CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2018, n. 14996
Tributi – Imposte di registro, ipotecaria e catastale – Istanza di rimborso – Agevolazioni tributarie – Accertamento – Immobile di interesse storico
Fatti di causa
Rilevato che con compravendita del 28 giugno 2006 la L., incorporata dalla società B.I. s.p.a. in qualità di acquirente e la società B.C. s.r.l. in veste di utilizzatrice, acquistavano dalla Fondazione O.S.M.C. un immobile sito a Venezia di interesse storico e vincolato ai sensi della legge n. 1089 del 1939;
che, in sede di registrazione, l’Ufficio applicava le imposte di registro e ipocatastali in misura fissa, essendo l’atto soggetto a condizione sospensiva:
successivamente, a seguito del mancato esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato e quindi del non avveramento della condizione sospensiva, emetteva un avviso di liquidazione mediante il quale, applicando l’imposta in misura proporzionale ai sensi del T.U. n. 131 del 1986 e del d.lgs. n. 347 del 1990, calcolata sul corrispettivo pattuito, venivano pretese maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale per complessivi 144.237 euro, versate in data 14 novembre 2006 da parte dell’acquirente;
che con istanza del 6 ottobre 2008 le parte acquirente e l’utilizzatrice presentavano istanza di rimborso, chiedendo la restituzione delle imposte versate, sostenendo che le imposte ipotecarie e catastali dovevano essere applicate in misura fissa e non proporzionale e perché la base imponibile doveva essere costituita dal valore catastale del bene trasferito e non dal valore pattuito dalla parti;
che l’Ufficio negava il rimborso ritenendo che “per la fattispecie concreta in oggetto trovano applicazione i commi 2 e 3 dell’art. 51 del d.P.R. n. 131 del 1986 e il comma 5 bis dell’art. 52”;
che avverso tale provvedimento di diniego le Società contribuenti proponevano ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, la quale, con sentenza n. 154/03/09, rigettava il ricorso;
che, a seguito di appello delle contribuenti, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto riformava la sentenza di primo grado, affermando che agli immobili di interesse storico si applicano le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa e che per la base imponibile occorre fare riferimento alla rendita catastale di minor importo tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria dove si trova l’immobile;
che l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato a due motivi e le società contribuenti si costituivano chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
Ragioni della decisione
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 347 del 1990, nonché dell’art. 1 della Tariffa, parte I, del T.U. n. 131 del 1986, in quanto tale art. 10, comma 2, elenca in modo tassativo, senza comprendere gli immobili di interesse storico, le ipotesi in cui l’imposta si paga in misura fissa, in luogo dell’ordinaria determinazione in misura proporzionale;
che con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 11, della legge n. 413 del 1991, nonché degli artt. 51 e 52 del T.U. n. 131 del 1986, in quanto tali artt. 51 e 52, prevedono che la base imponibile su cui calcolare l’imposta debba essere il corrispettivo effettivo pattuito dalla parti e non, come affermato dalla sentenza impugnata, in base al valore catastale, sulla base di un’erronea applicazione del citato art. 11 che riguarda il diverso ambito delle imposte dirette;
che le società ricorrenti proponevano appello incidentale, e, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, deducevano vizio della motivazione per omessa pronuncia , in ordine ad un preciso motivo di impugnazione: l’illegittimità del diniego di rimborso per inesistenza della notifica in violazione dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973;
che, in particolare, l’art. 60 cit. prevede che la notificazione degli avvisi e “degli altri atti” che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme degli artt. 137 cod. proc. civ. ss. e quindi non sarebbe sufficiente la spedizione del diniego di rimborso, che sarebbe equiparabile ad uno “degli altri atti” previsto dall’art. 60, in quanto sarebbe stato necessario che l’ufficiale giudiziario scriva la relazione di notifica sull’originale e sulla copia dell’atto, facendovi menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento;
che occorre preliminarmente procedere all’esame dell’appello incidentale del controricorrente in quanto il suo eventuale accoglimento renderebbe superfluo l’esame dell’appello;
che l’appello incidentale deve ritenersi infondato, da un lato in quanto l’amministrazione ha espressamente palesato il diniego ma non vi sarebbe stata tenuta, e anche un silenzio avrebbe poi permesso al contribuente di difendersi impugnando tale divieto (cfr. Cass. 5 luglio 2017, n. 16520, secondo cui il ricorso del contribuente per ottenere il rimborso di somme che assuma indebitamente versate può essere proposto nei confronti di un provvedimento di diniego del rimborso, esplicito o implicito), e dall’altro in quanto il contribuente non ha prospettato le ragioni per le quali i vizi processuali denunciati avrebbero comportato una lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo: infatti, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass. 21 novembre 2016, n. 23638; Cass. 2 febbraio 2018, n. 2626);
che i motivi di ricorso principale sono entrambi fondati;
