CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 gennaio 2019, n. 212
Fallimento – Delitti di bancarotta fraudolenta e documentale – Processo penale
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. V.M.A. e C.A., premettendo di essere imputati nel processo penale n. 3422/2009 r.g.n.r., pendente innanzi al Tribunale di Chieti, per i delitti di bancarotta fraudolenta e documentale in relazione a tutte le società del G.V.P., chiesero congiuntamente, il 19 marzo 2014 ed il 21 maggio 2014, al giudice delegato ai fallimenti delle Società del G.V.P. d’Abruzzo di accedere ai relativi fascicoli fallimentare per acquisire la documentazione specificamente elencata nella loro istanza.
1.1. Tale richiesta fu respinta con decreto di quel giudice del 23 giugno 2014, contro il quale gli stessi proposero reclamo ex art. 26 l. fall., accolto dal Tribunale di Chieti, in composizione collegiale, che, con provvedimento del 13 agosto 2014: i) ritenne che quanto addotto dal giudice delegato (l’essere stati gli istanti già autorizzati, nel 2012, ad accedere al fascicolo fallimentare e l’avere la cancelleria già rilasciato copia dei documenti nuovamente richiesti) «…non risulta comprovato, peraltro avendo i reclamanti evidenziato di essere assistiti da nuovo difensore in un processo penale che li vede imputati di bancarotta, che tra i documenti oggi richiesti figurano atti di formazione successiva al 2012, che non sussistono impedimenti normativi alla reiterazione di istanze di accesso ed estrazione copia di atti che possono risultare utili ai fini di difesa penale. Dette argomentazioni appaiono condivisibili…»; ii) richiamò integralmente, per il resto, «le motivazioni di cui all’ordinanza emessa da questo stesso Tribunale il 17.4.2012, allorché venne accolto analogo reclamo degli A. e venne disposto di consentire loro l’accesso e l’estrazione di copia»; iii) condannò la curatela fallimentare al pagamento delle spese giudiziali della fase di reclamo.
2. Avverso questa decisione, considerata munita dei caratteri della decisorietà e definitività, hanno proposto ricorso ex art. 111 Cost., affidato a due motivi, il Fallimento V.P. s.r.l., il Fallimento N. s.p.a., il Fallimento V. s.r.l., il Fallimento V. D. s.r.l., il Fallimento S. s.r.l., il Fallimento S.O. s.r.l., il Fallimento M. s.r.l., il Fallimento S.S. s.r.l. ed il Fallimento di S.M. s.a.s. di V. D. s.r.l., tutti in persona del loro curatore Avv. G.I.. Non hanno, invece, spiegato difese, in questa sede, V.M.A. e C.A..
2.1. Il primo motivo, rubricato «Nullità del provvedimento impugnato (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) per violazione dell’art. 26, comma 8, l.fall., nonché violazione dei principi regolatori del giusto processo, con particolare riferimento al principio del contraddittorio ed al diritto di difesa», assume che il descritto reclamo ex art. 26 l.fall. notificato alla curatela dei menzionati fallimenti non era accompagnato dal pedissequo decreto di fissazione di udienza, e ciò aveva impedito alla stessa di partecipare al relativo procedimento, ivi eccependo la tardività del rimedio esperito, senza che di tanto si fosse avveduto l’adito tribunale, che l’aveva anche condannata alla refusione delle spese processuali.
2.2. Il secondo motivo, recante «Nullità del provvedimento impugnato (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), per violazione dell’art. 26, comma 3, l.fall.», lamenta che il suddetto reclamo doveva considerarsi tardivamente proposto, risultando depositato il 18 luglio 2014 a fronte del provvedimento impugnato risalente al 23 giugno 2014, senza che alcuna prova vi fosse di un suo avvenuto “ritiro” il 10 luglio 2014, presso la cancelleria competente, ad opera dei reclamanti.
