CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2019, n. 18281
Socio amministratore – Contribuzione alla gestione commercianti – Tipologia attività svolta – Facere sostanzialmente gestorio – Onere probatorio – Iscrizione alla gestione separata
Rilevato che
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 261 del 2013, ha confermato la sentenza di primo grado e rigettato l’appello dell’INPS avverso la sentenza che aveva dichiarato R.B. non tenuto al pagamento della contribuzione alla gestione commercianti in relazione alla attività prestata in favore della società C.P. s.r.l. di cui era socio amministratore, con riferimento ad alcune cartelle esattoriali opposte;
l’Inps, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a., ricorre per la cassazione della sentenza articolando un motivo;
R.B. resiste con controricorso illustrato da memoria;
Considerato che
L’unico motivo di ricorso deduce (ai sensi dell’art. 360, primo comma n.3, cod. proc. civ.) la violazione e o falsa applicazione dell’art. 1 I. 1397 del 1960, dell’art. 2, comma 26, I. n. 335 del 1995, dell’art. 1, comma 298, I. n. 662 del 1996, dell’art. 12, comma 11, d.l. n. 78 del 2010, art. 2697 cod. civ. e lamenta, in sostanza, che la sentenza abbia errato in quanto, senza considerare la natura non interpretativa del DL. n. 78 del 2010 (che ha reso possibile la doppia iscrizione) ha ritenuto che il B. si fosse limitato all’esercizio di attività meramente <gestoria> all’interno dell’azienda sociale, laddove l’attività svolta, per quanto riferito dalla stessa sentenza, era stata connotata dal coordinamento di dipendenti e collaboratori e dal rapporto con banche e principali clienti e fornitori;
il motivo è infondato;
la sentenza ha affermato, in punto di diritto, che l’attività svolta dal B. non è da includere in quelle per cui è prevista l’iscrizione alla Gestione Commercianti in quanto dall’istruttoria espletata (teste Z.) è emerso che R.B. abitualmente non partecipava costantemente al lavoro aziendale in quanto restava assente per giorni e, comunque, non aveva una postazione propria o un ufficio all’interno dell’azienda (teste T.); pertanto, date tali caratteristiche dell’attività svolta, ad avviso della Corte di merito, è risultato che l’attività stessa non valicasse i limiti della funzione trattandosi di un < facere sostanzialmente gestorio > proprio di chi ricopre il ruolo di socio ed amministratore della società, restando assente la prova dell’esercizio abituale e prevalente dell’attività d’impresa oggetto della società;
si desume, dunque, l’assenza dell’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti da elementi concretamente valutati ed accertati dal giudice di merito e non da mere presunzioni;
sul piano previdenziale, infatti, secondo l’indirizzo espresso da questa Corte di cassazione, qualora il socio amministratore di una società a responsabilità limitata partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, ha l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, mentre, qualora si limiti ad esercitare l’attività di amministratore, deve essere iscritto alla sola gestione separata, operando le due attività su piani giuridici differenti, in quanto la prima è diretta alla concreta realizzazione dello scopo sociale, attraverso il concorso dell’opera prestata dai soci e dagli altri lavoratori, e la seconda alla esecuzione del contratto di società sulla base di una relazione di immedesimazione organica volta, a seconda della concreta delega, alla partecipazione alle attività di gestione, di impulso e di rappresentanza (Cass. 10426/2018);
ciò conferma l’indirizzo, che può dirsi ormai consolidato, che ritiene presupposto imprescindibile per l’iscrizione alla gestione commercianti che sia provato, in conformità a quanto previsto dalla legge n. 662 del 1996, art. 1 comma 203 (che ha sostituito la legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1, concernente i requisiti previsti per ritenere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali), lo svolgimento di un’attività commerciale (Cass. Sez. Lav. n. 3835 del 26.2.2016; Cass. n. 5210 del 2017) per cui con riferimento alle società non è sufficiente la qualità di amministratore a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza;
in particolare, ( vd. Cass. n. 4440 del 2017) tale carattere va inteso con riferimento all’attività lavorativa espletata dal soggetto stesso in seno all’impresa, al netto dell’attività eventualmente esercitata in quanto amministratore, indipendentemente dal fatto che il suo apporto sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali); tale accezione del requisito della “prevalenza” meglio si attaglia alla lettera dell’art. 1, comma 203, della I. n. 662 del 1996, volto a valorizzare l’elemento del lavoro personale, ed alla sua “ratio”, includendo nell’area dI applicazione della norma tutti i casi in cui l’attività del socio, ancorché abituale e prevalente rispetto al resto delle sue attività, non possa essere ritenuta preponderante rispetto agli altri fattori produttivi dell’impresa;
è compito del giudice di merito accertare, in modo puntuale e rigoroso, la sussistenza dei requisiti di legge per tale coesistenza, nonché l’assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’ente previdenziale, ai cui fini assumono rilevanza la complessità dell’attività, la presenza di dipendenti o collaboratori, la loro qualifica e le mansioni svolte (Cass. n. 8613 del 2017);
la sentenza impugnata non si è discostata da tali principi ed ha congruamente verificato che la concreta partecipazione del B. all’attività commerciale svolta da C.P. s.r.I., in concreto, non rivestiva i caratteri dell’abitualità e prevalenza di cui sopra per cui la censura, che si limita a prospettare una violazione della corretta interpretazione delle norme pacificamente applicabili alla fattispecie, non intacca la decisione;
conseguentemente, il ricorso va rigettato;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore del contro ricorrente nella misura indicata in dispositivo;
sussistono, dato l’esito del ricorso, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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