CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2018, n. 14990
Contenzioso tributario – Dichiarazione di successione – Eredi – Pretesa tributaria – Rettifica del valore dei cespiti ereditari
Fatti di causa
Rilevato che il 20 maggio 2001 l’Ufficio del registro delle successioni di Catania emetteva avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni nei confronti di G.A.P. ed altri eredi del deceduto V.P., in conseguenza della rettifica del valore di uno dei cespiti ereditari oggetto della dichiarazione di successione;
che gli eredi proponevano ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania, sostenendo l’insufficiente motivazione e l’infondatezza nel merito della pretesa tributaria avanzata dall’Ufficio;
che l’Ufficio si costituiva in giudizio ed eccepiva l’infondatezza di quanto sostenuto dalla parte contribuente e affermava la legittimità del proprio operato;
che la Commissione Tributaria Provinciale di Catania rigettava il ricorso dei contribuenti e, su appello di quest’ultimi, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello; che i contribuenti proponevano ricorso per Cassazione; che, in pendenza del ricorso avanti la Cassazione, intervenuta la legge sul condono n. 289 del 2002, i contribuenti presentavano domanda per la definizione della lite fiscale;
che, risultando un insufficiente versamento per euro 4.825,40, l’Ufficio notificava al contribuente una richiesta di integrazione del versamento per la definizione della lite pendente;
che il contribuente non provvedeva al pagamento e l’Ufficio notificava provvedimento di diniego di definizione della lite pendente e successivamente notificava al contribuente un avviso di liquidazione;
che il contribuente presentava ricorso avverso il detto avviso di liquidazione sostenendo la sussistenza di errori nella liquidazione e non dovuta la sanzione;
che la Commissione Tributaria Provinciale di Catania dichiarava l’estinzione del giudizio per condono ex art. 16 della legge n. 289 del 2002 e rilevava la Iscrivibilltà a ruolo delle eventuali rate dovute, in applicazione dell’art. 14 del d.P.R. n. 602 del 1973, espressamente richiamato dalla legge n. 289 del 2002;
che, avverso tale sentenza, proponeva appello l’Agenzia delle entrate sostenendo che la Commissione Tributaria Provinciale aveva illegittimamente dichiarato estinto il giudizio in quanto tale estinzione non poteva essere disposta prima della comunicazione di regolarità della definizione da parte dell’Ufficio;
che la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con sentenza n. 202/17/11 del 4 luglio 2011, rigettava l’appello dell’Ufficio rilevando che, al fine dell’efficacia del condono ex art. 16, comma 2, della legge n. 289 del 2002, è sufficiente, conformemente a quanto stabilito dalla Cassazione, che ricorrano due condizioni, ossia l’accettazione da parte dell’Ufficio e il versamento della prima rata, condizioni che nel caso di specie si sarebbero entrambe verificate (in particolare, quanto all’accettazione da parte dell’Ufficio, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto sufficiente a questo fine la circostanza che il contribuente abbia presentato apposita domanda di definizione della lite fiscale pendente e tale deduzione non è oggetto di contestazione da parte dell’Ufficio);
che l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo e si costituiva con controricorso la sola erede A.P., chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Ragioni della decisione
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 9, della legge n. 289 del 2002, in quanto la sentenza impugnata avrebbe confuso le diverse ipotesi di cui rispettivamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 cit., ritenendo che la fattispecie concreta ricadesse nell’ambito della disciplina di cui all’art. 16, comma 2, che presuppone l’accettazione da parte dell’Ufficio della domanda di definizione, mentre invece ricorrerebbe l’ipotesi di cui al comma 9, che postula l’insufficienza delle somme versate ed una domanda non accettata per via di tale insufficienza;
considerato che il motivo è infondato in quanto da un lato il comma 9 dell’art. 16 (secondo cui «In caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’ufficio») non disciplina un’ipotesi diversa rispetto a quella di cui al comma 2 dello stesso art. 16, ma un possibile sviluppo della fattispecie astratta descritta da quest’ultimo comma, che riguarda le modalità del versamento rateale e dall’altro l’insufficienza delle somme versate non esclude l’accettazione da parte dell’Ufficio della domanda di definizione;
che infatti, dal sistema della legge n. 289 del 2002 – come emerge dalle disposizioni di cui agli artt. 7, comma 5, ultimo periodo, 8, comma 3, quinto periodo, 9, comma 12, secondo periodo, e comma 19, quarto periodo, 15, comma 5, terzo periodo, e 15, comma 2 – si ricava che, nelle ipotesi di rateizzazione dell’importo dovuto, per la definizione della lite pendente è sufficiente l’accettazione da parte dell’ufficio competente della relativa domanda presentata dal contribuente, seguita dal versamento della prima delle rate in cui sia eventualmente ripartito il pagamento degli importi richiesti dalla norma, determinando tali condizioni la definitiva sostituzione dell’obbligazione, assunta dal contribuente con la domanda di condono, a quella tributaria, oggetto della lite pendente (Cass. 5 agosto 2015, n. 16400);
che la sentenza impugnata ha correttamente motivato circa l’esattezza della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che ha dichiarato l’estinzione del giudizio per condono, con conseguente iscrizione a ruolo delle rate non ancora pagate;
che nessuna rilevanza, ai fini della presente controversia, assume il parallelo svolgimento di un procedimento riguardante la stessa rettifica del valore di uno dei cespiti ereditari dichiarati senza che in esso sembra sia stato fatto valere l’avvenuto condono e senza che le parti abbiano dimostrato l’avvenuto passaggio in giudicato di una qualche statuizione;
che pertanto il ricorso va respinto e che le spese nei confronti dell’unica parte costituita seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali nei confronti di A.P., che liquida in euro 1.400, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% e ad accessori di legge.
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