CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2021, n. 24074
Lavoro – Divieto di intermediazione e di interposizione – Contratto di somministrazione a termine – Requisiti di forma – Limite quantitativo fissato dalla contrattazione collettiva – Omessa indicazione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta da D.D. nei confronti della M. s.p.a. volta ad ottenere il riconoscimento dell’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con ordine alla società di riammetterlo in servizio e con condanna della stessa al risarcimento del danno ex art. 32 della legge n. 183 del 2010. In parziale riforma della sentenza invece il giudice di appello ha compensato le spese di primo grado oltre che quelle del gravame.
2. La Corte territoriale ha ritenuto indenne da vizi il contratto di somministrazione a tempo determinato in virtù del quale il lavoratore aveva svolto mansioni di operatore addetto al servizio di spazzamento nel periodo dal 6 – 31.8.2010, poi prorogato per due volte fino al 30.9.2010.
2.1. In particolare ha escluso che i vizi del contratto intercorso tra il lavoratore e la società di somministrazione si riverberassero nei confronti dell’utilizzatore. Ha poi sottolineato che la causale apposta al contratto (ragioni di carattere sostitutivo per sopperire alle assenze per ferie) era sufficientemente specifica. Ha accertato che le proroghe disposte erano contenute nei limiti di legge (quattro proroghe nell’arco di ventiquattro mesi).
2.2. Ha poi accertato che non erano state superate le percentuali di contingentamento, stabilite dall’art. 13 del c.c.n.I. dei servizi ambientali applicabile al rapporto, e fissate nell’8% dei lavoratori a tempo indeterminato occupati dall’azienda o dall’utilizzatore tenendo conto della media annuale dei contratti di somministrazione a termine.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.D. affidato a sei motivi al quale resiste con controricorso la società M. s.p.a. che propone ricorso incidentale censurando il capo della sentenza con il quale sono state compensate le spese del doppio grado di giudizio.
Considerato che
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 21 comma 1 lett. a), 4 comma 1, 20 comma 1 e 27 comma 1 del d.lgs. n. 276 del 2003 nel testo antecedente le modifiche apportate dal d.lgs. n. 81 del 2015 oltre che dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115, 116 e 416 cod. proc.civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ.
4.1. Osserva il ricorrente che elemento essenziale del contratto di somministrazione è l’indicazione degli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore la cui mancanza rende irregolare il contratto di somministrazione. A suo avviso non sarebbe sufficiente ad integrare il requisito la sola indicazione del provvedimento di autorizzazione rilasciato dal Ministero del Lavoro ma deve essere riportata anche l’indicazione della sezione speciale dell’albo ministeriale tenuto conto del fatto che le agenzie c.d. generaliste, che sole possono stipulare contratti a termine con i lavoratori, sono iscritte nella prima sezione dell’albo.
5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 21 comma 1 lett. d), 20 comma 5 lett. c) e 27 comma 1 del d.lgs. n. 276 del 2003 oltre che degli artt. 2697 cod. civ e 115, 116 e 416 cod. proc.civ. e censura la sentenza per avere omesso di considerare che l’indicazione, nel contenuto del contratto di somministrazione, della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate – indicazione prescritta dall’art. 21, comma 1 lett. d) d. Igs n. 276 del 2003 – deve essere effettiva e non nominale, anche in relazione al divieto assoluto di una somministrazione di lavoro per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del d.lgs. n. 626 del 1994, sancito dall’art. 20, comma 5, lett. c) , d. Igs n. 276/2003. Rileva che la sua mancanza determina l’irregolarità della somministrazione ai sensi dell’art. 27, comma 1, d. Igs. 276/2003.
6. Con il terzo motivo il tema della valutazione dei rischi e dell’adozione delle misure necessarie da parte dell’utilizzatore ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994 è sollevato sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio anche con riguardo a quanto disposto dagli artt. 21 comma 1 lett. d), 20 comma 5 lett. c) e 27 comma 1 del d.lgs. n. 276 del 2003 oltre che in relazione agli artt. 1419 comma 2 e 2697 cod. civ ed agli artt. 115, 116 e 416 cod. proc.civ.. Deduce il ricorrente che la legge pone un divieto assoluto di stipulazione di un contratto di somministrazione di manodopera per le imprese che non hanno effettuato tempestivamente la valutazione dei rischi.
