CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2022, n. 26394

Rapporto di lavoro – Contratti a termine – Assunzione alle dipendenze della Regione Sicilia – Illegittimità – Conversione dei rapporti in rapporti a tempo indeterminato

Rilevato che

1. la Corte d’appello di Palermo con sentenza n. 389/2016 confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta dagli odierni ricorrenti intesa a far accertare l’illegittimità dei contratti a termine intercorsi con la Regione Siciliana dal 1993 al 2011 ed ancora in essere alla data del ricorso, e ad ottenere la conversione dei rapporti in rapporti a tempo indeterminato o in ogni caso il risarcimento del danno; i ricorrenti, già dipendenti della società partecipata I., erano stati assunti, con contratti della originaria durata biennale, alle dipendenze della Regione ai sensi della L.R. n. 25 del 1993 (Interventi straordinari per l’occupazione produttiva in Sicilia) che all’art. 75 aveva stabilito che l’amministrazione regionale, al fine di portare a compimento le opere destinate a sopperire alle necessità di realizzazione di infrastrutture urbane ed interurbane, sorte in seguito all’ evento sismico verificatosi il 13 dicembre 1991 nella Sicilia orientale, era autorizzata ad avvalersi del personale della I. mediante contratti a termine, di durata non superiore ad un biennio; i suddetti contratti erano stati più volte prorogati in forza di apposite disposizioni legislative (art. 23 quater l. n. 61 del 1998, art. 7 l. n. 365 del 2000, L.R. n. 5 del 2012, L.R. n. 26 del 2012, L.R. n. 5 del 2013, L.R. n. 9 del 2013, L.R. n. 5 del 2014, L.R. 3 del 2016);

ad avviso della Corte territoriale la legge che aveva autorizzato la stipula dei contratti in questione era legge speciale rispetto a quella del d.lgs. n. 368/2001;

in conseguenza i contratti in questione erano legittimi e non era configurabile alcun abuso;

la possibilità di conversione del rapporto era comunque esclusa né la stessa poteva radicarsi sulla previsione di cui all’art. 2, comma 553, della l. n. 244 del 2007 con la quale la Regione era stata ‘autorizzata’ alla trasformazione a tempo indeterminato “dei contratti stipulati con la protezione civile”;

la genesi legislativa delle proroghe dei contratti escludeva anche la configurabilità risarcitoria ex art. 36 del d.lgs. n. 165/2001;

4. per la cassazione della sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso affidato a tre motivi;

5. le Amministrazioni regionali sono rimaste intimate;

6. i ricorrenti hanno depositato memoria.

Considerato che:

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 1, 4, comma 1, 5, comma 4 bis del d.lgs. n. 368/2001, violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, violazione dell’art. 117 Cost.;

dopo aver elencato le numerose proroghe disposte dalla Regione anche sulla base di disposizioni legislative evidenziano che la Corte d’appello non avrebbe potuto ritenere legittimo l’operato della Regione sulla base delle norme regionali che non contenevano alcuna deroga rispetto alla normativa nazionale o comunitaria in tema di contratto a tempo determinato;

ricordano che in materia di ordinamento civile (cui appartiene la disciplina dei contratti di lavoro sottoposti alle regole del diritto privato: la legge regionale n. 25 del 1993 ha previsto l’applicazione ai contratti a termine del c.c.n.l. edilizia) la competenza spetta esclusivamente allo Stato;

peraltro, le norme regionali non contenevano alcuna disposizione sulla durata massima dei rapporti in questione e non poteva che soccorrere sul punto la disciplina generale;

