CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2021, n. 2972
Espletamento di mansioni superiori rispetto a quelle di formale appartenenza – Differenze retributive – Giudizio volto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore subordinato, cd. percorso trifasico – Accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte – Individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria
Rilevato che
Il Tribunale di Taranto respingeva le domande proposte da E.L. nei confronti della A. s.p.a. volte a conseguire l’inquadramento nel livello Quadri, o in subordina nel livello VIII o ancora nel livello VII per aver espletato mansioni superiori rispetto a quelle di formale appartenenza, del livello VI.
Detta pronunzia veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto che accertava il diritto della lavoratrice all’inquadramento nel livello VIII del c.c.n.I. Servizi Ambientali del 30/6/2008 a far tempo dal gennaio 2011 e condannava la società al pagamento delle differenze retributive maturate con decorrenza dalla stessa data.
La Corte di merito perveniva a tali approdi all’esito dello scrutinio delle acquisizioni probatorie che avevano chiaramente mostrato lo svolgimento da parte ricorrente, di quella immediata collaborazione con la direzione aziendale richiesta dalla dedaratoria professionale del superiore livello rivendicato.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a, A. sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Sono state depositate memorie da entrambe le parti ex art.380 bis c.p.c.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.2103 c.c. e dell’art. 16 c.c.n.I. dei servizi ambientali 30/6/2008 in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.
Ci si duole che la Corte di merito abbia omesso di effettuare ogni indagine in relazione allo svolgimento di un periodo superiore a tre mesi di effettivo servizio ai fini dell’accertamento della superiore qualifica rivendicata.
Si osserva che nel giudizio di merito la società aveva prodotto fogli presenza relativi all’anno 2011 dai quali si desumeva che la dipendente era stata assente per i mesi di maggio, giugno, ottobre e novembre, essendo presente al lavoro per un numero di 67 giornate lavorative.
La totale omissione dell’esame circa la durata del periodo di svolgimento di asserite mansioni superiori, discusso fra le parti, integrava un evidente difetto di motivazione oltre che una violazione della disposizione contrattualcollettiva di cui all’art. 16, alla cui stregua l’assegnazione di un superiore livello di inquadramento diviene definitiva dopo un periodo di tre mesi di effettivo servizio.
2. Il motivo palesa plurimi, concorrenti profili di inammissibilità.
In violazione del principio di specificità che governa il ricorso per cassazione, consacrato dall’art. 366 nn. 3, 4 e 6 c.p.c. la società ricorrente ha omesso di indicare tempi e modi di formulazione della eccezione relativa alla mancanza dei requisiti previsti dalla contrattazione collettiva per l’accertamento del diritto alla qualifica superiore, in relazione al mancato svolgimento nell’anno 2011 di almeno tre mesi di lavoro, essendosi limitata a dedurre di aver prodotto la relativa documentazione.
Tuttavia, secondo insegnamento di questa Corte, i dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo o in quanto fondativi del diritto fatto valere in giudizio o in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la necessaria circolarità, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova; circolarità attestata dal combinato disposto dell’art. 414 nn. 4 e 5 e dall’art. 416, 3A comma, c.p.c. (cfr. al riguardo Cass. 17/4/2002 n.5526 Cass. S.U. 17/6/2004 n. 11353, Cass. 4/10/2013 n. 22738).
È opportuno sul punto evidenziare, con riferimento ai fatti sui quali si fonda la domanda attrice, come la contestazione – per evitare ricadute pregiudizievoli per il convenuto – non possa essere generica, non possa cioè concretizzarsi in formule di stile, in espressioni apodittiche o in asserzioni meramente negative, ma debba essere invece puntuale, circostanziata, dettagliata ed onnicomprensiva di tutte le circostanze in relazione alle quali viene chiesta l’ammissione della prova.
Non è invero priva di significato l’espressione “in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione”, inclusa nell’incipit del terzo comma dell’art.416 c.p.c. (“Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda”).
Nello specifico, si impone l’evidenza della carenza di enunciazione di tempi e modi nei quali il fatto costitutivo del diritto vantato dalla attrice, esplicitato in modo esaustivo con riferimento allo svolgimento delle mansioni superiori in relazione al periodo prescritto dalla legge dai contratti collettivi, sarebbe stato oggetto di specifica contestazione- da parte datoriale così come della rituale produzione del relativo corredo documentale, al quale si fa riferimento in sede di ricorso per cassazione (vedi per tutte Cass. 1/8/2008 n.21032).
Nell’ottica descritta, in assenza di qualsivoglia riferimento contenuto nella pronuncia impugnata alle suesposte difese (memoria depositata in primo grado ed in sede di gravame), la censura deve ritenersi affetta da irredimibile inammissibilità.
3. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.2103, 1362, 1363 c.c. e dell’art.16 c.c.n.I. dei servizi ambientali 30/6/2008 in relazione all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c.
