CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 giugno 2022, n. 18537
Orario di lavoro – Guardia campestre – Differenze retributive – Applicazione contratto integrativo provinciale braccianti agricoli – Adesione implicita – Insussistenza
Rilevato che
1. con ricorso depositato il 13.9.2002 innanzi al Giudice del Lavoro di Foggia, G. D.R., guardia giurata alle dipendenze del Consorzio Guardie Campestri di T. (FG), premesso di aver svolto un orario lavorativo di 8 ore al giorno dall’assunzione fino al 30.6.1999 e di 7 ore giornaliere dall’1.7.1999 al 31.12.2001, aveva agito per ottenere la corresponsione dello straordinario rispetto all’orario ordinario di lavoro invocando, a partire dall’1.1.1990, l’applicazione dell’art. 15 del Contratto Integrativo Provinciale dei braccianti agricoli della Provincia di Foggia 1.8.1988 (e successivi rinnovi) che aveva previsto 39 ore settimanali, pari a 6,30 ore giornaliere, e quindi aveva chiesto il pagamento di euro 24.714,61;
il Tribunale, disattesa l’eccezione di prescrizione (non essendo stato provato l’effettivo requisito dimensionale del Consorzio) aveva accolto la domanda e condannato il Consorzio al pagamento della somma di euro 20.809,43 sulla scorta di quanto emerso sia dalla prova per testi, che aveva confermato gli orari di lavoro dedotti in ricorso, sia dalla c.t.u. disposta in corso di causa;
la Corte d’appello di Bari, in accoglimento dell’impugnazione del Consorzio respingeva, invece, la domanda;
confermava la statuizione del Tribunale quanto alla prescrizione rilevando che, ai fini della stabilità, non fosse stata fornita la prova del requisito dimensionale;
riteneva, poi, ai fini della pretesa inapplicabilità al caso di specie del regime dell’orario legale e/o contrattuale (ex R.D. n. 2657/1923), che gravasse sul Consorzio, che aveva eccepito la discontinuità delle mansioni in argomento, l’onere – non assolto – di provare tale caratteristica e quindi l’applicabilità della normativa speciale, in deroga alla regola generale di cui all’art. 2018 cod. civ.;
quanto al merito della pretesa, riteneva che non fossero stati forniti sufficienti elementi per poter affermare che il Consorzio appellante avesse applicato o recepito la contrattazione provinciale relativa ai lavoratori agricoli e, segnatamente, la clausola in punto di orario di lavoro delle guardie campestri;
richiamava l’orientamento di questa Corte di cui a Cass. n. 11372/2008 secondo il quale, nel vigente ordinamento del rapporto di lavoro subordinato, regolato da contratti collettivi di diritto comune, l’individuazione della contrattazione collettiva che regola il rapporto di lavoro va fatta unicamente attraverso l’indagine della volontà delle parti risultante, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla protratta e non contestata applicazione di un determinato contratto collettivo;
riteneva che il ricorso al criterio della categoria economica di appartenenza del datore di lavoro, fissato dall’art. 2070 cod. civ., è consentito invece al solo fine di individuare il parametro della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., quando non risulti applicata alcuna contrattazione collettiva ovvero sia dedotta l’inadeguatezza della retribuzione contrattuale ex art. 36 Cost. rispetto all’effettiva attività lavorativa esercitata (circostanza qui mai dedotta e comunque non ricorrente, in modo del tutto pacifico);
richiamava, altresì, precedenti di questa Corte per sottolineare che non è sufficiente a concretizzare un’adesione implicita, idonea a rendere applicabile il contratto collettivo nell’intero suo contenuto, il semplice richiamo alle tabelle salariali del contratto stesso (così Cass. n. 4303/1986), né la circostanza che il datore di lavoro, non iscritto (come nella specie, almeno fino al 2001) ad alcuna delle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo, avesse proceduto all’applicazione di alcune clausole di tale contratto, contestandone invece esplicitamente altre (Cass. n. 10632/2009; Cass. n. 319/1996; Cass. n. 3813/2001, Cass. n. 5596/2001, Cass. n. 10654/1990; Cass. n. 6435/1984);
G. D.R. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, cui ha opposto difese il Consorzio Guardie Campestri di Trinitapoli con controricorso successivamente illustrato da memoria (con costituzione di nuovo difensore).