2. il motivo è fondato nei termini di seguito illustrati;

la vicenda della messa in liquidazione della I. (così come quella della SIRAP), società per azioni a partecipazione pubblica, creata negli anni ottanta, operante nel settore dei servizi di ingegneria e della destinazione del personale già ivi in servizio ha formato oggetto di vari interventi del legislatore regionale e del legislatore statale; anzitutto, l’art. 76 (rubricato «Provvidenze per i dipendenti dell’I. e della SIRAP») della legge della Regione siciliana 1° settembre 1993, n. 25 (Interventi straordinari per l’occupazione produttiva in Sicilia), ha autorizzato l’amministrazione regionale a «avvalersi del personale dell’I. S.p.A. ai sensi della convenzione stipulata in data 1 ottobre 1985, nonché del personale della SIRAP S.p.A., mediante contratti a termine, di durata non superiore ad un biennio per coadiuvare l’assolvimento dei compiti propri del personale tecnico del ruolo provvisorio degli esperti per lo sviluppo intersettoriale delle zone interne di cui all’articolo 71 della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41», in vista dell’obiettivo specifico di «portare a compimento le opere destinate a sopperire alle necessità di realizzazione di infrastrutture urbane ed interurbane, sorte in seguito all’evento sismico verificatosi il 13 dicembre 1991 nella Sicilia orientale» (comma 1); si stabiliva, inoltre, al comma 2, che al personale in questione fosse attribuito il trattamento economico corrispondente a quello proprio del contratto collettivo nazionale dei lavoratori edili;

su tale previsione è intervenuto l’art. 7 della legge regionale 10 ottobre 1994, n. 38 («Recepimento della normativa statale sul dissesto finanziario ed altri provvedimenti per gli enti locali della Sicilia»), che, da un lato, ha esteso la possibilità dell’amministrazione regionale di avvalersi dell’ex personale I. e SIRAP in relazione al ben più generico scopo di «sopperire a specifiche eventuali carenze di unità lavorative negli uffici della Regione»; dall’altro lato, esso ha precisato che il trattamento economico del medesimo personale non avrebbe potuto «in ogni caso essere superiore a quello attribuito al personale della Regione, con pari qualifica e pari anzianità di servizio, individuato applicando la tabella di corrispondenza allegata alla presente legge»;

si sono poi succeduti altri interventi del legislatore regionale;

si è così disposta direttamente la trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro costituiti in base all’art. 76 della legge regionale n. 25 del 1993, ma senza esito, a causa dell’omessa promulgazione delle disposizioni regionali recanti tale previsione a seguito dell’impugnativa promossa in via principale dal Commissario dello Stato per violazione, fra l’altro, dell’art. 97 Cost. (ordinanza della Corte cost. n. 60 del 1997);

successivamente, si è provveduto a prorogare i contratti a tempo determinato in essere, estendendo ulteriormente la possibilità di impiego del suddetto personale anche per l’espletamento di attività permanenti, con disposizioni legislative regionali dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale (sentenza n. 153 del 1997);

esse, infatti, irragionevolmente prevedevano assunzioni a tempo determinato in assenza di “riscontri obiettivi circa le dimensioni della perdurante esigenza di personale” e “di valutazioni sull’idoneità del personale beneficiario delle norme impugnate rispetto all’insieme dei compiti cui esse lo assegnano”, con un “rovesciamento di priorità tra interesse dell’istituzione alla funzione e interesse delle persone all’impiego che la Costituzione, all’art. 97, ha inteso evitare”;

la vicenda è venuta all’attenzione del legislatore statale che, con l’art. 23-quater del decreto-legge 30 gennaio 1998, n. 6 («Ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi»), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 marzo 1998, n. 61, ha autorizzato la Regione siciliana a stipulare contratti a tempo determinato con il personale in questione, attingendo ai fondi stanziati con la legge 31 dicembre 1991, n. 433 («Disposizioni per la ricostruzione e la rinascita delle zone colpite dagli eventi sismici del dicembre 1990 nelle province di Siracusa, Catania e Ragusa») per lo svolgimento delle attività indicate dalla medesima legge n. 433 del 1991 e dall’art. 3, comma 3, del decretolegge 26 luglio 1996, n. 393 («Interventi urgenti di protezione civile»), convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 25 settembre 1996, n. 496;

il legislatore regionale ha poi provveduto a equiparare il trattamento economico dell’ex personale I. e SIPAR, assunto a tempo determinato, a quello dei dipendenti regionali, «a parità di qualifica e di anzianità di servizio» (art. 48 della legge regionale 10 dicembre 2001, n. 21 («Norme finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’anno finanziario 2001»), con decorrenza dalla stipulazione dei contratti in essere;

