CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14291
Tributi – Accertamento analitico-induttivo – Elementi indiziari – Impiego di lavoratori irregolari – Assenza del contraddittorio preventivo – Legittimità
Rilevato che
1. La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, accoglieva l’appello principale proposto da D.G., esercente attività di “altri lavori speciali di costruzione”, e rigettava l’appello incidentale proposto dalla Agenzia delle Entrate (solo per il terzo avviso di accertamento e non per i primi due, per la “parvità delle lite” di questi ultimi due; l’omessa regolarizzazione dei lavoratori era indizio idoneo a far ritenere inattendibile la contabilità), avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Avellino; quest’ultima aveva accolto solo parzialmente il ricorso del contribuente contro tre avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle Entrate, con accertamento analitico-induttivo, anche se scaturiti dalle risultanze degli studi di settore (ricavi per € 397.697,00 dichiarati a fronte di € 502.723,00 come desunti dagli studi di settore), nei suoi confronti per l’anno 2002 (RE 107T101520/08 per € 5.350,77) e per l’anno 2003 (RE107T191513/08 per € 2.627,93 e RE101T101399/08 per € 103.910,37), in quanto da un processo verbale di constatazione era emerso l’utilizzo di cinque lavoratori non regolarizzati nel libro paga, con conseguente omesso versamento dei contributi assicurativi e previdenziali per € 28.363,00. Il primo giudice aveva accolto i due ricorsi relativi ai primi due avvisi di accertamento, relativi alla omissione dei contributi assicurativi e previdenziali, in quanto motivati solo per relationem senza l’allegazione del processo verbale dell’Ispettorato del lavoro. Per il terzo avviso, invece, relativo ai maggiori redditi accertati, superava l’eccezione di omesso contraddittorio preventivo, ma riduceva l’importo dei redditi da € 105.026,00 ad € 68.267,00, essendo stato applicato uno studio di settore (edilizia) diverso da quello riferibile al contribuente (lavori di carpenteria). Per il giudice di appello l’assenza del preventivo contraddittorio con il contribuente ha inficiato l’avviso di accertamento fondato sugli studi di settore, in quanto gli altri due avvisi di accertamento sono, per quanto affermato dallo stesso Ufficio, soltanto un semplice indizio legittimante la ricostruzione analitico-induttiva adottata per l’anno 2003, quindi “in altre parole semplici corollari all’accertamento basato sugli studi di settore, la cui nullità travolge anche questi”.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate.
3. Resiste con controricorso il contribuente.
Considerato che
1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2 secondo periodo, comma 1, lett. d d.p.r. 600/1973 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.”, in quanto, da un lato, rileva che è stato implicitamente rigettato il motivo di appello del contribuente relativo alla mancata allegazione all’avviso di accertamento (RE 10ITI01399/08 per € 103.910,37) del processo verbale di constatazione dell’Ispettorato del lavoro (cfr. anche trascrizione della porzione dell’avviso con indicazione degli Allegati 1 e 2) e, dall’altro, che non era necessario alcun contraddittorio preventivo, in quanto l’avviso era fondato non solo sui risultati degli studi di settore, ma anche sulle riscontrate irregolari assunzioni, mai poste in discussione dai giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio; sicché l’avviso di accertamento in contestazione era fondato sulle presunzioni di cui all’art. 39, primo comma, lettera b, d.P.R. 600/1973. Le risultanze degli studi di settore hanno un rilievo meramente marginale ai fini della emissione dell’avviso di accertamento. Il giudice di appello ha disconosciuto il valore indiziario costituito dal rinvenimento di lavoratori irregolari, pur procedendo alla compensazione della spese di lite per “la presenza comunque di illeciti rilevati dall’ispettorato del lavoro nell’attività svolta dal ricorrente”.
1.1. Tale motivo è fondato.
1.2. Anzitutto, si rileva che il motivo è ammissibile, sia perché pienamente autosufficiente, in quanto viene riportato, in sintesi, lo svolgimento processuale dei fatti di causa, consentendo a questa Corte di comprendere appieno il tenore della doglianza, sia perché la censura non involge in alcun modo il merito della decisione, ma si sofferma solo su profili di legittimità della stessa, che è effettivamente incorsa nel vizio di violazione di legge, sub specie di corretta qualificazione della natura dell’avviso di accertamento emesso, avendo ritenuto erroneamente che l’avviso in esame era fondato unicamente sulle risultanze degli studi di settore, essendo gli altri due avvisi solo meri corollari dello studio di settore.
1.3. Invero, risulta pacificamente dai documenti acquisiti e dalle allegazioni della ricorrente, non contestate in modo specifico dal contribuente ed anzi oggetto di accertamento di merito da parte dei giudici di primo e secondo grado, che l’avviso di accertamento, ancora in discussione (in quanto l’appello incidentale dell’Ufficio ha riguardato solo il terzo avviso di accertamento RE101T101399/08 per € 103.910,37) si è basato anche sulle risultanze degli studi di settore, ma sulla scorta del processo verbale di constatazione dell’Ispettorato del lavoro da cui è emersa la presenza di lavoratori irregolari, con conseguenti avvisi non solo per l’omesso versamento di contributi assistenziali e previdenziali, ma anche per maggiore reddito di impresa. Peraltro, lo stesso giudice di appello ha ammesso, dopo aver accolto l’appello principale del contribuente che “la presenza comunque di illeciti rilevati dall’Ispettorato del lavoro nell’attività svolta dal contribuente, induce nel caso specifico il Collegio a non rispettare il principio della soccombenza”.
1.4.Del resto, per questa Corte l’utilizzo di lavoratori irregolari costituisce un fatto noto da cui desumere una maggiore redditività dell’impresa e non semplicemente maggiori costi per retribuzioni (Cass., sez. 5, 3 febbraio 2011, n. 2593).
1.5.Il fatto che l’accertamento sia basato sullo studio di settore non esclude, dunque, che esso possa trovare anche altre giustificazioni, come nel caso di utilizzo di lavoratori non assunti regolarmente. Si è affermato, quindi, che un accertamento tributario può dirsi fondato su uno studio di settore solo nel caso in cui trovi in esso il suo fondamento prevalente. Ciò non si verifica quando, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, scoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, posti a fondamento dell’accertamento tributario (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31814, Cass., 6 giugno 2019, n. 15344).
1.6. Per questa Corte, a sezioni unite, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., sez.un., 18 dicembre 2009, n. 26635).
1.7. Pertanto, poiché l’accertamento non è fondato in via esclusiva sugli studi di settore, non era necessario alcun contraddittorio preventivo con la contribuente.
3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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