CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2018, n. 14997
Tributi – IRPEF – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Omesso versamento dei contributi al Servizio sanitario nazionale
Fatti di causa
Rilevato che, con atto notificato in data 21 dicembre 2010, G.C. proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Trieste impugnando la cartella esattoriale per il pagamento di euro 53.843,59 per omesso versamento dei contributi al Servizio sanitario nazionale (SSN) per gli anni 1996 e 1997;
che il contribuente eccepiva: 1) l’illegittimità del provvedimento per violazione dell’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 in tema di conoscenza degli atti e di richiesta di notizie al contribuente, 2) la prescrizione del credito INPS e 3) la mancata indicazione della data della consegna del ruolo;
che la Commissione Tributaria Provinciale di Trieste, con sentenza dell’8 febbraio 2011, accoglieva il ricorso del contribuente, pur respingendo le sue argomentazioni 1) con riguardo all’asserita violazione dell’art. 6, comma 5 cit. perché la cartella avrebbe riguardato contributi non versati, circostanza obiettivamente nota alle parti, e 2) perché non si era verificata alcuna prescrizione del credito INPS in quanto della durata di dieci anni decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza di fallimento pronunciata il 9 maggio 2001;
che il ricorso veniva tuttavia accolto in relazione alla mancata indicazione della data della consegna del ruolo, poiché la sua mancanza avrebbe impedito al contribuente di verificare la tempestività delle notifiche e di procedere ad un calcolo preciso degli interessi pretesi dall’INPS;
che l’INPS impugnava la sentenza davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia la quale, con sentenza 91/11/12 del 5 luglio 2012, accoglieva l’appello, affermando che, non vertendosi in tema di tributi, per i quali potrebbe avere un certo rilievo la data di consegna al ruolo, occorre fare riferimento alla normativa speciale che ha disciplinato il regime sanzionatorio INPS, e cioè le leggi 48/1988, 662/996 e 338/2000: quest’ultima prevede, all’art. 116, comma 8, una sanzione civile ben determinata con decorrenza dalla scadenza dei termini per il pagamento dei singoli versamenti contributivi, senza che si faccia riferimento al pagamenti di interessi;
che, inoltre, l’art. 10 del d.lgs. n. 46 del 1999 ha modificato l’art. 24 del d.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo che l’affidamento dei ruoli al concessionario avvenga con modalità telematiche, con evidente superamento della questione relativa all’individuazione della data del passaggio al concessionario;
che il contribuente proponeva ricorso, affidato a tre motivi di ricorso e che l’INPS non si costituiva.
Ragioni della decisione
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 in quanto la sentenza impugnata ha accolto un’eccezione dell’INPS, relativa all’inapplicabilità al contributo in esame degli interessi di mora, sollevata dall’INPS per la prima volta in appello, in violazione del divieto di introdurre nuove eccezioni in appello;
che con il secondo ‘motivo, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 14 della legge n. 413 del 1991 nonché dell’art. 63, comma 8, della legge n. 833 del 1978, nonché omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. in quanto la sentenza risulta errata laddove ritiene che i tributi per il servizio sanitario nazionale non abbiano natura tributaria, come confermato da Cass., SU, n. 2871 del 2009, con conseguente applicabilità dell’art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dove non spiega perché, quand’anche fosse corretto applicare il regime sanzionatolo di cui alle leggi 48/1988, 662/996 e 338/2000, nella cartella impugnata sono stati conteggiati gli interessi di mora;
che, con il terzo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 343 e 346 cod. proc. civ. nonché degli artt. 54 e 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe affrontato le doglianze, già sollevate in primo grado e riproposte in appello, riguardanti 1) l’illegittimità del provvedimento dell’INPS per violazione dell’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 in tema di conoscenza degli atti e di richiesta di notizie al contribuente e 2) la prescrizione del credito INPS;
che per motivi di priorità logico-giuridica si ritiene di esaminare innanzitutto il primo e il terzo motivo, che sono entrambi infondati;
che il primo motivo è innanzitutto inammissibile perché il ricorrente non ha assolto all’onere, in ragione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atti del giudizio e perché questo profilo non sarebbe stato sollevato, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. 21 novembre 2017, n. 27568): in ogni caso, poiché l’INPS non ha sollevato un’eccezione in senso stretto ma una difesa basata su una diversa prospettazione e qualificazione giuridica di fatti già pacifici, deve evidenziarsi che nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31224); che il terzo motivo è infondato in quanto, secondo l’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente citato (Conoscenza degli atti e semplificazione), «Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell’ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma»: e, secondo la Cassazione l’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso (Cass. 21 novembre 2017, n. 27716): nel caso di specie il ricorrente non ha evidenziato i motivi per i quali tale contraddittorio avrebbe dovuto essere obbligatorio, ragion per cui la doglianza si risolve in rilievi puramente formali perché il contribuente non ha prospettato le ragioni per le quali l’omesso contraddittorio avrebbero comportato una lesione del diritto all’effettività della tutela giurisdizionale ed al giusto processo;
che, inoltre, quanto all’ipotizzata prescrizione del credito INPS, tale doglianza è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto il ricorrente non indica la, data in cui la cartella di pagamento gli è stata notificata impedendo a questa Corte di valutare il termine di prescrizione;
che il secondo motivo è invece fondato in quanto l’art. 12 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 stabilisce che “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie…. e il contributo per il Servizio sanitario nazionale” sono pertanto devolute alle commissioni tributarie, ancorché anteriori all’entrata in vigore della legge n. 448 del 2001 (nel caso di specie, peraltro, la controversia è nata nel 2010), le controversie concernenti l’abrogato contributo al servizio sanitario nazionale, stante il carattere tributario dello stesso, desumibile dall’imposizione di un sacrificio economico attraverso un atto autoritativo ablatorio e dalla destinazione del relativo gettito alla copertura di spese pubbliche, nonché dalla sua riconducibilità, quale sovraimposta IRPEF, alle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. SU 6 febbraio 2009, n. 2871), ai sensi del quale «Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica», che è stato altresì affermato che al contributo dovuto al servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 31 della legge n. 41 del 1986 (cd. Tassa sulla salute, vigente “ratione temporis” ed oggi abrogato dall’art. 36, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 446 del 1997), deve essere riconosciuta natura tributaria (Cass. ,22 settembre 2010, n. 22206; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22217);
che dunque il ricorso del contribuente va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio, affinché accerti la correttezza dei calcoli effettuati dall’INPS, anche alla luce del principio secondo cui in tema di sanzioni amministrative tributarie, il d.lgs. n. 471 del 1997 detta una disciplina destinata a valere, in generale, per tutti i tributi, integrata dalle disposizioni normative speciali di imposta (Cass. 3 agosto 2016, n. 16165).
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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