CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2021, n. 19419
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Mancanza di specificità dei motivi di ricorso – Inammissibilità – Sentenza – Inserimento improprio di argomentazioni sul merito – Ricorso in cassazione – Inammissibilità
Rilevato che
1. Equitalia Nord s.p.a. emetteva cartella di pagamento ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, nei confronti di C.S., con riferimento all’anno 2008, non riconoscendo il credito d’imposta del 15% pari ad euro 1.059.360,82, spettante alla I.G. s.n.c, e per 1/3 a ciascuno dei tre soci, in esecuzione di un contratto di P.N. stipulato con la società portoghese M.C., che aveva effettuato in favore della società, in esecuzione di tale contratto, un bonifico di euro 7.064.405,48. A fronte di una perdita della società di € 6.640.020,25, la stessa aveva, comunque, maturato interessi attivi per € 7.064.405,48.
2. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 2989/22/2014, depositata il 6 giugno 2014 (procedimento n. 1550/2015 in Cassazione), rigettava l’appello presentato da C.S. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n. 329/41/12), che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 del d.P.R. n. 600 del 1973. Per il giudice d’appello, il contribuente non aveva provato l’effettivo versamento delle imposte in Portogallo né la loro effettiva definitività. Gli unici documenti prodotti dal contribuente erano costituiti da un certificato generico dell’Amministrazione tributaria portoghese, relativo all’applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni, privo dell’indicazione degli importi delle imposte applicate, e da una dichiarazione rilasciata dalla società, la M.C. con sede nella zona franca di Madeira in Portogallo.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.
4. Restano intimate l’Agenzia delle entrate ed Equitalia Nord S.p.A.
4.1.In data 28 maggio 2021 il contribuente C.S. ha depositato documentazione attestante l’avvenuta adesione alla definizione agevolata dei carichi affidati alla Agenzia delle entrate-Riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, ai sensi dell’art. 3 del d.l. 119/2018, in relazione ai crediti dell’Agenzia riferiti alla cartella di pagamento 06820120135703989.
5. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 421/12/2017 (proc. N. 20744/17 in Cassazione), rigettava l’appello presentato dalla I.G. s.n.c di C.S. e C., W.G., C.A. e C.S., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano (n. 9220/12/2015), che aveva rigettato i ricorsi riuniti proposti dalla società e dai soci, contro l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e dei soci, con esclusione della perdita di esercizio e con il disconoscimento del credito di imposta costituito dalle ritenute subite in Portogallo sugli interessi corrisposti dalla società portoghese alla I.G. per l’anno 2008. Il giudice d’appello evidenziava che gli appellanti si erano limitati a riportare le medesime argomentazioni ed eccezioni già avanzate con il ricorso introduttivo, “senza nulla aggiungere, e senza alcun riferimento e contestazione delle motivazioni addotte in sentenza Aggiungeva, poi, che l’avviso di accertamento era correttamente motivato per relationem e che si era in presenza di un negozio in frode alla legge, e pertanto nullo. Infatti, la società ed i soci avevano come obiettivo soltanto un illecito risparmio di imposta, unito “all’artata creazione di un indebito credito a danno dell’Erario italiano”. Pertanto, i soci avevano come scopo esclusivamente quello di ottenere il credito d’imposta “figurativo” in capo alla I.G., “al fine di fruirne personalmente nelle proprie dichiarazioni fiscali ed abbattere, in conseguenza di ciò, l’imposta dovuta a proprio carico”.
6. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione la società ed i soci, depositando anche memoria scritta.
7. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
1. Preliminarmente, deve essere disposta, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., la riunione del procedimento n. 20744/2017 al procedimento n. 1550/2015, per ragioni di connessione, attenendo entrambi alla ripresa fiscale relativa al disconoscimento della deducibilità delle ritenute del 15% (€ 1.059.660,75) sulle somme erogate dalla società portoghese a titolo di interessi sul finanziamento relativo al P.N., per la somma complessiva di euro 7.064.405,00, spettante a ciascuno dei tre soci, per il principio di trasparenza, dell’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, nella misura di euro 334.307,00.