7.Il quarto motivo di ricorso, con riguardo alle proroghe del contratto, denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc.civ. in relazione agli artt. 21 comma 1 lett. c), 21 comma 4, 22 comma 2, 20 comma 4 e 27 comma 1 d.lgs. n. 276 del 2003 oltre che agli artt. 2697 cod.civ. e 115, 116 e 416 cod. proc.civ.
7.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito non avrebbe pronunciato sulla domanda diretta a contestare la legittimità del contratto di somministrazione di manodopera tra M. s.p.a. e D. s.p.a. sotto il profilo della validità e regolarità delle proroghe deH’originario contratto, questione che assume già posta in primo grado e reiterata in seconde cure.
8. Con il quinto motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 20 comma 4, 21 comma 1 lett. c) e 27 comma 1 e 3 d.lgs. n. 276 del 2003 oltre che degli artt. 2697 cod.civ. e 116 cod. proc.civ. ed è censurata la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto legittimo il contratto di somministrazione di manodopera tra M. s.p.a. e D. s.p.a., omettendo di considerare che i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui al comma 4 dell’art. 20 del decreto legislativo citato devono essere effettivi e non meramente nominali, con formale indicazione nel contratto di somministrazione di manodopera, e che la relativa mancanza determina l’irregolarità della somministrazione ai sensi dell’art. 27, comma 1 del citato decreto.
9. Con il sesto motivo del ricorso principale, infine, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 20, comma 4, 27, comma 1, d. Igs. n. 276 del 2003, dell’art. 13 c.c.n.I. servizi ambientali, dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115, 116 e 416 cod. proc. civ.. La sentenza impugnata è censurata per avere omesso di considerare che il rispetto dei limiti percentuali stabiliti dal contratto collettivo implicava l’indicazione di tali limiti nel contratto di somministrazione, con onere della prova a carico dell’utilizzatore. Erroneamente, ad avviso del ricorrente, il giudice di appello aveva fondato la prova del mancato superamento di tali limiti sulla scorta di un’acquisizione documentale in appello, in concreto mai avvenuta, e la cui mancanza comportava irregolarità della somministrazione ai sensi dell’art. 27, comma 1 del d.lgs. 276 del 2003.
10. Con l’unico motivo di ricorso incidentale M. s.p.a. in liquidazione censura la sentenza impugnata per avere compensato le spese di lite di secondo grado in assenza dei prescritti presupposti così incorrendo, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. nella violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ.
11. Il primo motivo di ricorso principale è infondato.
11.1. Come è noto l’art. 21 comma 1, lett. a) d. Igs. n. 276 del 2003, richiede tra gli elementi che deve contenere il contratto di somministrazione l’indicazione degli <<estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore>>. L’art. 4 d. Igs. n. 276 del 2003 cit., per quel che qui rileva, stabilisce, infatti, per le agenzie di somministrazione di lavoro la necessità di munirsi di apposita autorizzazione all’esercizio dell’attività rilasciata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il quale è tenuto alla contestuale iscrizione dell’agenzia nell’apposito albo, articolato in cinque sezioni, istituito, ai sensi del comma 1 dell’art. 4 d. Igs. cit., <<ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale>>.
11.2. Il dato testuale della disposizione richiamata, che fa riferimento alla indicazione dei soli estremi dell’autorizzazione rilasciata dal somministratore, non autorizza la lettura estensiva propugnata dall’odierno ricorrente secondo il quale occorreva (anche) la specificazione della sezione dell’albo ministeriale nella quale era iscritta l’agenzia somministrante.
11.3. La correttezza di tale conclusione risulta confermata dalla considerazione che le prescrizioni poste dall’art. 21 in ordine agli elementi che deve contenere il contratto di somministrazione si configurano come limitazione al principio generale della libertà di forma degli atti di autonomia privata di talché anche sotto questo profilo non appare giustificato un ampliamento delle prescrizioni di legge oltre le indicazioni espressamente stabilite dal legislatore.
11.4. Quanto ora osservato assorbe il rilievo di inammissibilità del motivo in esame scaturente dalla considerazione che la mancata indicazione della sezione speciale dell’apposito albo ministeriale nella quale era iscritta la società D., non affrontata specificamente dalla Corte di merito, avrebbe richiesto da parte dell’odierno ricorrente la dimostrazione che tale specifica questione era stata ritualmente dedotta nelle fasi di merito. Tale onere è rimasto inadempiuto atteso che non è sufficiente a tal fine il generico richiamo alle allegazioni formulate nel ricorso di primo grado ed alle deduzioni sul punto della memoria di costituzione della società ed al ricorso in appello (v. pag. 15 del ricorso). Occorreva infatti che parte ricorrente chiarisse le modalità ed i termini con i quali era stata sollevata la questione e come sulla stessa si era sviluppato il contraddittorio nelle fasi di merito (Cass. 09/08/2018 n. 20694; Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540).
12. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con le effettive ragioni della decisione impugnata la quale, per il profilo che qui viene in rilievo, si è limitata a confermare la sentenza di primo grado circa la insussistenza di un’ipotesi di somministrazione irregolare o fraudolenta, con implicito riconoscimento, quindi, della conformità del contenuto del contratto di somministrazione stipulato tra la D. s.p.a. e M. s.p.a. alle indicazioni prescritte dall’art. 21 d. Igs n. 276/2003, fra le quali è compresa anche la l’indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate.
12.1. La critica articolata dall’odierno ricorrente, laddove ascrive al giudice di appello di avere attribuito una valenza meramente nominalistica all’elemento della << indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione >>, non coglie nel segno. La sentenza di appello non contiene alcuna affermazione in contrasto con la esigenza di effettività della verifica di eventuali rischi e di adozione in concreto delle conseguenti misure di prevenzione. Queste ultime sono questioni che appartengono ad un ambito concettualmente distinto da quello della verifica di corrispondenza contenutistica del contratto di somministrazione agli elementi indicati dall’art. 21 d. Igs n. 276 del 2003, ambito in relazione al quale si è espressa la Corte di merito.
12.2. Con riguardo alla critica che investe l’accertamento di fatto del giudice di merito ed è fondata sulla deduzione della irregolarità del contratto di somministrazione per mancata indicazione degli elementi richiesti dall’art. 21 d. Igs n. 276 del 2003, va rilevato che la stessa risulta preclusa, alla luce dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ., per il principio della doppia conforme, non avendo parte ricorrente, come era suo onere per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto (per il profilo di interesse) dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 06/08/2019 n. 20994, 10 /03/ 2018 n. 5528, 27/09/ 2016 n. 19001 e 22/12/2016 n. 26774).
12.3. Quanto alla denunciata assenza in concreto della effettuazione della valutazione dei rischi la censura è inammissibile sotto un duplice profilo. Va premesso che tale questione non risulta essere stata affrontata specificatamente dalla Corte di merito la quale si è limitata a dare atto che in sede di gravame l’odierno ricorrente aveva dedotto la << la presenza di vizi sostanziali del contratto di somministrazione, tra cui anche la mancata valutazione dei rischi ai sensi del d. Igs n. 81 del 2000… >> ( v. sentenza, pag. 3) espressione che sembra alludere agli elementi contenutistici prescritti dall’art. 21 d. Igs n. 276/2003 e non alla concreta assenza della effettuazione della valutazione dei rischi.
12.4. Era perciò onere dell’odierno ricorrente, che non è stato assolto, dimostrare la avvenuta tempestiva e rituale deduzione nell’ambito del giudizio di merito mediante la trascrizione dei pertinenti brani del ricorso di primo grado. Né tale incombente può dirsi adempiuto con il mero richiamo ai punti del ricorso di primo grado nei quali si asserisce essere stata prospettato il tema della mancata valutazione dei rischi. Deve essere poi considerato che l’assunto del ricorrente, il quale ritiene pacifica la circostanza relativa alla mancata effettuazione della valutazione dei rischi da parte della società M., costituisce un mero enunciato poiché non è chiarito in quale atto ed in che termini la suddetta circostanza è stata allegata né in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica. Ne consegue che la censura è generica e dunque inammissibile (cfr. Cass. 12/10/2017 n. 24062 e 18/07/2007 n. 15961). La deduzione secondo la quale la censura articolata investiva il profilo della mancata verifica giudiziale da parte del giudice di merito della effettiva presenza dei rischi per la integrità e per la salute dei lavoratori, questione non specificamente affrontata dalla Corte di merito , è del pari inammissibile non avendo parte ricorrente, come era suo onere, dimostrato la avvenuta rituale deduzione della stessa davanti al giudice di merito (Cass. 22/1/2013 n. 1435 del 2013; Cass. 28/7/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006).
13. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità della censura formulata. Il giudice di appello non ha specificamente affrontato la questione della mancata effettuazione della valutazione dei rischi da parte della società somministrata ed in base ai principi sopra richiamati era onere dell’odierno ricorrente dimostrarne la avvenuta rituale deduzione nell’ambito del giudizio di merito. Tale onere non è stato assolto non essendo dato evincere dai brani del ricorso di primo grado trascritti nel ricorso per cassazione (v., in particolare, pag. 28 secondo capoverso), per la genericità delle espressioni utilizzate, che fanno riferimento all’assenza tout court dei requisiti formali e sostanziali richiesti dalla legge in relazione al contratto di somministrazione in controversia, la allegazione relativa alla mancata effettuazione in concreto della valutazione dei rischi, la quale, alla stregua di quanto riferito dal medesimo ricorrente, risulta specificamente essere stata proposta solo con le note difensive del 29.3.2013, e quindi tardivamente ( ricorso, pag. 28).
14. Il quarto motivo di ricorso è infondato. Va qui rammentato che ai sensi dell’art. 22 comma 2 del d.lgs. n. 276 del 2003 è consentita la proroga del contratto di somministrazione a tempo determinato nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo di riferimento purché vi sia il consenso del lavoratore e questo sia prestato in forma scritta.
Orbene nel caso in esame è lo stesso ricorrente che ha allegato che la proroga era stata redatta per iscritto e, per l’effetto, i giudici di merito si sono limitati a verificare che si rientrasse nei limiti prescritti dal contratto collettivo.
15. Anche il quinto motivo di ricorso non può essere accolto. La Corte di merito ha affermato che in tutti i contratti di somministrazione stipulati con la D. s.p.a. era stato espressamente indicato che l’esigenza della impresa utilizzatrice consisteva in << ragioni di carattere sostitutivo; necessità di sopperire alle assenze per ferie del personale in forza nei vari turni di lavoro e far fronte al contestuale incremento dell’attività di raccolta manuale (spazzamento) tramite automezzi idonei e conferimento di rifiuti in discarica legato alla stagione estiva >> ed ha ritenuto che le ragioni indicate soddisfacevano il requisito di specificità della causale << sottolineando che il controllo giudiziario è concentrato sulla verifica dell’effettività >> non essendo consentito, ai sensi dell’art. 27 comma 3 d. Igs n. 276/2003, sindacare nel merito le valutazioni e le scelte tecniche, organizzative e produttive che settano all’utilizzatore. Da tali argomentazioni si evince un’implicita verifica, con esito positivo, di effettività delle ragioni giustificative dell’utilizzazione di lavoratori a tempo determinate indicate nei contratti di somministrazione, verifica la cui effettuazione risulta ulteriormente corroborata dalla generale valutazione di insussistenza di somministrazione irregolare o in frode alla legge espressa dalla Corte di merito. Il concreto accertamento della sussistenza delle ragioni alla base dell’utilizzazione di lavoratori a termine costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio motivazionale neppure formalmente dedotto dall’odierno ricorrente.
15.1. Le ulteriori censure articolate, poi, sono inammissibili in quanto pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ. non sono incentrate, come corretto, sulla ricognizione della fattispecie astratta o sull’erronea sussunzione nella stessa del fatto accertato ma si risolvono nella deduzione di malgoverno delle emergenze istruttorie e quindi nella diretta sollecitazione di un diverso apprezzamento degli elementi istruttori, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 04/11/2013 n. 24679, 16/12/2011 n. 2197, 21/09/2006 n. 20455, 04/04/2006 n. 7846 e 07/02/2004 n. 2357).
16. Il sesto motivo di ricorso principale deve essere rigettato.
16.1. In disparte i numerosi profili di inammissibilità della censura – che non indica in quale atto era stata specificamente posta la questione della necessaria indicazione nel contratto di somministrazione, dei limiti percentuali relativi alle assunzioni a termine, stabilite dai contratti collettivi e come si era sviluppato il contraddittorio sul punto; non trascrive integralmente il contenuto del contratto di somministrazione, documento sul quale si fonda la censura, in violazione dell’art. 366 primo comma n. 6 cod. proc. civ.; denunciando l’inadeguatezza della prova offerta da M. sollecita direttamente un sindacato, relativo all’apprezzamento del materiale probatorio precluso al giudice di legittimità; con riguardo all’asserita inesistenza della documentazione dalla quale evincere il rispetto del rapporto percentuale tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato non espone compiutamente il fatto processuale ai sensi dell’art. 366 primo comma n. 4 cod. proc. civ. né formula ritualmente una censura di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 cod. proc. civ. – la stessa è comunque infondata.
