CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 aprile 2019, n. 9784
Tributi – Reddito d’impresa – Perdite su crediti – Deducibilità – Assoggettamento del debitore a procedura concorsuale – Credito riferito a ricavi assoggettati a tassazione – Onere di prova a carico del contribuente – Valutazione del giudice
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro A. s.a.s. in liquidazione, T. G. e P. G. – queste ultime in qualità di socie della detta società – impugnando la sentenza resa dalla CTR Lombardia indicata in epigrafe, con la quale sono stati respinti gli appelli avverso la sentenza di primo grado che, riuniti i procedimenti proposti dalla società e dalle due socie, aveva annullato gli avvisi di accertamento relativi alla ripresa a tassazione di IRPEF per l’anno 2005 anche a titolo di reddito di partecipazione. Secondo la CTR era stata corretta la pronunzia di primo grado, laddove aveva ritenuto deducibile la perdita su crediti, accertati giudizialmente dal Tribunale di Milano con sentenza passata in giudicato, vantati dalla società nei confronti della N. E. dal 1849 s.r.l., poi dichiarata fallita, non rilevando la prova che il credito non fosse stato dedotto in anni precedenti, né risultando dirimente la dimostrazione che a fronte del credito iscritto vi fosse stato un corrispondente ricavo.
Le parti intimate si sono costituite con controricorso ed hanno depositato, altresì, memoria.
L’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.101, c.5 e 109 d.P.R. n. 917/1986, nonché dell’art.41 d.P.R. n. 600/73, dell’art.55 d.P.R. n. 633/1972 e dell’art.2697 c.c. I giudici di appello avrebbero omesso di considerare che la deducibilità della perdita su crediti presuppone la dimostrazione dell’inerenza del credito della cui perdita si chiede la deduzione e si giustifica, unicamente, in quanto vi sia stata, prima del riconoscimento della perdita, la tassazione del ricavo quale reddito poi non riscosso per effetto dell’intervenuta inesigibilità dello stesso. Circostanza rimasta indimostrata.
Premesso che il ricorso è ammissibile, avendo l’Agenzia riproposto i temi già esposti nelle fasi di merito, per come risulta dalla sentenza impugnata, né fondandosi la censura sui documenti esaminati dal giudice di merito, la censura è fondata.
Il comma 5 dell’articolo 101 del TUIR, nella versione ratione temporis vigente, prevede che ‘Le perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
L’art. 109, c. 1 d.P.R. n. 917/1986 chiarisce, poi, che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.
Il successivo c. 5 della medesima disposizione, sempre nella versione ratione temporis applicabile, precisa quindi che ‘Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell’articolo 96. Le plusvalenze di cui all’articolo 87, non rilevano ai fini dell’applicazione del periodo precedente.
In definitiva, nei casi in cui il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali, gli elementi certi e precisi posti a fondamento della deducibilità delle perdite su crediti si considerano sussistere per legge e dispensano il creditore dal comprovare il mancato realizzo ed il carattere definitivo della perdita, potendo il credito essere portato in deduzione dal reddito d’impresa dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento. In presenza di una di tali procedure, pertanto, opera un automatismo di deducibilità – Cass. n. 20450/2011 e Cass. n. 14568 del 2001- che prescinde da ogni ulteriore verifica della definitività e degli elementi certi e precisi richiesti nella diversa ipotesi prevista dalla prima parte dell’art. 101, visto che l’accertamento giudiziale o da parte di un’autorità amministrativa dello stato d’insolvenza del debitore (o dello stato di crisi nel caso del concordato preventivo) conclama una situazione di illiquidità definitiva da parte di un’autorità indipendente e non dello stesso creditore.