Invero, l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 cod. proc. civ., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimità, sia in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi (Cass., 31 ottobre 2010, n. 22631). Peraltro, nella specie, sussiste il litisconsorzio necessario ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, trattandosi di società di persone, con applicazione ai redditi della società e dei soci del principio di “trasparenza”.
1.1. Va esaminato preliminarmente il procedimento n. 20744/17, relativo agli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società e dei soci per l’anno 2008, in quanto la soluzione di questa controversia spiega i suoi effetti sul procedimento n. 1550/2015, che attiene al medesimo oggetto e per lo stesso anno (2008), seppure a seguito di accertamento automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
1.2. Con il primo motivo di impugnazione la società ed i soci deducono la “violazione e falsa applicazione (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 2697 c.c.”. Per i ricorrenti l’avviso di accertamento è carente di idonea motivazione, in quanto vi è stato un espresso rinvio a documenti esteri che non risultano allegati all’avviso. Si tratta, in particolare di una serie di informazioni relative alla sede, alla durata, al personale dipendente, ai beni sociali, all’oggetto sociale, ai flussi di cassa, agli amministratori, alle registrazioni contabili delle due società coinvolte nell’operazione, ossia la M. Lda e la EO (Europa Opportunity) s.r.o. Nelle quattro pagine di informazioni (da pagina 14 a pagina 17 dell’avviso di accertamento) l’Agenzia delle entrate avrebbe riportato fedelmente tra virgolette soltanto due righe delle risposte dell’autorità fiscale del Portogallo (a pagina 15 “la società M. non si avvale di personale dipendente, né di alcun bene materiale, in quanto l’attività è stata gestita fuori del territorio portoghese”). Tra l’altro, tale documentazione non è stata prodotta neppure in giudizio, con violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.
2. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano la “nullità della sentenza o del procedimento (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.) per violazione dell’art. 111, sesto comma, Costituzione, degli articoli 132, secondo comma, n. 4 e 118, disposizioni di attuazione, c.p.c., degli articoli 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”. La sentenza della Commissione tributaria regionale sarebbe del tutto sfornita di motivazione, sia in relazione alle ragioni per cui l’operazione di natura finanziaria (Financed P.N.) non trovava alcuna giustificazione né motivazione imprenditoriale, sia in relazione alle ragioni per cui il giudice d’appello aveva ritenuto trattarsi di un negozio in frode alla legge, e quindi nullo. La stessa affermazione per cui l’operazione sarebbe stata realizzata per ottenere un illecito risparmio di imposta, congiunto alla creazione di un indebito credito a danno dell’Erario italiano, sarebbe totalmente sganciata da ogni riferimento alla fattispecie concreta oggetto di controversia. In realtà, l’operazione realizzata aveva una propria sostanza economica, costituita dal collegamento negoziale tra un contratto di finanziamento (di natura commutativa) ed un currency swap sul rapporto EUR/USD alla data del 22 dicembre 2008 (di natura aleatoria), nonché su di una elevata leva finanziaria. La leva finanziaria era costituita dal rapporto tra la somma versata dalla I.G. (euro 415.000,00) e quella erogata dalla EO (Europa Opportunity), per euro 35.800.000,00, ai fini dell’acquisto della P.N. emessa dalla M. Lda. Infatti, la I.G. ha per oggetto sociale la strutturazione di operazioni di investimento, anche di natura speculativa; il finanziamento erogato dalla Europa Opportunity era funzionale alla sottoscrizione del currency swap sul cambio EUR/USD; la causa aleatoria era perfettamente lecita secondo l’ordinamento italiano; le leve finanziarie molto elevate erano fisiologiche in relazione a strumenti finanziari speculativi.
3. Il ricorso per cassazione (n.20744/17) è inammissibile.
3.1 Invero, il giudice d’appello ha sostanzialmente dichiarato inammissibile l’appello proposto dai soci e dalla società, in quanto articolato in motivi non specifici, in violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992.
