CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2019, n. 3736
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Riscossione – Fatture non emesse – Compravendita immobiliare – Contratto preliminare – Caparra confirmatoria
Rilevato che
1. con sentenza n. 95/01/10 del 26/10/2010, la CTR dell’Umbria respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 69/04/08 della CTP di Terni, che aveva accolto il ricorso proposto dalla S. E. s.p.a., incorporante la E. s.r.l., avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria procedeva al recupero dell’IVA relativa a fatture non emesse con riferimento all’anno 2004;
1.1. come si evince dalla sentenza della CTR: a) l’avviso di accertamento veniva emesso in ragione della diversa qualificazione (acconto prezzo e non già caparra confirmatoria) dei pagamenti effettuati dalla S. s.p.a. in favore della E. s.r.l. a seguito della stipulazione di un contratto preliminare di vendita di un capannone industriale; b) la CTP accoglieva il ricorso della società contribuente; c) la sentenza della CTP era appellata dalla Agenzia delle entrate;
1.2. Su queste premesse, la CTR motivava il rigetto dell’appello osservando che: a) «il tenore letterale del contratto preliminare stipulato il 20/10/2004 fra S. S.p.a. ed E. S.r.l. non lascia alcun margine a dubbi interpretativi: all’articolo 3 viene espressamente detto che le somme di € 126.000,00= e di € 950,000,00= verranno versate “a titolo di caparra confirmatoria”. Le quattro quietanze rilasciate dalla E. S.r.l. recano tutte l’espressa menzione “a titolo di caparra confirmatoria”; anche contabilmente dette somme vengono registrate nel conto “caparra confirmatoria”»; b) in tale contesto, non era in grado di superare la volontà chiaramente espressa dalle parti la circostanza «che la caparra copra il 63% del prezzo totale della compravendita – percentuale che l’appellante ritiene troppo elevata rispetto alle consuetudini in uso»; c) del resto, «l’importo della caparra confirmatoria, visto l’art. 1385 c.c., non ha alcun limite, è rimesso alla libera volontà contrattuale delle parti, e la relativa decisione non è sindacabile in giudizio», anche in considerazione del fatto che «una caparra elevata ben può avere una sua ragione di essere giuridico-economica e non può certo presumersi un intento fraudolento o elusivo»;
2. l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
3. la S. E. s.p.a. non si costituiva in giudizio e restava, pertanto, intimata.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1385 cod. civ., nonché degli artt. 6 e 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che la corretta interpretazione della clausola contrattuale contenuta in un contratto preliminare di compravendita immobiliare – secondo cui il pagamento del prezzo della futura vendita è regolato mediante la corresponsione di somme da versare prima della stipulazione del definitivo a titolo di caparra confirmatoria e di un’ultima tranche a saldo
– comporta che i pagamenti avvenuti prima della stipulazione del definitivo costituiscono anche acconti sul prezzo della vendita e, pertanto, vanno fatturati ai sensi degli artt. 6 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972;
2. con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, atteso che diversi elementi fattuali non sono stati debitamente considerati dalla CTR quali indici della circostanza che i pagamenti anteriori alla stipula del contratto definitivo (mai avvenuta) siano da considerare anche come acconto prezzo del trasferimento immobiliare;
3. i motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro intima connessione, vanno disattesi;
3.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema d’IVA, il versamento di una caparra confirmatoria a corredo di un preliminare di vendita, rimasto inadempiuto, non determina l’insorgenza del presupposto impositivo, in quanto assolve una funzione di risarcimento forfettario del danno e non di anticipazione del corrispettivo» (Cass. n. 10306 del 20/05/2015);
nella motivazione della menzionata si sottolinea che la caparra confirmatoria «risponde ad autonome funzioni: oltre a costituire, in generale, indizio della conclusione del contratto cui accede, incita le parti a darvi esecuzione, considerato che colui che l’ha versata potrà perdere la relativa somma e la controparte potrà essere, eventualmente, tenuta a restituire il doppio di quanto ricevuto in caso di inadempimento ad essa imputabile; può svolgere, inoltre, funzione di anticipazione del prezzo, nel caso di regolare esecuzione del contratto preliminare, costituendo, invece, un risarcimento forfetario in caso d’inadempimento di questo, poiché il suo versamento dispensa dalla prova del quantum del danno subito in caso di inadempimento della controparte, salva la facoltà di richiedere il risarcimento del maggior danno (Cass., sez.un., 4 febbraio 2009, n. 2634; sulla funzione risarcitoria, fra varie, 19 settembre 2014, n. 19762; 8 giugno 2012, n. 9367). Il punto è che, mentre nell’ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è Imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell’imposta, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, l’inadempimento ne propizia il trattenimento, che serve, si è visto, a risarcire il promittente venditore (pur con la precisazione, di recente sottolineata dalla Consulta, che ciò che viene in rilievo, anche nel contesto della disciplina del recesso recata dall’art. 1385 c.c., è comunque un inadempimento gravemente colpevole, cioè imputabile e di non scarsa importanza: Corte cost., ord. 2 aprile 2014, n. 77). Un tale risarcimento non costituisce il corrispettivo di una prestazione e, per conseguenza, non fa parte della base imponibile dell’iva (Corte giust. 18 luglio 2007, causa C- 277/05, Societe thermale d’Eugenie-les-Bains, punto 32)»;
