CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2019, n. 3759
Accertamento – Riscossione – Rottamazione dei ruoli – Contenzioso tributario
Fatti di causa
M.G. impugnò la cartella di pagamento notificatale in data 6.6.2006 per IVA 1994, esponendo trattarsi di una residua pretesa derivante da precedente contenzioso, definito con sentenza della C.T.P. di Roma del 17.12.2002, ma rilevandone tuttavia l’erroneità, giacché essa ricorrente aveva aderito alla proposta dell’esattore, estinguendola in data 16.5.2003 ai sensi dell’art. 12 della legge n. 289/2002 (c.d. rottamazione dei ruoli). L’adita C.T.P. di Roma, con sentenza del 11.3.2010, accolse il ricorso della contribuente, annullando la cartella. Detta decisione venne impugnata dinanzi alla C.T.R. per il Lazio sia dall’Agenzia delle Entrate, sia, incidentalmente, dalla stessa G., che frattanto, in data 30.3.2012, aveva pure presentato domanda di definizione della lite fiscale ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98/2011, conv. In legge n. 111/2011. La C.T.R. per il Lazio, con sentenza del 19.7.2012, accolse l’appello principale dell’Ufficio, riformando la prima decisione e rigettando le domande della contribuente. Infine, in data 27.9.2012, venne notificato alla G. il provvedimento prot. n. 176183 del 25.9.2012, con cui l’Ufficio aveva rigettato la domanda di definizione.
M.G. ricorre ora per cassazione sia avverso la sentenza, sulla base di due motivi, che avverso il citato provvedimento di diniego; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1.1 — Con il primo motivo, la ricorrente lamenta omessa o insufficiente motivazione circa fatti decisivi, nonché violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. Osserva la ricorrente che era stata specificamente eccepita la tardività dell’appello dell’Ufficio, ma la questione non è stata per nulla affrontata dal giudice del gravame. Questo, inoltre, nel motivare sull’accoglimento dell’impugnazione dell’Agenzia, s’è limitato a recepire le tesi avanzate dalla parte pubblica, senza alcuna valutazione critica rispetto ai fatti controversi e affermando apoditticamente che il precedente contenzioso, definito come detto con la rottamazione dei ruoli, concerneva soltanto l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio dell’IVA, in attesa della definizione del giudizio. Né del resto il giudice d’appello – secondo la G. – ha preso in considerazione le ulteriori eccezioni e domande proposte da essa ricorrente, non avendo pronunciato né sulla propria domanda di risarcimento danni, né sulla chiesta riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui era stata disposta la compensazione delle spese.
1.2 – Col secondo motivo, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 12, lett. c, del d.l. n. 98/2011, conv. in legge n. 111/2011, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Secondo la ricorrente, la C.T.R. non avrebbe potuto pronunciare la decisione una volta proposta la domanda di definizione della lite pendente, operando la sospensione del giudizio fino al 30.6.2012, ai sensi della norma in rubrica, sicché la sentenza è nulla.
1.3 – Quanto infine all’impugnazione del provvedimento di diniego del 25.9.2012, la G. ne contesta il fondamento – riscontrato nella circostanza che detta definizione non sarebbe applicabile alle liti relative ad atti di riscossione – occorrendo in realtà tener conto non già della veste formale dell’atto impugnato, quanto dell’aspetto sostanziale, come nella specie, in cui era stata messa in discussione la stessa potestà impositiva dell’Ufficio, stante la denunciata duplicazione della pretesa.
2.1 — Il primo motivo è infondato, in tutte le sue articolazioni.
Quanto alla presunta violazione dell’art. 112 c.p.c., è evidente che la decisione della C.T.R., con cui è stato integralmente accolto l’appello principale dell’Agenzia (che, col gravame, aveva rideterminato in diminuzione l’importo recato in cartella, tenendo conto della precedente rottamazione dei ruoli cui aveva aderito la contribuente, fatto dapprima non preso in considerazione), ha indubbia natura di rigetto implicito delle domande ed eccezioni sollevate dalla G. e concernenti la pretesa tardività dell’appello (l’esame del merito, evidentemente, presuppone risolta in senso sfavorevole alla contribuente la questione della tardività dell’impugnazione), nonché l’invocato risarcimento del danno e la richiesta di modifica della statuizione sulle spese di primo grado (l’accoglimento delle stesse è ovviamente incompatibile con l’accertata fondatezza della pretesa tributaria).