La motivazione apre proprio con la constatazione dell’erronea articolazione del gravame, che non si è soffermato a contestare i passaggi logico giuridici della sentenza di primo grado (” in via preliminare, la Commissione osserva che parte appellante, già soccombente nel giudizio di grado inferiore, ha impugnato la sentenza producendo appello contenente le medesime argomentazioni ed eccezioni già avanzate con il ricorso introduttivo, senza nulla aggiungere, e senza alcun riferimento e contestazione delle motivazioni addotte in sentenza”). Le successive considerazioni del giudice d’appello, in ordine alla corretta motivazione dell’avviso di accertamento e con riferimento alla qualificazione del rapporto negoziale come “in frode alla legge”, sono dunque ultronee, avendo la Commissione regionale abdicato, con la pronuncia di inammissibilità dell’appello, alla propria potestas iudicandi.
Deve, allora, applicare il principio di diritto per cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (…), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (Cass., sez. un., n. 3840 del 20 febbraio 2007; Cass., sez.un., n. 15122 del 17 giugno 2013; Cass., sez. 3, n. 17004 del 20 agosto 2015; Cass., n. 30393, del 19 dicembre 2017; Cass., n. 1214 del 21 gennaio 2020; Cass., n. 13549 del 30 maggio 2018).
Nella specie, i ricorrenti non hanno in alcun modo impugnato quella che era la vera ed effettiva ratio decidendi della motivazione della sentenza del giudice d’appello, ossia la ritenuta inammissibilità dell’appello per assenza del requisito della specificità dei motivi, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992.
4. Il ricorso è, peraltro, inammissibile, in quanto la sentenza della Commissione regionale è stata depositata l’8 febbraio 2017 e l’appello è stato spedito per la notifica il 6 giugno 2016, sicché trova applicazione l’art. 348-ter c.p.c., introdotto dal decreto-legge n. 83 del 2012, in vigore per gli appelli depositati a decorrere dall’ 11 settembre 2012, con riferimento alla doppia decisione “conforme” di merito. Il primo motivo di ricorso per cassazione, infatti, pur se rubricato come violazione e falsa applicazione di legge, in realtà chiede a questa Corte una nuova valutazione degli elementi istruttori già congruamente valutati dal giudice di merito, non consentita in sede di legittimità. Tale nuova valutazione di merito è, poi, esclusa proprio dal disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c.
Infatti, anche il giudice di primo grado ha ravvisato la correttezza della motivazione dell’avviso di accertamento, evidenziando che “la motivazione svolta in 39 pagine, di cui 4 dedicate all’illustrazione delle notizie acquisite dalle autorità portoghese slovacca”. La Commissione provinciale, poi, afferma che “il contenuto essenziale consiste nell’estrinsecazione degli elementi sostanziali strettamente riferibili alle esigenze precipue della motivazione che sono chiamati a supportare”, aggiungendo che “nel caso di specie l’Ufficio riporta nella motivazione in modo esaustivo le peculiari connotazioni (definite “criticità”) delle società estere come riferite dei rispettivi paesi”. Da ciò emergeva che dette “connotazioni che attesterebbero la loro incapacità, sia strutturale che finanziaria, di porre in essere un’operazione di un’entità pari a quella qui considerata. Mere società di comodo che sostengono l’intervenuta effettuazione dell’operazione-in realtà mai avvenuta mediante la stipula di atti, in realtà simulati….”.
5. Il primo motivo di ricorso è peraltro inammissibile anche per difetto di autosufficienza, in quanto i ricorrenti, pur evidenziando che l’avviso di accertamento era sorretto da una motivazione di circa 30 pagine, non hanno riprodotto gli elementi più importanti e rappresentativi della motivazione dell’avviso di accertamento, limitandosi alla trascrizione di singole frasi, di poche righe ciascuna, che non consentono a questa Corte di comprendere quale fosse l’effettiva portata della motivazione dell’avviso di accertamento.
6. Tra l’altro, dai pochi e sintetici rimandi effettuati alla motivazione dell’avviso di accertamento emerge l’inconsistenza fattuale e giuridica dell’operazione commerciale realizzata, in quanto “la società M. non si avvale di personale dipendente, né di alcun bene materiale, in quanto l’attività è stata gestita fuori del territorio portoghese” (cfr. pagina 24 del ricorso per cassazione, in cui si riporta un brano della motivazione di pagina 15 dell’avviso di accertamento).