l’art. 7, comma 1 quinquies del d.l. n. 279 del 2000, conv. in l. n. 365 del 2000 ha, quindi, stabilito che per la proroga dei contratti in essere a tempo determinato con il personale tecnico ed amministrativo ex I. e SIRAP, la Regione siciliana era autorizzata ad utilizzare, nei limiti del 4 per cento, e per un periodo di tre anni rinnovabile, i fondi ad essa assegnati dall’art. 1  della legge 31 dicembre 1991, n. 433 (il previsto periodo di tre anni è, evidentemente, quello della utilizzabilità dei fondi speciali assegnati per la ricostruzione e la rinascita delle zone colpite dagli eventi sismici del dicembre 1990 nelle province di Siracusa, Catania e Ragusa);

sempre il legislatore statale è, quindi, intervenuto con l’art. 20 della l. n. 448 del 2001 il legislatore statale, viceversa, quasi contemporaneamente, ha stabilito, all’art. 20 (rubricato «Disposizioni particolari in materia di assunzioni di personale nella regione Sicilia») della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria per il 2002) che «[l]a regione Sicilia e gli enti locali della regione medesima provvedono alla trasformazione in rapporti a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro a tempo determinato» instaurati «dalla regione medesima e dagli enti locali delle province di Siracusa, Catania e Ragusa, colpiti dagli eventi sismici del dicembre 1990, sulla base di apposite procedure selettive, nell’ambito  della programmazione triennale del fabbisogno di personale, nei limiti delle dotazioni organiche» (comma 1) e «a valere sulle disponibilità dei fondi assegnati alla regione Sicilia ai sensi dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 1991, n. 433, e successive modificazioni»; in quell’occasione si è inoltre disposta la proroga dei contratti a tempo determinato «in attesa della definizione delle procedure selettive e, comunque, fino al 31 dicembre 2002» (comma 2);

il legislatore statale è tornato sul tema con l’art. 2, comma 553, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato- legge finanziaria 2008) e ha autorizzato la Regione siciliana «alla trasformazione a tempo indeterminato dei contratti stipulati con il personale di protezione civile proveniente da organismi di diritto pubblico individuato dall’articolo 76 della legge regionale della Regione siciliana 1º settembre 1993, n. 25, e successive modificazioni […]», questa volta «in deroga ai limiti imposti dall’articolo 20, comma 1, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e con oneri a carico del proprio bilancio»; sono quindi intervenute le disposizioni del legislatore regionale specificamente intese a prorogare i termini dei contratti a termine in essere e ciò nel rispetto di un quadro delineato a livello nazionale (v. l. n. 296/2006, d.l. n. 112/2008 conv. in l. n. 133/2008, d.l. n. 78/2009 conv. in l. n. 102/2009);

così proroghe sono state disposte dalle L.R. n. 13 del 2009, n. 24 del 2010, n. 5 del 2012, n. 26 del 2012, n. 9 del 2013, n. 5 del 2014, anche in attesa della definizione delle procedure di stabilizzazione;

altre disposizioni sono intervenute (L.R. n. 3 del 2016) sotto forma di autorizzazione alla spesa al fine di consentire la prosecuzione dei rapporti di lavoro del personale con contratto a tempo determinato;

nella vicenda si è inserita anche una ulteriore pronuncia della Corte costituzionale che, con sentenza n. 113 del 2017, pronunciando sull’art. 31 della legge regionale n. 8 del 2016 (norma che qui non rileva specificamente e che è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione della regola costituzionale del concorso pubblico per l’accesso alle pubbliche amministrazioni, regola che va rispettata anche nel caso di passaggio da un soggetto privato ad un ente pubblico) non ha mancato di rilevare che, nonostante quanto stabilito dall’art. 20 della legge n. 448 del 2001, la Regione non ha provveduto alla stabilizzazione nei termini e alle condizioni richiamate, ma è intervenuta a prorogare i contratti a tempo determinato in essere, «nelle more della definizione del processo di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato dalla Regione»;