che infatti, quanto al primo motivo di ricorso, e quindi con riferimento in particolare al se le imposte ipotecarie e catastali debbano essere pagate in misura fissa o proporzionale, è stato affermato che i trasferimenti di immobili di interesse artistico, storico ed architettonico sono soggetti alle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale e non fissa, in quanto quest’ultima, nell’originaria previsione dell’art. 1, nota 1, della tariffa allegata al d.lgs. n. 347 del 1990, veniva individuata per le tipologie di atti previste dal quarto e quinto periodo dell’art. 1, comma 1, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, con un rinvio di tipo fisso o statico, non influenzato, quindi, dalle vicende modificative della norma richiamata, sì che non rileva lo spostamento della previsione di detti beni dal terzo al quarto periodo dell’art. 1, comma 1, della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 citato, ad opera dell’art. 7 della legge n. 488 del 1999 (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3573; Cass. 2 ottobre 2009, n. 21144; Cass. 11 giugno 2010, n. 14122; Cass. 8 gennaio 2013, n. 275; Cass. 3 febbraio 2014, n. 2277);
che, quanto al secondo motivo di ricorso, e quindi con riferimento in particolare al se l’imposta di registro debba essere pagata in base al corrispettivo effettivo pattuito dalla parti o in relazione al valore catastale, è stato affermato che nulla autorizza a riconoscere il potere delle parti di indicare un valore ai soli fini fiscali, che prescinda dal prezzo, pur esso dichiarato, e ciò perché il valore c.d. catastale o automatico, determinato ex art. 52, comma 4, non costituisce la base imponibile ma solo un limite al potere accertativo dell’Ufficio (Cass. 2 ottobre 2009, n. 21144);
che è stato altresì affermato che l’art. 52, comma quarto, del d.P.R. n. 131 del 1986 non attribuisce al contribuente il diritto di ottenere, in ogni caso, la determinazione della base imponibile tramite il meccanismo di calcolo di cui al combinato disposto degli art. 51 e 52 del citato d.P.R., atteso che il quarto comma sopra citato non ha inteso individuare, per gli immobili, una base imponibile diversa dal valore venale del bene, ma ha introdotto, per converso – al fine di ridurre le controversie tra Amministrazione finanziaria e contribuenti – una mera preclusione al potere di accertamento dell’Amministrazione stessa qualora nell’atto venga indicato almeno un valore non inferiore a quello ottenibile con il procedimento di valutazione cosiddetto “automatica”: ne consegue che, se il contribuente indichi un valore superiore, non può poi legittimamente richiedere che l’imposta venga commisurata al valore individuale attraverso il procedimento automatico predetto (cfr. Corte Cost., ord. n. 285 del 2000; Cass. 2 ottobre 2009, n. 21144; Cass. 3 marzo 2009, n. 6796; Cass. 13 febbraio 2009, n. 3573; Cass. 7 luglio 2004, n. 12448);
che, peraltro, è stato anche affermato in tema di imposta di registro che l’accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate del “valore venale in comune commercio”, di cui all’art. 51, comma 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ai fini della determinazione della base imponibile di un contratto di compravendita immobiliare, deve tenere conto del prezzo effettivo pattuito dalle parti avuto riguardo all’intrinseca natura e agli effetti giuridici prodotti degli atti presentati per la registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, dovendosi procedere, in base all’art. 20 del d.P.R. n. 131 cit., all’interpretazione complessiva del contratto concluso tra le parti e delle sue clausole (Cass. 20 settembre 2013, n. 21526);
che, con specifico riferimento agli immobili di interesse storico, in tema di imposta di registro, una agevolazione effettivamente è prevista (la cui ratio, in conformità all’art. 9, comma 2, Cost., sta nelle maggiori spese che si devono affrontare per garantire una adeguata conservazione del bene e per la volontaria sottoposizione di un immobile di interesse storico, e quindi di interesse pubblico, al controllo ad un organo pubblico quale è la sovraintendenza, circostanza che nel caso di specie non risulta documentata), ma essa non costituisce oggetto della controversia: infatti il riconoscimento dell’aliquota agevolata del tre per cento (prevista dall’art. 1, allegato A, parte I, al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, nota II, sempreché l’acquirente non venga meno agli obblighi per la loro conservazione e protezione) per i trasferimenti di immobili di interesse storico, artistico o archeologico soggetti al vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939, presuppone che l’acquirente presenti, contestualmente all’atto da registrare e qualora il vincolo non sia stato ancora imposto, una attestazione rilasciata dalla Soprintendenza competente da cui risulti che è in corso il relativo procedimento di sottoposizione al vincolo, dovendo, entro il termine di due anni decorrenti dalla registrazione dell’atto, documentare l’avvenuta sottoposizione, sotto pena di revoca dell’agevolazione (nel caso di specie, la Cassazione confermò la sentenza della C.T.R. di rigetto dell’appello avverso la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto legittimo il provvedimento con il quale l’amministrazione aveva recuperato l’imposta non versata all’atto della registrazione, non avendo l’acquirente dichiarato alcunché in ordine alla procedura di sottoposizione del bene al vincolo e non avendo prodotto la documentazione comprovante detta sottoposizione nel termine dei due anni: Cass. 13 ottobre 2017, n. 24134);
che l’agevolazione prevista per i trasferimenti di beni di interesse artistico, storico ed architettonico in materia di imposta di registro non può essere estesa alle imposte ipotecarie e catastali (Cass. 11 aprile 2017, n. 9324);
che pertanto, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, cod. proc. civ., comma 2, ultimo periodo, con il rigetto dell’originario ricorso dei contribuenti; che le spese dell’intero procedimento devono essere integralmente compensate in relazione alla particolarità della vicenda giuridica e al consolidarsi della relativa giurisprudenza in un momento successivo alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso dei contribuenti.
Compensa integralmente le spese dell’intero procedimento.
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