Ora, nel caso di specie la CTR, valutata la certezza del credito, nascente da pronunzia resa dall’autorità giudiziaria divenuta definitiva – sent. Trib. Milano n. 15653/2003, e l’assoggettamento della società debitrice a procedura fallimentare- sent. Trib. Firenze n. 141/2005- ha ritenuto comprovata non solo l’esistenza della pretesa creditoria, ma anche la sua definitiva inesigibilità, correlata anche alla nota del curatore della società decotta attestante la mancanza di riparto dell’attivo per i crediti chirografari. La CTR ha poi avuto modo di precisare che il credito in esame nasceva da una fattura (n. 6/1989) relativa a parziale rimborso di oneri sostenuti e dalla dichiarazione IVA relativa all’anno 1989.
Va tuttavia evidenziato che la CTR, nel rilevare gli elementi considerati per riconoscere la deducibilità della perdita su crediti, non si è però allineata alle previsioni di legge.
Ed infatti, la circostanza che l’accertamento spiccato nei confronti della società contribuente e delle socie avesse preso le mosse dalla omessa presentazione della dichiarazione dei redditi negli anni precedenti – oltre che dell’anno al quale si riferiva l’avviso di accertamento – che la CTR ha invece ritenuto irrilevante costituiva, per converso, elemento dirimente ai fini del riconoscimento o meno della deducibilità.
Occorre evidenziare che la dimostrazione, fornita dal contribuente dell’esistenza del credito – fatturato e accertato giudizialmente- e dell’insolvibilità del debitore – conclamata dalla dichiarazione di fallimento e dalla nota del curatore attestante la mancanza di riparto per i crediti chirografari- unitamente all’utilizzabilità della perdita di credito per l’anno d’imposta in cui venne pronunziata la dichiarazione di fallimento non esimevano, comunque, il contribuente dal comprovare che la deduzione si riferisse ad una pregressa tassazione del ricavo, poi divenuto inesigibile. In tanto, infatti, il legislatore ha previsto la deducibilità della perdita, in quanto il contribuente abbia previamente subito la tassazione del ricavo, divenuta indebita a fronte della mancata riscossione del credito. Ciò che risulta confermato proprio dal comma 5 dell’art. 109 d.P.R. cit., laddove precisa che i componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito.
Ferma è, del resto, questa Corte, nell’affermare che spetta al contribuente l’onere della prova sull’inerenza del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa, e sulla coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa (Cass. n. 10114/2017, Cass. 8 ottobre 2014, n. 21184; Cass. 14 gennaio 2015, n. 403).
Con specifico riferimento all’inerenza in tema di perduta su crediti, d’altra parte, questa Corte ha di recente ribadito che “l’inerenza rappresenta un requisito da provare in relazione a tutte le poste reddituali fiscalmente deducibili, involgendo, nel caso di specie la dimostrazione che i crediti, sui quali si è verificata la perdita, siano relativi all’attività svolta dall’impresa nell’ambito dell’oggetto sociale“, poi aggiungendo che, di fronte alla contestazione specifica del requisito dell’inerenza da parte dell’Amministrazione Finanziaria è stato onere dei contribuenti dare piena dimostrazione dell’inerenza dei crediti (e delle conseguenti perdite sugli stessi) all’attività imprenditoriale svolta dalla società – cfr. Cass. n. 16539/2018-. Ciò perché “in tema di imposte sui redditi di impresa, grava sul contribuente l’onere di fornire la prova della deducibilità delle perdite su crediti ritenuti dal Fisco indeducibili, dimostrando la natura di componenti negative del reddito d’impresa, sulla base di elementi certi e precisi” (Cass. sent. n. 447/2015).
In definitiva, la CTR non si è uniformata ai principi nascenti dalla disciplina normativa applicabile per come interpretati da questa Corte, limitando il proprio sindacato a l’accertamento dell’inesigibilità del credito e tralasciando, per converso, ogni valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di inerenza della perdita di credito per come sopra esposti, non potendo dall’accertamento del credito risalirsi, in modo astratto, alla riferibilità del credito all’attività societaria.
Sulla base di tali considerazioni, alle quali può aggiungersi che, diversamente da quanto opinato dalle parti controricorrenti, la fattura non può di per sé giustificare la prova circa l’inerenza del costo, il ricorso va accolto e la sentenza deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della CTR Lombardia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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