in questa situazione di proroghe ripetute, talune, come accennato dichiarate costituzionalmente illegittime (Corte cost. sentenza n. 153 del 1997), non può che pervenirsi ad una interpretazione delle previsioni di legge rimaste vigenti (e così dell’art. 76 della L.R. n. 25 del 1993, dell’art. 23 quater del d.l. n. 6 del 1998 ma anche delle disposizioni successive specificamente prevedenti la proroga dei contratti a temine ed in particolare delle disposizioni di cui alle L.R. n. 13 del 2009, n. 24 del 2010, n. 5 del 2012, n. 26 del 2012, n. 9 del 2013, n. 5 del 2014) tale da rendere le stesse conformi ai principi affermati dalla Corte costituzionale ma anche coerenti con le clausole antiabusive esistenti nel sistema oltre che con le stesse previsioni di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 nonché con la direttiva 99/1970/CE, art. 5;

l’art. 36 suddetto, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha consentito alle pubbliche amministrazioni la possibilità del ricorso al contratto a termine e più in generale a quello ai contratti di lavoro flessibile solo a fronte di comprovare esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, nel senso che non possono riferirsi ad un fabbisogno ordinario;

del resto, la deroga alle norme di legge, per essere costituzionalmente legittima, deve avvenire in modo espresso e ove nel caso concreto residuino dubbi, non può che prevalere l’opzione interpretativa che ritenga la disciplina speciale non derogatoria di quella di legge generale;

non è dunque sufficiente, per derogare alle norme generali in tema di temporaneità delle esigenze che sussistano provvedimenti legislativi che prevedono la proroga dei contratti a temine;

in proposito la giurisprudenza nazionale e comunitaria ha chiarito che anche un assetto normativo nel senso di una autorizzazione in favore degli enti territoriali ad avvalersi del personale in precedenza assunto a termine, di volta in volta, in base alle successive disposizioni di proroga non esonera il datore di lavoro pubblico, per darvi corso legittimamente, dall’osservanza delle previsioni di cui all’art. 5 della direttiva;

ciò trova conferma in quanto affermato dalla CGUE con la sentenza del 14 settembre 2016, causa C-16/15, Pérez López (par. 39) «una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale ed astratto, attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, non sarebbe conforme agli obblighi precisati al precedente punto della presente sentenza», e cioè che la nozione di ragione obiettiva (come, peraltro, già enunciato nelle sentenze Angelidaki, Keictlik, nonché Màrquez Samohano, causa C-190/13) «deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in quest’ultimo peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro» (sentenza Pérez López, par. 38);

come è stato precisato da Cass. n. 16336 del 3 luglio 2017 con riferimento ad una vicenda analoga, viene in rilievo la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio – secondo cui, per «prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti»; la clausola 5 prevede, dunque, specifiche misure di prevenzione degli abusi indicandole alternativamente e consentendo, tuttavia, “misure equivalenti” ad una di quelle indicate, come affermato da Cass., SS.UU., n. 5072 del 2016; la Corte di giustizia ha affermato che la direttiva 1999/70/CE e l’Accordo quadro ad essa allegato devono essere interpretati nel senso che essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le Amministrazioni e gli altri Enti del settore pubblico (decisioni causa C-177/10, Rosado Santana; causa C-53/04, Marrosu e Sardino; causa C 212/04, Adeneler);

la direttiva ha avuto attuazione con il d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, applicabile ratione temporis che all’art. 4 che, sin dalla originaria versione, ha previsto che, in presenza di una proroga, la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni;

vi è dunque una clausola antiabusiva concernente la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; nella specie, quelli stipulati ab origine erano contratti a termine di durata non superiore ad un biennio ai sensi dell’art. 76, comma 1, della L.R. n. 25 del 1993;

