CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2021, n. 15937
Tributi – Accertamento – Studio di settore applicato – Contestazione – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Osservato
che l’Agenzia delle Entrate notificò alla C. S.R.L. un avviso di accertamento con cui provvide, nei confronti della detta società e relativamente all’anno di imposta 2005, a riprese per IVA, IRES ed IRAP, fondate sullo scostamento dagli studi di settore tra i ricavi dichiarati dalla contribuente e quelli stimati;
che la C. impugnò detto avviso innanzi alla C.T.P. di Roma che, con sentenza 148/11/12, accolse il ricorso;
che tale decisione fu appellata dalI’Agenzia delle Entrate, innanzi alla C.T.R. del Lazio che, con sentenza n. 364/04/2013, depositata il 3.10.2013, accolse il gravame ritenendo che la contribuente non avesse assolto all’onere della prova su di sé gravante, da un lato, “essendo rimasta indimostrata l’affermazione secondo la quale la maggior parte dei ricavi sarebbe riferibile ad attività svolta con costi a carico della Pubblica Amministrazione” e, dall’altro, giacché “quanto alla dedotta erronea applicazione del cluster, individuato dall’Amministrazione, asseritamente conseguente all’assoluta prevalenza del lavoro impegnato (rispetto alla percentuale prevista nel cluster), l’affermazione della contribuente non è stato oggetto di prova”;
che avverso tale sentenza la C. S.R.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Si è costituita, ai soli fini della eventuale partecipazione alla discussione in pubblica udienza, I’Agenzia delle Entrate;
Considerato
che, con il primo motivo, la difesa della C. lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto che lo studio di settore applicato dall’Ufficio non fosse stato oggetto di contestazione da parte di essa contribuente (pp. 3-4 del ricorso) e, comunque, per non avere tenuto in considerazione tutta la documentazione prodotta, donde emergerebbe l’inapplicabilità, in concreto, dello studio di settore poi sotteso all’avviso di accertamento impugnato (cfr. pp. 5-6);
che il motivo è inammissibile giacché, da un lato, non si confronta con la ratio deciderteli della sentenza impugnata e, dall’altro, a tutto volere, in ogni caso pecca di specificità;
che infatti, quanto al primo profilo, la lettura della gravata decisione fa agevolmente intendere come la non contestazione rilevata dalla C.T.R. (cfr. pp. 2, ultimo rigo, e 3 primo rigo della motivazione) avesse ad oggetto lo studio di settore applicato, inteso come “macroarea” di riferimento e non anche lo specifico cluster (i.e. il gruppo omogeno) cui l’Ufficio, all’interno di detta macroarea, ha ricondotto l’attività della C.: che tale sia l’inequivocabile interpretazione della gravata pronunzia emerge, d’altronde, dalla lettura della successiva parte della motivazione, laddove i giudici di appello si confrontano proprio con il cluster applicato in concreto, rilevandone la correttezza non già (peraltro) sulla base della non contestazione quanto, piuttosto, del mancato superamento del relativo valore presuntivo, per non avere la società contribuente fornito la prova contraria che su di sé gravava (in tal modo, peraltro, uniformandosi la C.T.R. al costante insegnamento di questa Corte sul punto. Cfr. infra, a proposito del secondo motivo, nonché, ex multis Cass., Sez. 5, 15.7.2020, n. 14981, Rv. 658205-01);
che rispetto alla parte del motivo concernente la valutazione della documentazione prodotta (censura da ricondurre, più propriamente, sotto il perimetro di operatività dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Arg. da Cass., Sez. 3, 26.6.2018, n. 16812, Rv. 649421-01), donde dovrebbe trarsi la conclusione dell’avvenuto assolvimento, ad opera della contribuente, dell’onere della prova su di sé gravante, non essendo comunque chiaro se parte ricorrente si dolga di una errata ovvero di una omessa considerazione dei documenti indicati alle pp. 5-6 del ricorso, osserva il Collegio come, pacifica essendo l’inammissibilità di una censura volta ad ottenerne una lettura diversa rispetto a quella operatane dai giudici di appello (cfr., da ultimo, Cass., Sez. U, 30.9.2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ove, al contrario, la doglianza vada intesa alla stregua di un omesso esame, il mezzo di gravame si appalesa comunque inammissibile per difetto di specificità (cfr. l’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.): ed infatti, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente – come nella specie – si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., Sez. U, 27.12.2019, n. 34469, Rv. 656488-01);
che i rilievi da ultimo esposti conducono alla declaratoria di inammissibilità, per difetto di specificità, anche del terzo e del quarto motivo di ricorso, con i quali la difesa della C. lamenta (in relazione, rispettivamente, all’art. 360, comma 1, nn. 5 e 3, cod. proc. civ.), l’omesso esame di documentazione (ancora una volta solo genericamente richiamata), dalla quale dovrebbe evincersi la riferibilità della maggior parte dei ricavi di essa contribuenti a lavorazioni con la pubblica amministrazione;
che con il secondo motivo, scomposto in tre sottocensure, la ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.) (a) dell’omesso esame, ad opera della C.T.R., di documentazione, dalla quale sarebbe emersa una maggiore incidenza del costo della manodopera rispetto a quella considerata dal cluster di riferimento, (b) dell’omessa considerazione del giudicato interno formatosi sull’affermazione, contenuta nella decisione di prime cure, circa l’avvenuta erronea applicazione alla C. di un cluster non rispondente alle attività dalla stessa svolte, nonché (c) dell’erroneità della sentenza impugnata, per avere i giudici di appello erroneamente ripartito tra le parti l’onere probatorio;
che il motivo è, in parte inammissibile, in parte infondato;
che, ribadito quanto già esposto in precedenza circa il difetto di specificità del mezzo, relativamente alla documentazione solo genericamente richiamata alla p. 6, sub 2.A del ricorso, con riferimento alle ulteriori censure cui esso si sviluppa osserva il Collegio che: 1) rispetto alla dedotta formazione di un giudicato interno – asseritamente non considerato dalla C.T.R. – premesso che il motivo va correttamente ricondotto all’ambito di operatività dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. 5, 3.11.2016, n. 22177, Rv. 641881-01), la doglianza è, in parte qua, inammissibile, ancora una volta sotto il profilo del difetto di specificità, non avendo parte ricorrente trascritto il contenuto dell’atto di appello dell’Agenzia, sì da precludere alla Corte ogni valutazione in ordine ai termini esatti con cui lo stesso fu proposto e, dunque, circa l’effettiva formazione del dedotto giudicato (arg., da ultimo, da Cass., Sez. 1, 15.3.2019, n. 7499, Rv. 653628-01); 2) quanto, poi, alla lamentata inversione dell’onere della prova, premesso che il mezzo disvela un error in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., il motivo è infondato, essendosi la C.T.R. attenuta – come, d’altra parte, già anticipato a proposito del primo motivo di ricorso – al consolidato principio per cui, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, grava sul contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura (Cass., Sez. 5, 15.1.2019, n. 769, Rv. 652188-01);
Ritenuto, in conclusione, che il ricorso vada rigettato; peraltro, non essendosi l’Agenzia costituita, nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della C. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
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