CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 aprile 2020, n. 7741
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Dichiarazione di fallimento della convenuta nel corso del giudizio di secondo grado – Accertamento del credito – Impugnazione nei confronti della curatela
Fatti di causa
La Società F. Alimentari S.r.l. ha agito in giudizio nei confronti della D. S.r.l. per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della fornitura, da parte della convenuta, di una partita di ricotta avariata.
La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma.
La Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre la Società F. Alimentari S.r.l., sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento della D. S.r.l..
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis. 1 c.p.c.
La curatela controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Va in primo luogo presa in esame l’eccezione di improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 52, comma 2, L.F., avanzata dalla curatela controricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.
La società convenuta è stata dichiarata fallita nel corso del giudizio di secondo grado.
La dichiarazione di fallimento è pacificamente intervenuta dopo l’assegnazione della causa in decisione nel giudizio di appello (avvenuta nel maggio 2017), anche se prima della pubblicazione della sentenza (avvenuta nel novembre 2017).
Non è stata dichiarata l’interruzione del giudizio di appello, ma la questione non è nella presente sede oggetto di specifica censura da parte della curatela fallimentare (che ha anzi chiesto la conferma della decisione impugnata): è dunque irrilevante stabilire se la suddetta interruzione, in ragione della fase processuale in cui ha avuto luogo il fallimento, avrebbe potuto essere dichiarata o meno.
La ricorrente ha coltivato l’azione esclusivamente nei confronti del curatore del fallimento, notificando a quest’ultimo il presente ricorso (cfr. pag. 13, ultimi righi, del ricorso) ed indicando espressamente ed esclusivamente quest’ultimo quale soggetto destinatario dell’impugnazione, come emerge inequivocabilmente dall’epigrafe dello stesso ricorso (il che rende del tutto irrilevante che il ricorso stesso sia stato notificato anche al procuratore della società fallita, costituito nel giudizio di secondo grado).
Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cui il Collegio intende dare piena continuità), «in tema di ammissione al passivo fallimentare con riserva, l’articolo 96, comma 2, n. 3 L.F. deve essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte di una sentenza non passata in giudicato e pronunciata prima della dichiarazione di fallimento» (così Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11362 del 10/05/2018, Rv. 648583 – 01). In altri termini, il principio per cui «nel caso in cui un soggetto, rimasto soccombente all’esito di un giudizio di condanna, sia dichiarato fallito nel corso del giudizio di impugnazione, l’azione proposta non è improcedibile, in quanto, a norma dell’art. 96 L.F., il creditore, sulla base della sentenza impugnata, può insinuarsi al passivo con riserva, mentre il curatore, dal suo canto, può proseguire il giudizio di impugnazione» (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14768 del 30/05/2019, Rv. 654096 – 01), in realtà vale anche nella contraria ipotesi in cui il fallimento (o la liquidazione coatta amministrativa) sopravvenga alla sentenza di rigetto, anche solo parziale, della domanda proposta da un creditore, risultando tale soluzione coerente con il principio della ragionevole durata del processo.
Ne consegue che, in tal caso, il creditore, per evitare gli effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della decisione di merito, deve proporre impugnazione in via ordinaria nei confronti della curatela, e la sentenza di accertamento del credito, eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado, spiega efficacia nei confronti della procedura, allo stesso modo di quella di rigetto dell’impugnazione proposta o proseguita dal curatore in caso di accoglimento della domanda in primo grado (cfr. ex multis: Cass., Sez. L, Ordinanza n. 2018 del 26/01/2018, Rv. 647264 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 3338 del 19/02/2015, Rv. 634900 – 01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 17834 del 22/07/2013, Rv. 627481 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010, Rv. 615853 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4646 del 26/02/2009, Rv. 607637 – 01; Sez. L, Sentenza n. 5113 del 27/02/2008, Rv. 601682 – 01).
Nella specie si è verificata proprio la situazione appena descritta.
Il fallimento della società convenuta è sopraggiunto dopo la sentenza di rigetto in primo grado della domanda proposta nei suoi confronti e la società attrice, per evitare gli effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado che ha confermato quella di primo grado, ha proposto l’impugnazione nei confronti della curatela, al fine di ottenere (previa cassazione della decisione di merito) una sentenza di accertamento del proprio credito, in riforma di quella di primo grado, che possa spiegare efficacia nei confronti della procedura, ai sensi dell’art. 96, comma 2, n. 3 L.F. (purché, naturalmente, risulti tempestivamente proposta domanda di ammissione al passivo e la stessa risulti decisa con riserva, come previsto dalla disposizione appena richiamata).
Non può quindi ritenersi fondata l’eccezione di improcedibilità della domanda ed il ricorso può essere esaminato nel merito.
2. Con il primo motivo si denunzia «Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., e degli artt. 132. primo comma, n. 4. c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.. in relazione all’art. 360. n. 4). c.p.c.: la sentenza contro cui si ricorre appare priva di una concreta motivazione, giacché motivata mediante un acritico e meramente formale rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, senza alcuna disamina del provvedimento impugnato e delle censure sollevate avverso tale provvedimento dall’appellante».
