CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2021, n. 2986

Tributi – IVA – Credito maturato da società holding di gestione – Disconoscimento – Attività fuori campo Iva – Indetraibilità dell’imposta sugli acquisti

Rilevato

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR del Lazio, di rigetto dell’appello proposto avverso una sentenza della CTP di Viterbo, che aveva accolto il ricorso della contribuente s.p.a. “G.” avverso un provvedimento di diniego rimborso di IVA a credito spettante alla s.p.a. “G.S.”, società interamente partecipata dalla s.p.a. “G.” e cancellata dal registro delle imprese nel 2010;

Considerato

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione artt. 4 comma 5 e 19 comma 2 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto requisito indispensabile per operare la detrazione era l’esistenza di un’attività soggetta ad IVA; ora la sentenza della CTR aveva preso atto che la cessata s.p.a. “G.S.” non aveva svolto alcuna attività di prestazione di servizi alle partecipate dalla società resistente; e solo in tale ipotesi l’attività svolta dalla cessata s.p.a. “G.S.” sarebbe stata soggetta ad IVA; era quindi evidente che quest’ultima società svolgeva istituzionalmente attività di organizzazione ed attività gestionali non rientranti nel campo di applicazione IVA, ai sensi dell’art. 4 comma 5 ultimo periodo del d.P.R. n. 633 del 1972; pertanto l’IVA assolta dalla s.p.a. “G.S.” non avrebbe potuto essere portata in detrazione e quindi non avrebbe potuto dare origine al credito chiesto in rimborso, ai sensi dell’art. 19 comma 2 del citato d.P.R. n. 633 del 1972; al contrario la CTR aveva valorizzato l’inerenza e strumentalità delle prestazioni svolte dalla s.p.a. “G.S.”, mentre invece la questione da risolvere era diversa e consisteva nello stabilire se l’attività imprenditoriale svolta dalla s.p.a. “G.S.”, qualificabile come società holding, fosse o meno fuori del campo di applicazione dell’IVA, con conseguente indetraibilità dell’intera l’IVA, afferente all’erogazione dei servizi forniti dalla citata s.p.a. “G.S.”; invero l’attività svolta da quest’ultima società non era commerciale ai sensi dell’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, e quindi non era soggetta ad imposta, con conseguente indetraibilità dell’IVA;

che la società contribuente non si è costituita;

che l’unico motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate è fondato;

che, invero, non è contestato nella specie che la richiesta di rimborso IVA è stata fatta dalla società contribuente con riferimento ad un credito di IVA vantato da un’altra società, tale s.p.a. G.S.”, interamente posseduta dalla società contribuente, in occasione della cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese;

che l’Agenzia delle entrate ha negato il rimborso anzidetto ai sensi dell’art. 19 comma 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, letto in conformità della VI direttiva 77/388/CEE in materia di armonizzazione della legislazione IVA degli Stati membri; in particolare l’art. 17 della direttiva anzidetta ha modificato radicalmente la direttiva previgente, contenuta nella IIA direttiva 67/1228/CEE, la quale, all’art. 11 comma 1, consentiva la detrazione dell’imposta assolta per l’acquisto di beni e servizi comunque impiegati ai fini dell’impresa; con la normativa successiva la deduzione è stata autorizzata nella misura in cui i beni ed i servizi siano impiegati ai fini di proprie operazioni soggette ad imposta; attualmente pertanto il diritto alla detrazione è da ritenere limitato alle ipotesi in cui i beni ed i servizi acquistati siano impiegati per il compimento di specifiche e documentate operazioni imponibili;

che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 18222 del 2007; Cass. n. 18219 del 2007; Cass. n. 17969 del 2013; Cass. n. 17299 del 2014), la normativa sopra descritta va interpretata nel senso che non spetta la detrazione dell’IVA pagata a monte per conseguire la prestazione di servizi afferenti al successivo compimento di operazioni non soggette ad IVA, ritenendosi pertanto non sufficiente il c.d. “principio di inerenza”, in forza del quale la detrazione dell’IVA è sempre ammessa, purché trattasi di operazioni che attengano all’oggetto dell’impresa, richiedendosi, per la detraibilità dell’IVA, la presenza di un elemento ulteriore e cioè che trattasi di operazioni a loro volta assoggettabili ad IVA;

che, nella specie, la stessa CTR ha rilevato come la s.p.a. “G.S.”, posseduta interamente dalla società ricorrente e di cui quest’ultima ha chiesto il rimborso di un credito IVA, svolgesse istituzionalmente attività di gestione di partecipazioni sociali, come tali escluse dal campo di applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 4 comma 5 del d.P.R. n. 633 del 1972;

che, pertanto, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, la sentenza impugnata va cassata e, potendosi decidere la causa nel merito, va rigettata il ricorso introduttivo della società contribuente, con compensazione integrale delle spese dei gradi del merito, tenuto conto dell’alterno andamento della controversia in tale ambito e condanna della società intimata al pagamento delle spese del presente grado, quantificate come in dispositivo;

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società ricorrente; compensa fra le parti le spese dei gradi del merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese del presente grado di legittimità, quantificate in € 3.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.