3. Il ricorso è inammissibile laddove investe la statuizione del tribunale recante l’ordine, agli organi delle procedure fallimentari interessate, di dare corso alle istanze di accesso ed estrazione copia presentate da V.M.A. e C.A., atteso che i provvedimenti emessi dal tribunale fallimentare su reclamo avverso i decreti del giudice delegato al fallimento sono impugnabili per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., soltanto quando hanno carattere decisorio e definitivo.
3.1. Giova, allora, premettere che questa Corte ammette il rimedio predetto avverso i provvedimenti che, pur avendo forma diversa dalla sentenza, presentino tuttavia i requisiti della decisorietà e della definitività, il cui significato – in particolare del primo – si coglie nella fondamentale continuità della giurisprudenza (sin dal primo riconoscimento del rimedio del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, allora comma 2, Cost., con la sentenza resa da Cass., SU, n. 2953 del 1953) sul fatto che la garanzia costituzionale di cui si tratta mira a contrastare «il pericolo di applicazioni non uniformi della legge con provvedimenti suscettibili di passare in giudicato, cioè con provvedimenti tipici ed esclusivi della giurisdizione contenziosa», mediante i quali «il giudice, per realizzare la volontà di legge nel caso concreto, riconosce o attribuisce un diritto soggettivo, oggetto di contestazione, anche solo eventuale, nel contraddittorio delle parti» (così, nitidamente, tra le altre, Cass. n. 824 del 1971, in motivazione).
3.1.1. La decisorietà, dunque, – come ancora recentemente ribadito da Cass. SU, n. 27073 del 2016 – consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma a farlo con la particolare efficacia del giudicato (nel che risiede appunto la differenza tra il semplice “incidere” e il “decidere”. Cfr., per tutte, Cass. n. 10254 del 1994), il quale, a sua volta, è effetto tipico della giurisdizione contenziosa, di quella, cioè, che si esprime su una controversia, anche solo potenziale, fra parti contrapposte, chiamate perciò a confrontarsi in contraddittorio nel processo.
3.2. Affinché, peraltro, un provvedimento non avente veste di sentenza sia impugnabile in Cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. non è sufficiente che abbia carattere decisorio, occorre anche che non sia soggetto ad un diverso mezzo d’impugnazione, dovendosi, altrimenti, esperire anzitutto tale mezzo – appello, reclamo o quant’altro – sicché il ricorso per cassazione riguarderà il successivo provvedimento emesso all’esito. In ciò consiste il requisito della definitività.
3.3. Su tali principi vi è sostanziale uniformità giurisprudenziale (al di là di differenze, più che altro terminologiche, allorché si inserisce l’attitudine al giudicato nel requisito della definitività, intesa come immodificabilità del provvedimento, piuttosto che nel requisito della decisorietà), attestata, di recente (oltre che dalla già citata Cass. SU, n. 27073 del 2016), anche da Cass., SU, n. 1914 del 2016, in cui si ribadisce che «un provvedimento, ancorché emesso in forma di ordinanza o di decreto, assume carattere decisorio – requisito necessario per proporre ricorso ex art. 111 Cost. – quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia i caratteri della decisorietà nei termini sopra esposti, nonché della definitività – in quanto non altrimenti modificabile – può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost.» e si aggiunge che «se il provvedimento al quale il processo è preordinato non ha carattere decisorio perché, non costituendo espressione del potere-dovere del giudice di decidere controversie tra parti contrapposte, in cui ciascuna tende all’accertamento di un proprio diritto soggettivo nei confronti dell’altra, non ha contenuto sostanziale di sentenza» (richiamando, sul punto, i precedenti delle medesime Sezioni Unite nn. 3073 e 11026 del 2003) e che quando «si tratta di provvedimenti per i quali non è prevista alcuna forma di impugnazione ordinaria» si realizza «il presupposto della “definitività” (intesa come non modificabilità) in relazione al rimedio straordinario previsto dall’art. 111 Cost».