7. Il secondo motivo di ricorso per cassazione è anche infondato, in quanto la sentenza del giudice d’appello è confortata non solo graficamente dalla motivazione, ma anche da una esposizione dei fatti e delle argomentazioni giuridiche che, sia pure molto sintetica, consente però la piena comprensione delle ragioni che hanno indotto il giudice d’appello a rigettare il gravame ed a confermare la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e dei soci.
8. Risulta, infatti, pacificamente dagli atti di causa che l’operazione denominata Financed P.N. è stata realizzata attraverso 3 rapporti giuridici, in quanto, oltre a quello specifico di P.N., sono stati stipulati un contratto di finanziamento (loan agreement) ed un contratto di pegno (pledge agreement). La società I.G. s.n.c ha chiesto un finanziamento alla Europa Opportunity, slovacca, per la somma di euro 35.800.000,00 (1 ottobre 2008). Tale finanziamento è stato utilizzato come provvista per l’acquisto della P.N. per la somma di euro 36.215.000,00, di cui euro 35.800.0, 00 provenienti dal finanziamento erogato dalla Europa Opportunity ed euro 415.000,00 provenienti dai 3 soci, euro 140.000 circa per ciascun socio (il 19 settembre 2008 vi sono stati il “finanziamento socio A.” ed il “finanziamento socio G.” per complessivi euro 280.000 ed il 23 settembre 2008 vi è stato il “finanziamento socio Saporito” per euro 140.000). Il 24 settembre 2008 la società I.G. ha effettuato il trasferimento di euro 415.000,00 dal conto corrente italiano a quello aperto presso la Schroders Private Bank di Londra. Il 29 settembre 2008 la I.G. ha inviato alla società slovacca Europa Opportunity una nota, in cui si indicavano i valori monetari, liquidità-cash, importo finanziamento e copertura di rischio, oltre alla durata dell’investimento e dal parametro di riferimento capace di condizionare il rendimento dell’affare (EUR/USD). Il 30 settembre 2008, la società Europa Opportunity ha formalizzato la proposta di sottoscrizione di un prodotto finanziario denominato “Financed P.N.”, relativo ad un titolo di debito emesso dalla società portoghese M.C.. Sempre in data 30 settembre 2008 la contribuente ha accettato la proposta della società slovacca, procedendo alla sottoscrizione della P.N. emessa dalla società portoghese, oltre al loan agreement e al pledge agreement. La P.N. è stata acquistata, dunque, dalla società portoghese M.. Alla scadenza prestabilita, la società portoghese M. (debtor) ha provveduto a restituire alla società contribuente investitrice (pajee), una quota parte del capitale investito sottoscritto. Il rendimento dell’investimento era subordinato al manifestarsi di un preciso evento costituito dal valore del tasso di cambio tra due valute, il che rendeva l’operazione solo formalmente aleatoria. Nello specifico il parametro è consistito nel valore del rapporto di cambio Euro/USD, ossia la relazione che esprime la quantità di dollari necessaria per acquisire un euro, comparato con il valore convenzionalmente predeterminato dalle parti di euro 1,4380 alla data del 22 dicembre 2008. Inoltre, indipendentemente dall’esito della “scommessa”, la società M. corrispondeva al cliente – investitore interessi attivi, predeterminati ad un tasso fisso, pari all’80%, incondizionato. Pertanto, a prescindere dal risultato economico finanziario dell’intera operazione, la società contribuente beneficiava comunque di un credito d’imposta figurativo (matching credit) in misura pari al 15%, maturato sugli interessi attivi corrisposti dalla società portoghese, assoggettati a tassazione agevolata in base alla Convenzione tra Italia e Portogallo sulla doppia imposizione. L’operazione è risultata completamente negativa per la società italiana che, infatti, ha avuto come rimborso soltanto la somma di euro 29.574.980.0, con una perdita secca di euro 6.640.020,25, ottenuta dalla differenza tra la provvista per il pagamento della P.N. di euro 36.215.0. 00 e la somma restituita al rimborso, come capitale parziale, per euro 29.574.980,00. Nonostante la perdita enorme a carico della società, tuttavia la stessa ha beneficiato di interessi attivi, corrisposti dalla M., per euro 7.064.405,00, pattuiti nella misura dell’80% del capitale. Alla scadenza del contratto (expiry date) la contribuente era obbligata ad estinguere il finanziamento con la società Europa Opportunity, anche con riferimento agli interessi passivi maturati. La società portoghese, dunque, in ottemperanza a quanto stabilito nella P.N., ha provveduto a rimborsarle il capitale dovuto, per l’importo determinato in base alla condizione contrattuale verificatasi, corrispondendo anche gli interessi attivi.