Ci si duole che la Corte di merito abbia riconosciuto il livello di inquadramento VIII oggetto di rivendicazione, senza tener conto dei principi invalsi nella giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui nell’interpretazione di un contratto collettivo, in particolare aziendale, ai fini della classificazione del personale ha rilievo preminente la considerazione degli specifici profili professionali, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalità.
I giudici del gravame si sarebbero limitati a richiamare la sola declaratoria del livello oggetto di riconoscimento, omettendo ogni doverosa considerazione circa i profili esemplificativi enunciati dalla disposizione di riferimento.
4. La censura è priva di pregio.
Occorre premettere, per un corretto iter motivazionale, che, momento ineludibile del giudizio volto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore subordinato, è il cd. percorso trifasico.
Detto procedimento logico-giuridico, secondo l’insegnamento di questa Corte, si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda, essendo sindacabile in sede di legittimità qualora la pronuncia abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle predette fasi (cfr. ex aliis, Cass. 27/9/2010 n.20272, Cass. 28/4/2015 n.§589, Cass. 22/11/2019 n. 30580).
Sempre secondo i condivisi dieta di questa Corte (vedi Cass.27/9/2016 n.18943) l’osservanza del cd. criterio “trifasico”, da cui non si può prescindere nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni.
Nello specifico, deve rimarcarsi come la Corte di merito abbia addotto una serie di argomentazioni idonee a confermare la ricorrenza degli elementi dalla medesima ricorrente posti a fondamento del diritto azionato, che inducono a ritenere percorso il paradigma motivazionale enucleato dalla giurisprudenza di legittimità ai fini qui considerati.
La Corte distrettuale ha innanzitutto fatto richiamo al livello VI in godimento, riservato ai lavoratori che svolgono mansioni comportanti facoltà di decisione e autonomia operativa limitate agli obiettivi di appartenenza.
Ha inoltre rimarcato come dalle acquisizioni probatorie, anche di natura documentale, si fosse imposta l’evidenza che la ricorrente, quantomeno dal gennaio 2011, aveva adempiuto alle mansioni a lei. ascritte in totale autonomia, selezionando gli aspetti da privilegiare in relazione alle questioni da risolvere. La Corte ha inoltre considerato la varietà delle materie in relazione alle quali era richiesta la consulenza della lavoratrice (studio della normativa in tema di servizi di igiene urbana e di flussi finanziari, dei profili di responsabilità penale di enti e società, predisposizione di bandi di gara, della materia disciplinare…) e la diretta interlocuzione della stessa con la direzione sulle descritte rilevanti tematiche.
Ha quindi, congruamente concluso come non aderente alle previsioni del c.c.n.l. di settore l’attribuzione all’appellante del livello VI, considerato che i contenuti di ricerca e di studio elaborati dalla dipendente erano di fatto, integralmente recepiti dalla direzione, così realizzandosi quel requisito coessenziale alla qualifica del “livello VIII, del potere di incidere sulle scelte aziendali proprio della attività svolta.
La struttura logico-giuridica che innerva l’impugnata sentenza, risponde dunque, ai canoni che definiscono una corretta sussunzione della fattispecie nell’archetipo normativo di riferimento, non assumendo valenza decisiva la denunciata omissione di ogni riferimento da parte della Corte di merito, ai profili professionali corrispondenti alla declaratoria contrattuale relativa al livello rivendicato, considerata la natura esemplificativa degli stessi.
Va precisato al riguardo che la figura di “responsabile dell’ufficio contenzioso” corrispondente alla attività espletata dalla ricorrente, si poneva come in termini di atipicità rispetto al settore “raccolta rifiuti” entro il quale operava, sicché gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito non possono ritenersi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità citata dalla ricorrente, secondo cui le parti collettive classificano il personale sulla base di specifiche figure professionali dei singoli settori produttivi, ordinandole su scala gerarchica, e successivamente elaborano le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l’inquadramento di figure professionali atipiche o nuove (vedi Cass. 23/2/2016 n.3547).
5. Non può, poi, sottacersi che comunque le critiche articolate dalla difesa della ricorrente non hanno il tono proprio di una censura di legittimità.
Esse, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di norme legge e di disposizioni di contratto collettivo, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione (cfr. Cass., Sez. Un., 17/12/2019 n. 33373).
Con riferimento alle tipologie di controversie sovrapponibili a quella oggetto del presente vaglio, è consolidato l’insegnamento di questa Corte secondo cui l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, una volta rispettato – così come nella specie – costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione (vedi Cass. 30/10/2008 n. 26234, Cass. 31/12/2009 n. 28284, Cass. 28/4/2015 n. 8589).
Discende quindi, da quanto sinora detto, che sotto tutti i profili delineati, la sentenza impugnata si sottrae alle formulate censure.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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