CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2018, n. 21904
Lavoro – Prestazione d’opera intellettuale – Facoltà di recesso ad nutum ex art. 2237 c.c. – Compenso contrattualmente previsto
Rilevato
1. che con sentenza n. 1490 depositata il 21.3.2013, la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnativa proposta dal sig. P. avverso la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata la domanda del predetto di condanna della società G.S. s.r.l. al pagamento della somma di euro 5.632,00, quale compenso per l’attività di consulenza o, in subordine, a titolo di risarcimento danni da recesso prima della scadenza del termine;
2. che la Corte d’appello, per quanto ancora rileva, ha qualificato il rapporto tra le parti, alla luce del contratto concluso, come relativo ad una prestazione d’opera intellettuale e quindi disciplinato dagli artt. 2229 e ss. c.c.;
3. che, in particolare, ha ritenuto applicabile il disposto di cui all’art. 2237 c.c. che consente al cliente di “recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta”;
4. che ha sostenuto come né l’apposizione di un termine alla durata del contratto né la pattuizione di tacito rinnovo contenuta nello stesso potessero implicare una tacita rinuncia alla incondizionata facoltà di recesso del cliente, come prevista dal citato art. 2237 c.c.;
5. che il fax con cui la società ha comunicato il recesso dal contratto, sebbene ricevuto dal sig. P. dopo la scadenza del termine pattuito per la disdetta, era tuttavia idoneo, ai sensi dell’art. 2237 c.c., a determinare la risoluzione del rapporto;
6. che, in mancanza di prova sullo svolgimento di attività in epoca successiva al 31.12.2007 e su eventuali spese sostenute, nessuna somma poteva essere riconosciuta in favore del consulente, secondo quanto stabilito dall’art. 2237, comma 1, c.c.;
7. che parimenti era da respingere la domanda risarcitoria avendo la società esercitato la facoltà di recesso in conformità alla previsione normativa;
8. che avverso tale sentenza il sig. P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la società, per la quale si è successivamente costituito un nuovo difensore, con apposita memoria e procura a margine;
9. che entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Considerato
10. che con l’unico motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2237 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.;
11. che ha argomentato, richiamando precedenti pronunce di merito e di legittimità (Cass. n. 21521 del 2011; n. 24367 del 2008; n. 25238 del 2006), come, in tema di prestazione d’opera intellettuale, la facoltà di recesso ad nutum prevista dall’art. 2237 c.c. non abbia carattere inderogabile e come l’apposizione di un termine finale, in mancanza di pattuizioni diverse, valga a determinare in modo vincolante la durata del rapporto, con la conseguenza che in caso di recesso unilaterale dal contratto da parte del committente, il prestatore ha diritto al compenso contrattualmente previsto per tutta la durata del rapporto;
12. che il contratto sottoscritto tra le parti, come riportato nella sentenza impugnata, aveva ad oggetto prestazioni professionali di consulenza del lavoro consistenti in servizio gestione paghe ed una durata biennale, rinnovabile tacitamente in assenza di disdetta entro tre mesi dalla scadenza mediante invio di raccomandata;
13. che nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 469 del 2016; Cass. n. 14016 del 2013; Cass. n. 24367 del 2008), dopo un iniziale contrasto degli anni ottanta, si è oramai definitivamente consolidato il principio, che in questa sede va ulteriormente ribadito, secondo cui “la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, quale contemplata dall’art. 2337 c.c., comma 1, non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa una tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto; sicché anche l’apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia necessario un patto specifico ed espresso” (fra le tante V. Cass. 1 ottobre 2008 n. 2436, Cass. 21 dicembre 2006 n. 27293, Cass. 6 maggio 2000 n. 5738 e Cass. 8 settembre 1997 n. 8690)”;
14. che intanto la predeterminazione di un termine di durata del contratto può integrare rinuncia da parte del cliente al recesso ove dal complessivo regolamento negoziale possa inequivocabilmente ricavarsi la volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto, vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale;
15. che, ciò posto, l’indagine della Corte territoriale avrebbe dovuto appurare se nel caso concreto, in relazione alle pattuizioni convenute, le parti avessero inteso unicamente stabilire la durata massima del rapporto o piuttosto avessero voluto escludere il recesso ad nutum del cliente prima di tale data;
16. che la sentenza d’appello, sull’erroneo presupposto della necessità di una rinuncia espressa alla facoltà di recesso ad nutum di cui all’art. 2237 c.c., non ha preso in considerazione l’eventuale deroga pattizia alla suddetta facoltà;
17. che la sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che “neanche nel caso di apposizione di un termine al contratto di prestazione d’opera intellettuale può dirsi che ci sia rinuncia alla facoltà di recesso a norma dell’art. 2237 cc., a meno che la rinuncia non sia stata univocamente espressa dalle parti”, incorre nel vizio denunciato, di violazione dell’art. 2237 c.c.;
18. che il ricorso va pertanto accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che in applicazione del principio richiamato accerterà se vi è stata o meno una deroga alla predetta facoltà di recesso ad nutum e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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