3.4. Fermo quanto precede, nella specie, come si è visto, l’istanza congiunta di V.M.A. e C.A. volta ad accedere ai fascicoli degli indicati fallimenti delle Società del G.V.P. per acquisire la documentazione in essa specificamente elencata, e giustificata dal fatto di essere i richiedenti imputati nel processo penale n. 3422/2009 r.g.n.r., pendente innanzi al Tribunale di Chieti, per i delitti di bancarotta fraudolenta e documentale in relazione a tutte le società suddette, venne respinta dal giudice delegato, ma poi accolta dal Tribunale fallimentare di Chieti, per le ragioni in precedenza esposte, in sede di reclamo ex art. 26 avverso detto provvedimento.
3.5. Orbene, osserva il Collegio, che, ai sensi dell’art. 90, commi 2 e 3, l.fall., «il comitato dei creditori e ciascun suo componente hanno diritto di prendere visione di qualunque atto o documento contenuto nel fascicolo fallimentare. Analogo diritto, con la sola eccezione della relazione del curatore e degli atti eventualmente riservati su disposizione del giudice delegato, spetta anche al fallito. Gli altri creditori ed i terzi hanno diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti e dei documenti per i quali sussiste un loro specifico ed attuale interesse, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il curatore».
3.5.1. Il necessario contemperamento delle esigenze di riservatezza proprie della procedura concorsuale, le cui vicende sono documentate dal fascicolo fallimentare, con le esigenze difensive dei soggetti interessati alla consultazione degli atti inseriti in detto fascicolo, porta, dunque, ad escludere che i soggetti (fallito, creditori e terzi) comunque coinvolti dallo svolgimento della procedura fallimentare abbiano il diritto di consultare liberamente il fascicolo in questione ed a ritenere che la consultazione degli atti e dei documenti in esso inseriti è subordinata alla presentazione di una specifica istanza, la quale deve essere formulata in modo da consentire non solo l’identificazione dell’istante e degli atti che si intendano visionare, ma anche la valutazione del concreto interesse che ne giustifica la consultazione (cfr., Cass., SU, n. 181 del 2001, richiamato, in motivazione, dalla successiva Cass. n. 19509 del 2005).
3.6. Alla luce di questo principio, qui pienamente condiviso, deve ritenersi insussistente un illimitato diritto di quegli stessi soggetti (fallito, creditori, terzi) alla consultazione di tutti gli atti della procedura concorsuale, e ciò porta ad escludere la configurabilità del requisito della decisorietà del decreto impugnato (cfr. Cass. n. 1032 del 2017; Cass. n. 19509 del 2005), con conseguente inammissibilità dell’odierno ricorso ex art. 111 Cost. proposto avverso il decreto impugnato.
4. Un siffatto ricorso, invece, sarebbe stato ammissibile soltanto avverso la statuizione ivi adottata quanto al pagamento delle spese giudiziali (dovendosi, qui, ricordare che l’art. 91 cod. proc. civ. trova applicazione anche ai provvedimenti resi in esito al reclamo, ex art. 26 l.fall., avverso il provvedimento del giudice delegato al fallimento, benché la disposizione da ultimo richiamata manchi di una espressa indicazione circa il governo delle spese. Cfr. Cass. n. 19979 del 2008), concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo.
4.1. Essa, pertanto, è sicuramente destinata ad incidere su una posizione di diritto soggettivo della parte a carico della quale risulta assunta, ed è dotata del carattere di definitività, non essendo contro di essa dato alcun mezzo d’impugnazione (cfr., sostanzialmente in tal senso, Cass. n. 9348 del 2017; Cass. n. 4610 del 2017; Cass. n. 21756 del 2015; Cass. n. 2986 del 2012; Cass. n. 14524 del 2011; Cass., SU, n. 20957 del 2004).
4.1.1. Nessuna specifica censura, tuttavia, risulta, proposta dagli odierni ricorrenti avverso la statuizione suddetta.
5. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese, essendo le controparti rimaste solo intimate, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione, a carico dei ricorrenti, in solido tra loro, dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in soldo tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta il comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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