3.2. più in generale, la S.C. ha evidenziato che «la dazione pecuniaria qualificata dalle parti come “caparra confirmatoria” si ritiene avvenuta a tale titolo a meno che circostanze di segno opposto evidenzino la non aderenza della qualifica formale rispetto alla situazione oggettiva» (così, in motivazione, Cass. n. 12423 del 21/05/2018; in senso conforme si vedano, altresì, Cass. n. 28573 del 20/12/2013; Cass. n. 9478 del 09/09/1991)»;
3.3. ciò premesso, nel caso di specie, la CTR fonda il proprio convincimento che le somme versate dalla S. s.p.a. alla E. s.r.l. siano state corrisposte a titolo di caparra confirmatoria: a) sul dato letterale del contratto preliminare; b) sul contenuto delle quietanze rilasciate dalla E. s.r.l., che pure fa riferimento alla caparra confirmatoria; c) sulla registrazione contabile di tale dazione di denaro come caparra confirmatoria;
inoltre, la CTR ritiene di non dovere dare rilievo: a) al fatto che la caparra copra, in ipotesi, il sessantatre per cento del prezzo totale della compravendita in base alla considerazione che l’art. 1385 cod. civ. non preveda alcun importo limite e che una caparra fissata in una misura elevata può ben avere una sua giustificazione giuridico-economica; b) ai rapporti di parentela fra gli amministratori delle due società, peraltro venuti meno a seguito di divorzio;
3.4. a fronte di tale interpretazione del contratto preliminare, correttamente e logicamente giustificata dalla CTR, l’Agenzia delle entrate contrappone una diversa interpretazione del negozio, fondata sia sul tenore letterale dello stesso (le somme previste dall’art. 3 del contratto costituiscono testualmente, oltre che caparra confirmatoria, anche pagamenti del prezzo della compravendita), sia sulla comune intenzione delle parti (la CTR ha valutato solo la dizione contenuta sulle quietanze rilasciate dalla E. s.r.l., ma non anche le risultanze delle scritture contabili, dalle quali si evince la registrazione di incasso da fatture, poi non emesse; il contratto definitivo non è stato mai stipulato e la E. s.r.l. ha rinunciato a trattenere la caparra versata);
3.5. peraltro, non può certo dirsi che la motivazione della CTR sia stata assunta in violazione di legge, avendo i giudici di appello rettamente applicato i criteri legali di interpretazione del contratto, prendendo in considerazione non solo il tenore letterale del contratto preliminare, ma anche la comune intenzione delle parti (diversamente da quanto avvenuto nella fattispecie oggetto dell’esame di Cass. n. 12423 del 2018, cit., in cui la soluzione adottata, opposta a quella assunta nel caso di specie, è dovuta alla pedissequa applicazione della lettera del contratto da parte del giudice di appello, senza alcuna valorizzazione degli elementi extratestuali acquisiti agli atti);
del resto, la funzione della caparra confirmatoria risulta ben chiara alla CTR e, pertanto, la circostanza che i pagamenti effettuati da S. s.p.a. siano contrattualmente qualificati anche in termini di acconto prezzo non assume rilievo decisivo, rientrandosi proprio nella funzione dell’istituto e potendo sempre adottarsi, in caso di imputazione in conto prezzo della caparra versata, la procedura di variazione di cui all’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (sicuramente esperibile, in quanto la mancata stipulazione del negozio prefigurato nel contratto preliminare ha reso definitivo l’inadempimento dell’obbligo di pagare il prezzo: cfr. CGUE 22/02/2018, in causa C-396/16, 7-2);
infine, va considerato che l’interpretazione accolta nella sentenza impugnata, per essere colpita dal sindacato di legittimità, non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma soltanto una delle plausibili interpretazioni della clausola in esame (Cass. n. 6125 del 17/03/2014; Cass. n. 24539 del 20/11/2009; Cass. n. 10131 del 02/05/2006);
3.6. sotto altro profilo, la circostanza che la CTR abbia valorizzato alcuni elementi piuttosto che altri non determina di per sé un vizio di motivazione della sentenza, in quanto è il giudice di merito a dovere scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (cfr., ex multis, Cass. n. 25608 del 14/11/2013);
né, a fronte della plausibile ricostruzione della fattispecie operata dal giudice di appello, gli elementi addotti dall’Agenzia delle entrate possono essere considerati decisivi ai fini della formazione di un differente convincimento: la circostanza che dalle scritture contabili di E. s.r.l. risulta la dizione incasso fatture è interpretabile anche come un mero errore di scritturazione, se è vero che le fatture non sono state emesse; la rinuncia a far valere il diritto proveniente dalla caparra non è certamente significativa della originaria volontà di trattenere le somme quale acconto prezzo, ma potrebbe essere indicativa di un eventuale successivo accordo tra le parti, conseguente alla mancata conclusione dell’affare;
4. in conclusione, il ricorso va rigettato; nulla per le spese in ragione della mancata costituzione di S. E. s.p.a.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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