CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2021, n. 19389
Tributi – Condono – Omesso versamento IVA – Pvc non seguito da avviso di accertamento – Art. 15, Legge n. 289 del 2002
Fatti di causa
In data 5 dicembre 2000 la R.I. s.r.l. veniva sottoposta a verifica fiscale, a conclusione della quale veniva redatto un pvc per il cui tramite i funzionari appuravano un omesso versamento IVA in relazione alle annualità 1998, 1999 e 2000. Il legale rappresentante della società aveva, peraltro, fatto spontaneamente rilevare in costanza di verifica l’omissione.
In seguito, l’Ufficio comunicava alla società la possibilità di beneficiare di condono ai sensi dell’art. 15 l. n. 289 del 2002 per definire in via agevolata il pvc anzidetto.
L’ente avanzava istanza di condono ed effettuava due versamenti nel 2003 e nel 2004.
Con nota del 30 marzo 2004, l’Ufficio comunicava che la forma di definizione agevolata utilizzabile non era quella adoperata nella specie, di cui all’art. 15 summenzionato, ma quella prevista dall’art. 9-bis l. n. 289 del 2002. Con provvedimento del 24 settembre 2004, l’Ufficio emetteva, infine, provvedimento di diniego di condono.
La CTP di Lecce accoglieva il ricorso della contribuente, statuendo che la stessa dovesse essere rimessa in termini ai fini del pagamento degli importi dovuti ai sensi dell’art. 15 l. n. 289 del 2002.
La CTR rigettava l’appello erariale.
Il ricorso erariale è affidato a due motivi. La contribuente ha resistito con controricorso e depositato successiva memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 9-bis e 15 l. n. 289 del 2002, avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto applicabile la seconda norma in luogo della prima.
Il primo motivo di censura, teso a perorare l’applicazione del rammentato art. 9-bis l. n. 289 del 2002 alla fattispecie, non coglie nel segno e va dichiarato inammissibile.
Come ribadito più volte da questa Corte, in tema di condono fiscale, le misure demenziali che comportano una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già accertato contrastano con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06 (cfr. Cass. n. 19546 del 2011; Cass. n. 8110 del 2012; Cass. n. 20435 del 2014).
Ancora di recente questa Corte ha confermato che l’art. 9-bis della l. n. 289 del 2002, nella parte in cui consente di definire una controversia con l’Amministrazione finanziaria evitando il pagamento delle sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’IVA, deve essere disapplicato a prescindere da specifiche deduzioni di parte e senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali (quale, nella specie, il carattere “chiuso” del giudizio di cassazione), venendo in apice un contrasto con gli obblighi previsti dagli artt. 2 e 22 della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’IVA, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia nella sentenza 17 luglio 2008, definitoria della richiamata causa C-132/06, che ascrive a dette norme comunitarie portata generale; anche tale forma di condono cd. demenziale, infatti, come le ipotesi di condono premiale previste dagli artt. 7 ed 8 della stessa l. n. 289 del 2002, è idonea a pregiudicare in modo significativo il funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, incidendo sulla corretta riscossione di quanto dovuto (Cass. n. 19661 del 2018; Cass. n. 20435 del 2014).
La CTR, dal canto suo, ha, per un verso, valorizzato il profilo – di contro trascurato nel complesso delle censure di parte delle ricorrente – relativo all’affidamento da parte del contribuente sulla utilizzabilità dello strumento di cui all’art. 15 l. n. 289 del 2002, in ragione dell’originario invito ricevuto, successivamente e inopinatamente tramutatosi in un finale diniego dell’Amministrazione; per altro verso, ritenuto la sussistenza dei presupposti d’accesso all’istituto di cui al ridetto art. 15.
Orbene, merita rilevare che detta norma è volta a neutralizzare liti attuali e potenziali con riferimento a pretese fiscali non ancora accertate e prevede al primo comma (nel testo modificato dalla L. n. 27 del 2003, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 282 del 2002), che “Gli avvisi di accertamento per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge non sono ancora spirati i termini per la proposizione del ricorso, gli inviti al contraddittorio di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 5 e 11, per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è ancora intervenuta la definizione, nonché i processi verbali di constatazione relativamente ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, non è stato notificato avviso di accertamento ovvero ricevuto invito al contraddittorio, possono essere definiti secondo le modalità previste dal presente articolo, senza applicazione di interessi, indennità di mora e sanzioni salvo quanto previsto dal comma 4, lett. b-bis). La definizione non è ammessa per i soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione”.
Nella specie, il processo verbale di constatazione pacificamente indirizzato alla contribuente in persona del suo legale rappresentante p.t. reca la data del 5 dicembre 2000 e non è stato seguito, alla data dell’istanza di definizione agevolata, da un avviso di accertamento.
Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 3676 del 2010, ha affermato che in tema di condono fiscale, l’art. 16 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonché la sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in corso con il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti. Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce alle controversie in materia di IVA, non può essere disapplicato per contrasto con la VI direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in causa C-132/06, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva cit.) degli artt. 8 e 9 della medesima legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpretata restrittivamente; uguale ratio di riduzione del contenzioso potenziale è sottesa all’art. 15 della legge n. 289 del 2002 che regola la definizione delle “liti potenziali” e che, non comportando una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta, non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice nazionale nella parte in cui si riferisce alle liti potenziali in materia di IVA (v. Cass. n. 14946 del 2019 in motivazione).
La ratio deflattiva del contenzioso ora adombrata viene in rilievo, nella recente giurisprudenza eurounitaria in tema di IVA, quale eminente profilo, che si correla alla piena libertà dello stato membro di scegliere e predisporre i mezzi (anche processuali) mediante i quali assicurare l’effettività della riscossione del tributo. Siffatto profilo emerge significativamente nella nota sentenza della Corte Giust., 7 aprile 2016, emessa in causa C-546/14 (c.d. “Sentenza Degano”), ove, al punto n. 28, si chiarisce che “l’ammissione di un pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo … a differenza delle misure di cui trattasi nelle cause che hanno dato origine alle sentenze Commissione/Italia (C-132/06 EU:C:2008:412) e Commissione/Italia (C-174/07, EU:C:2008:704) … non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA, non è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’IVA nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione”.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello che ascriveva alla sentenza di primo grado un vizio di ultrapetizione, essendosi la stessa espressa nel senso della rimessione in termini del contribuente ancorché non constasse domanda in tal senso del contribuente.
Il mezzo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
La ricorrente non riporta il contenuto del ricorso impugnatorio di primo grado sicché non è verificabile se e quale fosse l’esatta declinazione della domanda originaria, rispetto alla quale viene adombrato il vizio di ultrapetizione della sentenza della CTP. Nel ricorso per cassazione, ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento per erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 c.p.c. vengano esplicitati anche testualmente tutti i passaggi funzionali a definire l’esatto perimetro della domanda formulata nel giudizio di merito. Qualora, infatti, quest’ultima non sia riportata nei suoi esatti termini, ma richiamata genericamente ovvero per riassunto, non ne sono apprezzabili né l’effettiva estensione, né l’eccentricità rispetto ad essa della statuizione del giudice.
Il ricorso va, in ultima analisi, ricettato; le spese sono regolate secondo soccombenza, nella misura espressa in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
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