Successivamente, dopo io aver ricevuto il rimborso della P.N. per € 36.639.385 (di cui € 29.574.980,00 per capitale ed € 7.064.405,00 per interessi), la contribuente società ha rimborsato il finanziamento, comprensivo degli interessi passivi nel frattempo maturati, ad Europa Opportunity per € 36.286.780,56, concludendo l’operazione con € 352.604,44 a fronte della provvista iniziale di € 415.000,00. E’ anche pacifico che la società I.G. nel 2008 era al suo primo anno di vita e non ha effettuato altre operazioni tranne questa di natura finanziaria, oggetto di contestazione da parte dell’Ufficio, che, pur generando un interesse attivo di euro 7.064.405,00, nel contempo è risultata portatrice di una perdita secca di circa 6.500.000 di euro. La perdita si è verificata perché alla data del 22 dicembre 2008 il rapporto di cambio tra le valute euro e dollaro è risultato di 1,4270, quindi inferiore alla quotazione di euro 1,4380, che era l’importo prefissato nel contratto all’art. 3, mentre alla data del 26 settembre 2008, data di acquisto del titolo, il rapporto era di 1,4640.
La perdita della società doveva essere quindi calcolata tenendo conto degli interessi passivi maturati sul finanziamento per euro 486.780,56 oltre che della perdita di euro 6.640.020,25, per un importo complessivo di euro 7.126.800,81, a fronte di interessi attivi di euro 7.064.405,48. La perdita della società si riduceva, quindi, a soli euro 62.395,33.
8.1. Nonostante la perdita molto consistente, i soci e la società hanno beneficiato di un credito d’imposta di notevole valore.
8.2. Invero, l’art. 165 del d.P.R. n. 917 del 1986 (credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero) prevede, al primo comma, che “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in diminuzione”.
8.3. Inoltre, l’art. 11 della legge 10 luglio 1982, n. 562, convenzione Italia – Portogallo per evitare doppie imposizioni, prevede al quarto comma che “ai fini del presente articolo il termine “interessi” designa i redditi dei titoli del debito pubblico, delle obbligazioni di prestiti e dei crediti di qualsiasi natura, nonché ogni altro provento assimilabile ai redditi di somme date in prestito in base alla legislazione fiscale dello Stato da cui i redditi provengono”.
L’art. 22 della legge n. 562 del 1982 (disposizioni per evitare la doppia imposizione) prevede, al secondo comma, che “se un residente dell’Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili in Portogallo, l’Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito specificate nell’art. 2 della presente convenzione, può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito a meno che espresse disposizioni della presente convenzione non stabiliscono diversamente”.
Aggiunge che “in tal caso l’Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate, l’imposta sui redditi pagata in Portogallo, ma l’ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo”.
Il terzo comma, però, che è quello applicabile al caso in esame stabilisce che “le disposizioni del paragrafo 2 sono parimenti applicabili nel caso in cui l’imposta portoghese sul reddito sia stato oggetto di esenzione o di riduzione come se la detta esenzione o riduzione non fosse stata accordata”.
8.4. Pertanto, alla stregua del terzo comma dell’art. 22 della legge n. 562 del 1982, sono deducibili in Italia le imposte, non solo se effettivamente pagate in Portogallo, ma anche se tale imposte portoghesi sul reddito sono state oggetto di esenzioni o riduzione, proprio come nell’ipotesi accaduta nel caso in esame. Sugli interessi attivi pari ad euro 7.064.405,48 doveva essere applicata la ritenuta del 15%, che però non è stata applicata in quanto la società portoghese era in regime di zona franca.
