatto, in data 19 ottobre 2000, dalla Guardia di Finanza – Comando Nucleo Regionale P.T. Liguria, per l’anno 2000. In conseguenza della reiezione della domanda di condono l’Ufficio aveva notificato avviso di accertamento per l’anno 2000;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che 1) nel p.v.c. redatto dal nucleo regionale della polizia tributaria di Genova non vi era traccia di alcun “rilievo” mosso, ai fini delle imposte dirette, in capo alla società ricorrente; 2) l’inesistenza nel processo verbale di rilievi riferiti alle imposte dirette non aveva reso possibile alla società contribuente né aveva richiesto una pregressa formulazione dell’istanza di definizione ex art. 15 della legge n. 289 del 2002; 3) la ditta contribuente andava ammessa al pagamento del condono sulla base dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso, la società contribuente;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 – bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, qual è “l’esito positivo” del processo verbale di constatazione elevato nei confronti della società contribuente in data 19 ottobre 2000 dalla Guardia di finanza – Comando Nucleo Regionale P.T. Liguria;
– in particolare, la ricorrente deduce che, a fronte delle specifiche contestazioni sollevate in sede di gravame, circa la indicazione nel p.v.c., per quanto concerneva le imposte dirette, dei “maggiori componenti positivi” e dei “minori componenti negativi” nonché la definizione, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002, solo ai fini Iva, con conseguente preclusione della procedura agevolativa ex art. 9 della medesima legge, la CTR si era limitata a ritenere che nel p.v.c. non vi era traccia di alcun “rilievo” mosso, ai fini delle imposte dirette, in capo alla società ricorrente, per cui non sussisteva la assunta causa ostativa di cui all’art. 9, comma 14, della legge n. 289 del 2002 del mancato perfezionamento della definizione, ai sensi dell’art. 15 della medesima legge, del suddetto processo verbale, ai fini delle imposte dirette;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 9 e 15 della legge n. 289 del 2002 e dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, a fronte della istanza dell’appellante V.S.G. s.p.a. di declaratoria di validità della istanza di definizione automatica ai fini delle imposte dirette ex art. 9 della legge n. 289 del 2002, ammesso quest’ultima al pagamento, ex art. 15 della medesima legge, anche delle imposte dirette;
– quanto alla eccepita inammissibilità del primo motivo di ricorso, per “insanabile contrasto logico” nella deduzione al contempo del vizio di “omessa o quanto meno insufficiente motivazione”, è chiaramente individuabile dall’articolazione del motivo la denuncia del vizio in termini di carente motivazione della sentenza impugnata;
– priva di pregio è, altresì, l’eccezione di inammissibilità del primo motivo per difetto di autosufficienza (per non avere la ricorrente trascritto il contenuto delle pagg. 53 e 66 del p.v.c.), risultando specificamente indicato in ricorso il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, qual è la configurabilità dei contenuti minimi del p.v.c. ai fini della determinabilità degli importi dovuti ai fini della definizione, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289 del 2002;
– va disattesa, anche, l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo per parziale trascrizione del testo della sentenza impugnata, essendo chiaramente indicate nel ricorso le ragioni della censura e gli elementi posti a base della stessa;
– i motivi – da trattare congiuntamente per connessione- sono fondati;
– va premesso che questa Corte ha precisato che “il processo verbale di constatazione “con esito positivo” – la cui notifica preclude il ricorso alla fattispecie di definizione automatica per gli anni pregressi, prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 – è l’atto con il quale, a conclusione dell’indagine, si segnala all’ufficio finanziario, per le valutazioni e le determinazioni a questo riservate, l’esistenza di materia imponibile, ossia, per le imposte sui redditi, di “maggiori componenti positivi” o di “minori componenti negativi”, anche se per un importo non precisamente determinato” (Cass. n. 8147 del 2015; n. 12453 del 2014; n. 1554 del 2012);
– quanto al denunciato vizio motivazionale, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciarle con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. n. 15489 del 2007); in particolare, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base” (cfr. Cass. n. 4847 del 2014; n. 12623/2012 che richiama Cass. n. 10156/2004; Cass. n. 9368/2006; Cass. 14752/2007);
– nella specie, la motivazione della sentenza di seconde cure – calibrata sull’art. 15 della legge n. 289 del 2002 – è fondata esclusivamente sulla considerazione secondo cui nel p.v.c. non vi era traccia di alcun “rilievo” ai fini delle imposte dirette; invero, la CTR ha omesso qualsiasi argomentazione in ordine alle deduzioni articolate dall’Ufficio, in sede di controdeduzioni, sui contenuti minimi del p.v.c. per la determinabilità degli importi dovuti ai fini della definizione, ai sensi dell’art. 15 cit., quali l’indicazione in esso dei “maggiori componenti positivi” e dei “minori componenti negativi”;
– alla luce di tali rilievi, l’insufficienza motivazionale lamentata è desumibile dall’esame complessivo degli argomenti omessi dal giudice di appello idonei se valutati, a condurre ad una diversa decisione;
– inoltre, questa Corte ha precisato che ricorre il vizio di insufficiente motivazione ove il giudice non indichi gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento ovvero il criterio logico e la ratio decidendi che lo ha guidato. Il giudice deve delineare il percorso logico seguito, descrivendo il legame tra gli elementi interni determinanti che conducono necessariamente ed esclusivamente alla decisione adottata; mentre deve escludere, attraverso adeguata critica, la rilevanza di ogni elemento esterno al percorso logico seguito, di natura materiale, logica o processuale, ed astrattamente idoneo a delineare conseguenze divergenti dall’adottata decisione (v. ex multis, Cass. 12/11/1997, n. 11198; da ultimo, Cass. 30/01/2018, n. 2240);
– tale onere non risulta, nella specie, in alcuna misura assolto, non avendo la C.T.R. illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione, senza che possano dalla motivazione desumersi le ragioni per le quali le contrarie prospettazioni dell’Ufficio in ordine ai contenuti minimi del p.v.c. necessari per la determinazione degli importi dovuti ai fini della definizione ex art. 15 della legge n. 289 del 1992 (ndr art. 15 della legge n. 289 del 2002), siano state disattese;
– da quanto sopra, risulta, pertanto, senza pregio l’ulteriore l’eccezione di inammissibilità della censura per involgere, ad avviso della controricorrente, un inammissibile sindacato di fatto;
– in disparte l’evidente errore materiale per avere la ricorrente riportato in rubrica, in ordine all’evocato art. 112 c.p.c., il n. 3 in luogo del n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., quanto al denunciato vizio di ultrapetizione, questa Corte ha più volte affermato che il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. n. 24155 del 2017; n. 7269 del 2015; Cass. n. 11455 del 2004);
– nella specie, a fronte della domanda dell’appellante di declaratoria della legittimità della istanza di definizione ex art. 9 della legge n. 289 del 2002 ai fini delle imposte dirette, la CTR, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, ha ammesso la contribuente al pagamento ex art. 15 della medesima legge;
– in conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, affinché esamini il merito della vicenda;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione;
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