Il motivo è fondato.
Secondo la corte di appello, pur non essendovi alcuna contestazione sull’an della responsabilità della società convenuta (in conseguenza della fornitura di ricotta contaminata), con riguardo ai conseguenti danni sarebbe mancata la prova del quantum debeatur.
I giudici di secondo grado si sono però limitati a negare l’operatività del principio di non contestazione in relazione ai danni allegati dalla società attrice (questione peraltro non oggetto di specifiche censure nella presente sede), mentre, per quanto riguarda la valutazione delle prove documentali da essa prodotte in relazione a tali danni, il rigetto del gravame è sostenuto esclusivamente da una affermazione del tutto generica, secondo la quale la documentazione prodotta non avrebbe «valore probatorio autosufficiente», trattandosi «di corrispondenza con altre società e di fatture commerciali provenienti dalla stessa attrice o da società terze, in questo caso prive di dichiarazione di quietanza», avendo invece la corte territoriale operato un mero rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado per quanto riguarda la valutazione delle singole voci di danno oggetto della domanda.
Va in proposito osservato che i suddetti danni erano stati specificamente dettagliati dall’attrice ed avevano varia natura: era stato infatti chiesto il ristoro dei costi necessari all’accertamento della contaminazione ed alla distruzione degli alimenti contaminati (attività operate in proprio dall’attrice ovvero dalle società acquirenti di detti alimenti, con addebito all’attrice dei relativi oneri), del mancato guadagno ricavabile dalla vendita di parte dei prodotti realizzati con la merce contaminata (che era stato necessario distruggere) nonché del mancato pagamento delle fatture già emesse dall’attrice per la vendita degli alimenti poi risultati contaminati a società terze. In relazione a tutte queste voci di danno, l’appello della società ricorrente conteneva specifici motivi di gravame diretti a contestare la decisione di primo grado, che non le aveva ritenute adeguatamente provate.
In siffatta situazione, la motivazione espressa dalla corte di appello a sostegno del rigetto del gravame, articolata come più sopra descritto, deve ritenersi, a giudizio di questa Corte, del tutto omessa ovvero, al più, meramente apparente.
In particolare, essa non può ritenersi validamente operata per relationem, con il rinvio alla decisione di primo grado.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, «la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame» (cfr., tra le più recenti: Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019, Rv. 654951 – 01; Sez. L, Ordinanza n. 28139 del 05/11/2018, Rv. 651516 – 01; Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018, Rv. 651205 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 24452 del 05/10/2018, Rv. 650527 – 01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 21978 del 11/09/2018, Rv. 650253 – 01; Sez. L, Sentenza n. 21037 del 23/08/2018, Rv. 650138 – 01; Sez. 6- 5, Ordinanza n. 22022 del 21/09/2017, Rv. 645333 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15884 del 26/06/2017, Rv. 644726 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 14786 del 19/07/2016, Rv. 640759 – 01; sulla completezza della motivazione per relationem si vedano, altresì, in generale: Cass., Sez. U, Sentenza n. 642 del 16/01/2015, Rv. 634091 – 01; Sez. 6-5, Ordinanza n. 107 del 08/01/2015, Rv. 633996 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 9334 del 08/05/2015, Rv. 635474 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22652 del 05/11/2015, Rv. 637064 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10937 del 26/05/2016, Rv. 639853 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 22562 del 07/11/2016, Rv. 641641 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5209 del 06/03/2018, Rv. 647325 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 16504 del 19/06/2019, Rv. 654276 – 01).
Nella specie, la pronunzia impugnata, nel rinviare a quella di primo grado con riguardo all’esame delle singole voci di danno di cui era stato chiesto il risarcimento, risulta del tutto priva di elementi che consentano di ritenere che i giudici di secondo grado abbiano effettivamente preso in esame e valutato gli specifici motivi di gravame (peraltro adeguatamente riportati e trascritti nel ricorso) avanzati avverso la sentenza del tribunale.
Deve quindi escludersi, che siano state adeguatamente espresse le effettive ragioni della decisione, che va di conseguenza cassata.
3. Con il secondo motivo si denunzia «Falsa applicazione degli artt. 2697 e 1223 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c.: la sentenza d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ha dato falsa applicazione delle norme richiamate, subordinando il diritto al risarcimento alla prova dell’attualità del danno».
Con il terzo motivo si denunzia «Falsa applicazione dell’art. 2697 in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c.: la sentenza d’appello ha dato falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. richiedendo prova del pagamento in relazione ad una voce di danno il cui fatto costitutivo è la mancata realizzazione di un credito».
Il secondo e il terzo motivo restano assorbiti in conseguenza dell’accoglimento del primo: la valutazione dei motivi di gravame avanzati dalla società attrice avverso la decisione di primo grado dovrà infatti essere effettuata nuovamente in sede di rinvio.
4. È accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri.
La sentenza impugnata è cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
– Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa per l’effetto la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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