Considerato che
1. con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero del contratto integrativo per i lavoratori agricoli della provincia di Foggia in vigore da settembre 1993, con scadenza 31.12.1995, il c.i.p.l. 1/8/1998, con scadenza il 30.6.1990, il c.n.p.l. 30.5.1996 con scadenza 31.12.1999 e il c.i.p.l. 14.7.2000 in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.;
sostiene che la Corte territoriale abbia erroneamente deciso la controversia prescindendo dal considerare la peculiarità del caso concreto;
rileva che tutti i c.i.p.l. (e non solo quello in vigore da settembre 1993) prevedono la figura della guardia campestre;
richiama, al riguardo, la disposizione di cui all’art. 11 del contratto integrativo del 1993 e le analoghe disposizioni dei provinciali successivi tutte prevedenti la figure della ‘guardia campestre’ o del ‘guardiano’;
aggiunge che nella relazione di c.t.u. di primo grado l’ausiliare nominato al fine di verificare la concreta applicazione degli istituti previsti dalla normativa collettiva per i lavoratori agricoli della provincia di Foggia, pur escludendo che durante il periodo oggetto di esame il Consorzio avesse applicato il c.c.n.l. delle guardie campestri, aveva tuttavia concluso che lo stesso avesse applicato gli istituti contrattuali di carattere generale come previsti nel c.c.n.l. e i minimi retributivi come da c.i.p.l.;
2. il motivo è inammissibile per plurime concorrenti ragioni;
2.1. la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, è riservata solo ai contratti nazionali, con esclusione dunque dei contratti provinciali (v. ex multis Cass. 2 marzo 2009, n. 5025; Cass. 7 settembre 2016 n. 17716), senza che tale limitazione possa dar luogo a un dubbio di costituzionalità, atteso che il rilievo nazionale della disciplina, che giustifica l’intervento nomofilattico e la parificazione di disposizioni negoziali a norme di diritto, rappresenta altresì l’elemento differenziale tra le fattispecie sufficiente a giustificare l’esercizio della discrezionalità del legislatore statale nel disciplinare i rimedi giurisdizionali (v. Cass. 14 gennaio 2021, n. 551);
2.2. peraltro, in punto di valutazione del comportamento in concreto posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, la sussistenza di elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva, il motivo contrappone all’accertamento in fatto della Corte territoriale una propria diversa lettura degli atti di causa;
si ricorda che i contratti collettivi non aventi efficacia ‘erga omnes’ sono atti negoziali privatistici, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti, attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione, delle relative clausole al singolo rapporto (v. ex multis Cass. 30 dicembre 2021, n. 42001; Cass. 18 settembre 2015, n. 18408);
nella specie la Corte di merito ha compiuto siffatta valutazione, pervenendo alla conclusione che non sussistesse alcuna adesione implicita alla contrattazione collettiva;
a tal fine, proprio esaminando la c.t.u. espletata in prime cure, ha valorizzato innanzitutto la circostanza che in tutti gli anni in osservazione non vi era mai stata coincidenza tra i valori minimi contrattuali e i dati esposti in busta paga;
ha ritenuto, inoltre, che andava sminuita la portata dell’analogia riscontrata nella c.t.u., in base alla quale, gli importi riconosciuti a titolo di scatti di anzianità sarebbero risultati identici ai valori contenuti nel Contratto Integrativo per i lavoratori agricoli della Provincia di Foggia atteso che l’importo dello scatto (L. 20.000), valutato dall’ausiliare era in realtà identico a quello applicato da numerosi altri contratti collettivi dell’epoca e che, in ogni caso, lo scatto fu ulteriormente aumentato, in modo del tutto ‘autonomo’, per ben due volte nell’arco del 1996 (da L. 20.000, prima a L. 21.000 e poi a L. 22.000); quanto alle maggiorazioni per lavoro notturno, festivo e straordinario, in relazione alla quale l’osservazione era stata effettuata a campione (quattro mesi all’anno, eccetto il primo), riscontrandosi una coincidenza tra le maggiorazione concesse dal Consorzio (10% per lavoro notturno e festivo e 60% per lavoro straordinario festivo notturno) e quelle previste dal predetto Contratto Integrativo, ha considerato fondata l’obiezione del Consorzio secondo cui, in realtà, la maggiorazione di fatto applicata dal per il lavoro straordinario notturno era maggiore, ovvero del 65% (e dunque di una percentuale non ‘coincidente’ con quella prevista dalla contrattazione per gli agricoli); ha, infine, rilevato che per gli altri istituti “si riscontrano differenze di segno opposto che variano da un euro fino ad un massimo di sei euro”; ha escluso che potesse essere attribuita rilevanza al fatto che il Consorzio era iscritto all’INPS nella Sezione Agricoltura, nella veste di datore agricolo (giusta all. 4 alla consulenza), atteso che l’Istituto, in risposta a specifica richiesta del c.t.u., si era limitato a riportare soltanto la circostanza – del tutto ‘neutra’ – del numero d’iscrizione previdenziale del convenuto; in sostanza, la Corte territoriale ha valutato proprio quegli elementi dei quali in questa sede il ricorrente, ad onta di una censura formalmente veicolata attraverso la denuncia di violazione (anche) del contratto collettivo nazionale, chiede, in modo inammissibile, una diversa lettura, per giungere ad affermare la sussistenza di una adesione ‘implicita’ a tale contrattazione collettiva, sollecitando così una valutazione che non è di diritto ma di merito;
3. da tanto consegue che il ricorso deve essere respinto;
4. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
5. trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 occorre dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, l. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 d.P.R. n. 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso nella Adunanza camerale del 29 marzo 2022.
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