le disposizioni di proroga sopra ricordate, in ragione di una interpretazione eurocompatibile e costituzionalmente orientata delle stesse, non derogano, come fonte di pari grado, al d.lgs. n. 368 del 2001, nelle more adottato dal legislatore, ma operano proprio nel contesto di legalità e di compatibilità comunitaria, delineato dal medesimo decreto legislativo;

le norme di proroga in questione, quindi, in quanto da applicare nel quadro normativo delineato dal d.lgs. n. 368 del 2001, non si prestano sia pure sotto il mero profilo della non manifesta infondatezza, a dubbi di costituzionalità in relazione alla clausola 5, comma 1, lettera a), dell’Accordo quadro (per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost.), in quanto non escludono che la proroga dei contratti andasse disposta considerando i principi sanciti dal d.lgs. n. 368 del 2001, che aveva recepito nell’ordinamento la disciplina comunitaria;

la mera autorizzazione ad avvalersi del personale in precedenza assunto a termine ai sensi dell’art. 76, comma 1, della L.R. n. 25 del 1993 e, di volta in volta, in base alle successive disposizione di proroga, non esonerava il datore di lavoro pubblico, per darvi corso legittimamente, dall’osservanza delle previsioni di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, in particolare con riguardo al limite temporale, alla sussistenza di ragioni oggettive e alla riferibilità alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato stipulato a tempo determinato, elementi che avrebbero dovuto risultare dai singoli contratti e il cui onere della prova grava sul datore di lavoro;

3. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 20, comma 1, l. n. 448 del 2001 e dell’art. 2, comma 553, della l. 244 del 2007; rilevano che le suddette disposizioni non consentivano solo la stabilizzazione ma la imponevano esentando così dai limiti legislativamente previsti e da questo fa discendere il diritto alla conversione;

4. il motivo è infondato;

nello specifico, come già sopra evidenziato, la stabilizzazione era stata autorizzata e non imposta;

trattasi, peraltro, di un rimedio eccezionale e derogatorio che può eliminare l’abuso ma non può valere, in termini generali, per escludere l’applicabilità dell’art. 97 Cost. che è quella che rileva ai fini della conversione;

ed infatti il divieto di conversione dell’assunzione a termine in contratto a tempo indeterminato risponde a criteri di ragionevolezza ed è ispirato alla tutela di superiori interessi pubblici di natura generale, concorrendo le esigenze di contenimento della spesa con il principio di imparzialità, stante l’obbligo di assumere il personale a mezzo di pubblico concorso, irrilevante essendo che ai contratti a termine in questione sia stato applicato un c.c.n.l. di diritto privato;

5. con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, degli artt. 1218 cod. civ., 1223 e 1226 cod. civ.; lamentano che la Corte territoriale abbia escluso ogni risarcimento del danno derivante dalla violazione delle disposizioni imperative;

6. il motivo è assorbito nella fondatezza del primo motivo di ricorso;

7. con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione alla domanda fondata sull’art. 6 del d.lgs. n. 368 del 2001 ed avente ad oggetto il riconoscimento del diritto agli scatti di anzianità;

8. il motivo è fondato;

nessuna pronuncia è stata emessa dalla Corte territoriale sulla domanda concernente gli scatti di anzianità ritualmente formulata dai ricorrenti nel ricorso di primo grado e reiterata in appello;

ai fini, poi, della rilevanza della questione è sufficiente richiamate quanto evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 15231 del 16 luglio 2020 circa il fatto che la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone al datore di lavoro pubblico di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera successivi al 10 luglio 2001, l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente assunto “ab origine” a tempo indeterminato, fatta salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento;

tale principio è applicabile anche nell’ipotesi in cui il rapporto a termine sia anteriore all’entrata in vigore della direttiva perché, in assenza di espressa deroga, il diritto dell’Unione si applica agli effetti futuri delle situazioni sorte nella vigenza della precedente disciplina (si veda in senso conforme Cass. n. 7584 dell’8 marzo 2022);

9. da tanto consegue che vanno accolti il primo e il quarto motivo di ricorso, rigettato il secondo, assorbito il terzo;

la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Palermo che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;

10. non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, rigetta il secondo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.