16.2. Diversamente da quanto pretenderebbe il ricorrente l’indicazione del limite quantitativo stabilito dalla contrattazione collettiva di settore non rientra tra i requisiti di forma del contratto di somministrazione a tempo determinato la cui inosservanza comporta la nullità del contratto ed a cui consegue la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore ( ai sensi del combinato disposto degli artt. 27 comma 1, e 21 comma 1 anche alla luce degli artt. 22 comma 2 e 20 comma 4 del d.lgs. n. 276 del 2003).
16.3. L’avvenuto rispetto dei limiti di contingentamento – fissati dal contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dai sindacati comparativamente più rappresentativi, in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che si applica al contratto di somministrazione in virtù del richiamo contenuto all’art. 22 comma 2 del decreto citato – è requisito di legittimità del termine apposto ai sensi dell’art. 20 comma 4 del decreto legislativo e costituisce l’oggetto della prova che il datore di lavoro deve offrire. Tuttavia nessuna disposizione prevede che l’indicazione di tale percentuale debba essere riportata nel contratto, come sembra pretendere il ricorrente. Le sentenze richiamate (Cass. 15/07/2011 n. 15610 e 28/11/2013 n. 26654) si preoccupano di riassumere i vari casi in cui il lavoratore somministrato può chiedere, in base a quanto disposto dalla legge o dal contratto collettivo di categoria, che si accerti l’esistenza di un rapporto subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore della prestazione. Un catalogo dei requisiti di validità del contratto di somministrazione, sia formali che sostanziali, tra i quali, ai sensi dell’art. 21 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 276 del 2003, è compresa l’indicazione, che, questa sì, deve essere contenuta nel contratto di somministrazione, del “numero dei lavoratori da somministrare”. La percentuale di lavoratori a termine che è possibile assumere in virtù della pattuizione contenuta nel contratto collettivo è nozione diversa che non rientra nella previsione della disposizione che individua i requisiti di forma del contratto. Si tratta del parametro astratto alla luce del quale verificare in concreto, sulla base dei lavoratori somministrati, la legittimità dell’apposizione del termine.
17. In conclusione per le ragioni esposte il ricorso principale deve essere rigettato.
18. Anche il ricorso incidentale della società, che investe il capo della sentenza con il quale sono state compensate le spese di primo grado ed è stata disposta la compensazione di quelle di appello, è infondato.
18.1. Nel vigore degli art. 91 e 92, nel testo vigente all’epoca del deposito del ricorso introduttivo del giudizio (il 29.12.2011) per effetto delle modifiche apportate dall’art. 45 comma 11 della legge 18.6.2009 n. 69, ai fini della compensazione delle spese al di fuori del caso della reciproca soccombenza, è necessario che concorrano “gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate in motivazione”.
18.2. Conformemente all’insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. 09/04/2019 n. 9977 e 09/03/2017 n. 6059). che ha chiarito che ai sensi dell’art. 92 secondo comma cod.proc.civ. (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, introdotta dalla l. n. 69 del 2009) nella motivazione devono essere esplicitate le “gravi ed eccezionali ragioni” che giustificano la compensazione totale o parziale, e che le stesse non possono essere illogiche o erronee, poiché diversamente si configura il vizio di violazione di legge che può essere denunciato in sede di legittimità, la Corte territoriale ha chiarito che la compensazione delle spese di primo grado e quella delle spese del gravame si giustificava in ragione della oggettiva controvertibilità di alcune delle questioni trattate, che avevano richiesto un’interpretazione inedita. E’ vero che la precisa individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione giudiziaria, sicché l’ordinario esercizio nell’esegesi del testo normativo non può essere valutato come evento inusuale (cfr. Cass. n. 319 del 2014 con riguardo ad una fattispecie in cui è stata esclusa la compensazione delle spese disposta dal giudice del merito a cagione della “opinabilità della soluzione accolta”). Tuttavia non si palesa illogica né errata l’affermazione della Corte che valorizza l’oggettiva complessità dell’ interpretazione richiesta ( sintetizzata nella proposizione “opinabilità delle questioni sollevate” e “natura interpretativa delle questioni sottostanti”), ponendo in rilievo l’importanza dello sforzo interpretativo richiesto (n.b. viene solo oggi all’attenzione di questa Corte la questione della specificazione dell’autorizzazione oggetto del primo motivo del presente ricorso).
19. Al rigetto di entrambi i ricorsi consegue la compensazione delle spese del giudizio di legittimità mentre, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale ed incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale ed incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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