Pertanto, la contribuente non ha versato contributi effettivi in Portogallo, ma soltanto contributi “figurativi” in quanto esenti in Portogallo.
In tal modo, i contribuenti italiani hanno potuto dedurre dai redditi effettivi conseguiti in Italia i contributi solo “figurativi” relativi alla tassazione portoghese, mai effettivamente versati.
8.5. Tanto è vero, che come risulta dal controricorso dell’Agenzia delle entrate, C.S., nella propria dichiarazione dei redditi per l’anno 2008, ha indicato un reddito complessivo di euro 816.802,00, decurtato anche della perdita di euro 21.599, quale quota di partecipazione delle I.G., ed ha liquidato un’imposta netta pari a euro 334.107,00; da tale imposta, però, il contribuente ha detratto la quota di spettanza del credito d’imposta per i redditi esteri, derivante dalle I.G. (33,334% di euro 1.059.160,75) e pari ad euro 334.607,00, in tal modo azzerando completamente l’imposta ed evidenziando anzi un credito Irpef di euro 111.108,00. Analoga condotta è stata realizzata da C.A. che pure aveva omesso la compilazione del quadro Rh per i redditi da partecipazione nella società I.G., della quale era socio con il 33,333% di quote. Lo stesso ha riportato comunque nel quadro CR la quota di spettanza del credito d’imposta figurativo derivante dall’operazione effettuata dalle I.G..
9. Il giudice d’appello, seppur con motivazione sintetica ha tenuto conto della complessa operazione realizzata, come pure del credito d’imposta sorto in base ai contributi figurativi relativi agli interessi attivi maturati dall’operazione. Pertanto, ha rilevato che l’operazione P.N. effettuata nel 2008 “non trovava alcuna giustificazione né motivazione imprenditoriale, se non quella rappresentata dal risparmio fiscale che si concentrava in capo ai soci”. Per tali ragioni, aggiunge il giudice d’appello, “l’Ufficio emetteva un avviso di accertamento con cui veniva rettificata la perdita dichiarata da euro 64.796,00 ad euro 2400,00 e le imposte pagate all’estero, da euro 1.059.661,00 ad euro zero. La Commissione regionale, poi, condividendo le conclusioni dei giudici di prime cure, ha ritenuto “di essere in presenza di un negozio in frode alla legge, e pertanto nullo, e di un negozio simulato”. Ha ulteriormente precisato che “appare incontrovertibile che prefiggersi un illecito risparmio di imposta, congiunto all’artata creazione di un indebito credito a danno dell’erario italiano, connotano il perseguimento di una finalità antigiuridico. I soci della società hanno mirato esclusivamente ad ottenere il credito d’imposta figurativo in capo alla I.G. al fine di fruirne personalmente nelle proprie dichiarazioni fiscali ed abbattere, in conseguenza di ciò, l’imposta dovuta proprio carico”.
10. Con il primo motivo di impugnazione, nel procedimento n. 1550 del 2015, il ricorrente C.S. deduce la “nullità della sentenza o del procedimento (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.) per violazione degli articoli 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché 102 e 354 c.p.c. (litisconsorzio necessario). Si rileva che, trattandosi di società di persone, e di ripresa fiscale a carico della società, sussisteva il litisconsorzio necessario tra la I.G. snc e gli altri suoi 2 soci C.A. e W.G..
11. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3, c.p.c.) dell’art. 36-bis del d.lgs. n. 600 del 1973, gli articoli 6 e 7 della legge n. 212 del 2000, dell’art. 3 della legge 241 del 1990 e dell’art. 16, secondo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997”, in quanto sin dal ricorso introduttivo il ricorrente ha lamentato la violazione dell’obbligo di preventivo contraddittorio, derivante dalla mancanza di motivazione, nella comunicazione di irregolarità di cui all’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, oltre alla illegittima formazione del ruolo ed alla illegittima applicazione delle sanzioni. In particolare, per il ricorrente non era possibile l’emissione della cartella di cui all’art. 36-bis del d.lgs. n. 600 del 1973, stante la complessità della controversia, che non poteva risolversi in alcun modo in un controllo meramente cartolare, solo questo consentito dalla norma richiamata. Era necessaria l’emissione di un avviso di accertamento.
12. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 160, primo comma, n. 5, c.p.c.)”. Invero, il giudice d’appello non ha tenuto conto dell’allegato 10 del ricorso introduttivo del giudizio di secondo grado, costituito dal contratto di acquisto di P.N. (un accordo di emissione di cambiale) in data 30 settembre 2008, per un capitale di euro 36.215.000,00, in scadenza in data 22 (valuation Date) – 29 (Expiry date) dicembre 2008, intercorso tra la M.C., in qualità di debitore, e la I.G. snc, in qualità di creditore. Il risultato della intera operazione finanziaria ha prodotto il pagamento di interessi attivi per euro 7.064.405,48 derivanti dalla P.N..
13. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) dell’art. 165 del d.P.R. n. 917 del 1986, e dell’art. 22 della convenzione Italia-Portogallo contro le doppie imposizioni, del 14 maggio 1980”. In realtà, in base alla normativa sulla doppia imposizione sono desumibili due regole fondamentali: le imposte “pagate” a titolo definitivo su redditi prodotti in Portogallo sono ammesse in detrazione in Italia; tale detrazione si applica anche nei casi di esenzione o di riduzione dell’imposta in Portogallo, come se le stesse non fossero state accordate (“credito d’imposta figurativo”). Pertanto, poiché risulta che sono stati espressamente pagati dalla M. alla I.G. euro 7.064.405,48 a titolo di interessi attivi, che devono considerarsi a tutti gli effetti reddito prodotto in Portogallo, e poiché agli interessi deve essere applicata d’imposta del 15%, risulta che tali interessi avrebbero dovuto subire una ritenuta d’imposta pari al 15%, per euro 1.059.360,62. Tale ritenuta non è stata applicata poiché la società M.C. opera nell’ambito della zona franca di Madeira, beneficiando di una esenzione totale da imposte sui redditi. Pertanto, la sentenza del giudice d’appello che ha rigettato il gravame del contribuente, ritenendo non provato l’effettivo versamento delie imposte in Portogallo e la loro effettiva definitività, è errata per violazione della legge n. 562 del 1982.
14. Il procedimento n. 20744/2017, in relazione al ricorso presentato dal solo contribuente C.S., deve essere dichiarato estinto.
15. Invero, il ricorrente C.S. ha aderito alla definizione agevolata dei carichi affidati alla Agenzia delle entrate-Riscossione, ai sensi dell’art. 3 del d.l. 119/2018, in relazione alla cartella di pagamento emessa nei suoi confronti. L’istanza è stata depositata il 12 marzo 2019, con assunzione da parte del contribuente dell’impegno a rinunciare ai giudizi pendenti.
Il contribuente ha provveduto al pagamento delle rate indicate nel “Prospetto di sintesi” a lui inviato dalla Agenzia delle entrate-Riscossione.
Con memoria in data 18 maggio 2021 il ricorrente ha dichiarato di rinunciare al ricorso ed ha notificato la documentazione a mezzo Pec sia all’Agenzia delle entrate che all’Agenzia delle entrate-Riscossione (cfr. ricevute di avvenuta consegna del 25 maggio 2021).
16. Le spese del giudizio di legittimità, relative al procedimento n. 20744/2017, vanno poste a carico della società e dei soci, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo, in favore della Agenzia delle entrate.
17. Non si provvede sulle spese del giudizio con riferimento al procedimento n. 1550/2015, in assenza di attività difensiva da parte della Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle entrate-Riscossione.
18. Con riferimento al procedimento n. 1550/2015, estinto per adesione alla definizione agevolata, non va applicato il “raddoppio” del contributo. Infatti, nell’ipotesi di causa di inammissibilità sopravvenuta alla proposizione del ricorso per cassazione non sussistono i presupposti per imporre al ricorrente il pagamento del cd. “doppio contributo unificato (Cass., sez. 5, 7 dicembre 2018,u n. 31732).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso della società e dei soci n. 20744/2017; dichiara estinto il procedimento n. 1550/2015;
condanna la società ed i soci, in solido tra loro, a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 11.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente e dei soci, in relazione al procedimento n. 20744/2017, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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