Nessuna omessa pronuncia può quindi configurarsi al riguardo (ex multis, Cass. n. 20718/2018). Non senza evidenziare, comunque, che da quanto risulta dall’esame dell’atto d’appello prodotto in questa sede dall’Agenzia, e contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, l’impugnazione è stata avanzata il 26.4.2011 con racc. a.r. (e non il giorno successivo) e pertanto – avuto riguardo alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado (11.3.2010) e al termine c.d. lungo di cui al previgente art. 327 c.p.c., applicabile ratione temporis – deve ritenersi tempestiva.
Quanto poi alla presunta omessa o insufficiente motivazione, ritiene la Corte che la censura non colga nel segno. Invero, dalla lettura della decisione impugnata, emerge chiaramente il percorso logico-giuridico seguito dal giudice d’appello, giacché questo – in relazione alla questione della pretesa doppia imposizione – ha dapprima rilevato che la cartella oggetto del primo contenzioso solo per errore riportava la dicitura “a titolo definitivo in assenza di ricorso”, trattandosi in realtà di iscrizione a titolo provvisorio in pendenza di giudizio, ex art. 60 d.P.R. n. 633/1972, della metà della maggiore IVA pretesa, come anche evincibile dall’assenza di qualsiasi iscrizione a titolo di sanzione; ha poi rilevato che, con la notifica della seconda cartella (quella impugnata nel presente giudizio), l’Ufficio era effettivamente incorso in errore, ma solo per non aver scomputato dalla residua pretesa per IVA 1994 l’importo relativo alla sua metà e già definito dalla G. mediante la c.d. rottamazione dei ruoli. La C.T.R. ha quindi rideterminato il dovuto in € 1.471,90 a titolo di imposta residua, ed in € 3.532,56 a titolo di sanzione, ritenendo invalidata solo in parte la cartella impugnata, “confermata nei limiti di quanto sopra esposto”.
Detta motivazione – anche a prescindere dalla sua correttezza in iure, profilo non censurato col ricorso in esame – è del tutto scevra da omissioni o incoerenze logiche, sicché va esente da censure al riguardo.
3.1 – Stessa sorte segue il secondo motivo.
Questa Corte ha condivisibilmente affermato che “In tema di condono fiscale, ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011, la sospensione dei termini d’impugnazione è automaticamente prevista fino al 30 giugno 2012 “per le liti fiscali che possono essere definite”, per cui il presupposto applicativo dell’istituto non è condizionato dalla presentazione di un’istanza di definizione, ma solo dall’astratta definibilità della lite pendente” (Cass. n. 11531/2016).
Alcuna sospensione necessaria del giudizio poteva quindi configurarsi, nella specie, per effetto della mera presentazione dell’istanza in discorso da parte della G., perché ciò che rileva, a tal fine, è che la lite pendente rientri tra quelle che possono essere suscettibili di definizione agevolata.
Al riguardo, è noto che, secondo costante orientamento di questa Corte di legittimità, l’accesso alla definizione agevolata in discorso, per gli atti di riscossione – quali la cartella di pagamento – è ammissibile solo quando questa sia stata emessa a seguito di controllo automatizzato ed in assenza di un previo avviso di accertamento (v., da ultimo, Cass. n. 23269/2018), trattandosi in definitiva del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente. Ove invece sia stato precedentemente emesso un autonomo atto d’accertamento (come nella specie, atto oggetto del giudicato di C.T.P. di Roma del 17.12.2002), la notifica della cartella non costituisce “nuovo ed autonomo atto impositivo, ma di atto di mera esecuzione di una pretesa ormai definitiva” (così, Cass. n. 15799/2015).
Per quanto precede, quindi, del tutto correttamente la C.T.R. ha ritenuto irrilevante la presentazione dell’istanza in discorso da parte della G.. Di conseguenza, non soltanto non è possibile riscontrare alcuna nullità della sentenza impugnata, ma va anche respinta l’impugnazione del provvedimento di diniego del 25.9.2012, in quanto correttamente motivato.
4.1 — Il ricorso è pertanto rigettato. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 1.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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