CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2021, n. 19439
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Sentenza eccessivamente concisa nella esposizione delle ragioni di fatto e di diritto – Impossibilità di individuazione del thema decidendum – Nullità
Rilevato che
1. In seguito a verifica fiscale parziale effettuata dalla Guardia di Finanza di Bergamo e sulla base del processo verbale di constatazione del 26/11/2006, a sua volta scaturito da controlli esperiti dall’Inps, dall’Inail e dalla Direzione provinciale del lavoro di Bergamo e dai relativi esiti raccolti nei processi verbali del 30/5/2006 (riguardante i rapporti di lavoro riferibili al mese di agosto 2002) e del 22/06/2006 (riguardante l’intero anno 2002, ad eccezione del mese di agosto), l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bergamo notificò, in data 8/02/2007, alla società Immobiliare F. s.r.I., già F. s.p.a., sia un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2002, col quale contestò l’omesso versamento di ritenute alla fonte Irpef e relative addizionali e irrogò sanzioni, sul presupposto che alcuni dipendenti della società, utilizzati per adempiere ad una commessa della D. s.p.a. per lavori di manutenzione, in parte subappaltati, presso il sito produttivo di quest’ultima avessero lavorato un maggior numero di ore rispetto a quelle dichiarate e assoggettate a tassazione e che cinque lavoratori fossero dipendenti irregolari della stessa società F. o fossero stati da quest’ultima impiegati per detti lavori di manutenzione presso il medesimo sito D.; sia un atto di contestazione fondato sul suddetto atto impositivo e sugli atti istruttori e ispettivi in esso richiamati, con il quale irrogò la sanzione pecuniaria unica per il contestato omesso versamento di ritenute alla fonte, dovute in relazione ad asserite e contestate maggiori ore lavorate da 101 dipendenti regolari e ulteriori 5 dipendenti irregolari della società contribuente.
Impugnati dalla società contribuente i predetti atti, con due distinti ricorsi in data 6/04/2007, la Commissione tributaria provinciale di Bergamo, sezione n. 4, previa loro riunione, accolse le domande e compensò le spese di lite, mentre la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, sezione 66, adita dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Bergamo, con la sentenza n. 110/66/12, pronunciata il 2/07/2012 e non notificata, accolse l’appello e dichiarò legittimo l’avviso di accertamento impugnato.
2. Avverso questa sentenza, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tredici motivi, che illustra anche con memoria. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo, si lamenta la nullità della sentenza, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto priva di motivazione o comunque munita di motivazione apparente in ordine alla prova ritenuta decisiva e sufficiente a giustificare la decisione di accoglimento del gravame, siccome enunciativa della mera valutazione finale, senza però estrinsecare il processo cognitivo che, dalla situazione iniziale, aveva condotto a tale conclusione. Ad avviso della contribuente, infatti, la C.T.R. non aveva argomentato sulle molteplici eccezioni (meglio descritte in ricorso) che erano state sollevate in merito all’inidoneità probatoria dei tabulati della D., posti apoditticamente a fondamento della decisione senza considerare né la disomogeneità dei dati in essi contenuti rispetto alle presenze da lei indicate, in quanto rilevati per controllare la mera permanenza di estranei nel proprio sito e non per il calcolo delle retribuzioni, né il fatto che non fosse stata informata dei relativi contenuti, che erano stati da lei conosciuti soltanto limitatamente alla quantità complessiva delle ore lavorate e delle maggiori ritenute alla fonte non effettuate, ciò che le aveva impedito di operare verifiche individuali e che rendeva perciò gli stessi inutilizzabili e inattendibili.
2. Con il secondo motivo, la contribuente lamenta l’omessa o radicalmente insufficiente motivazione della sentenza, perché priva di qualunque supporto motivo, al più solo apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di prendere posizione sulle questioni pregiudiziali sollevate in ordine alla idoneità probatoria dei tabulati della D., contenenti le timbrature del personale F. all’interno del suo stabilimento, e sulla loro attendibilità e utilizzabilità, essendosi limitata a valutare la sola discrasia esistente tra queste e le presenze rilevate dalla subappaltatrice F., senza esaminare le questioni pregiudiziali riguardanti la natura probante di tali tabulati e i fatti decisivi, tra cui la prova contraria data in ordine al rapporto di lavoro dipendente tra i cinque lavoratori asseritamente irregolari e altre aziende.
3. Con il terzo motivo, la contribuente censura la sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118, disp. att. cod. proc. civ., 36, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche in combinato disposto tra loro, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., stante l’eccessiva ed estrema concisione della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, tale da rendere impossibile e incerta l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni a fondamento del dispositivo. Ad avviso della contribuente, manca infatti la descrizione degli atti impositivi oggetto di giudizio e delle posizioni delle parti, l’analisi delle due tipologie di atto in contestazione e dei mezzi di prova, la verifica delle eccezioni e delle contestazioni della stessa.
4. Col quarto motivo, si lamenta l’illogicità della motivazione in ordine al fatto decisivo e controverso della sussistenza di prova delle pretese in contestazione e in ordine al fatto decisivo e controverso tra le parti della utilizzabilità o idoneità probatoria dei tabulati D. relativi al personale F. ovvero delle relative rilevazioni, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., con riguardo alla parte della motivazione che àncora l’efficacia probante dei tabulati D. al fatto che questi fossero stati regolarmente consegnati da quest’ultima società ai verbalizzanti, in assenza di qualunque nesso, coerenza o conciliabilità logica dell’efficacia probatoria dei primi rispetto alla avvenuta loro consegna.
5. Con il quinto motivo, si lamenta la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine alla domanda di annullamento dell’avviso di accertamento e dell’atto di contestazione impugnati, nella parte riguardante i cinque lavoratori ritenuti irregolari e in nero della società F.. Ad avviso della contribuente, la sentenza si era limitata a confermare l’avviso con riguardo alle sole maggiori ore lavorate dal “personale F.” e dunque dai 101 lavoratori impiegati per l’esecuzione dell’appalto D. e non assoggettati a ritenuta alla fonte dall’azienda, senza invece pronunciarsi, nella parte motiva, sulle domande di annullamento degli atti impositivi e delle pretese afferenti l’imputazione alla società F. dei cinque dipendenti in nero o irregolari, benché tale presunto rapporto costituisse distinta contestazione e distinto motivo della pretesa tributaria e sanzionatoria e fosse stato ritenuto non provato dai giudici di primo grado.
6. Col sesto motivo, si lamenta la nullità della sentenza e l’omessa motivazione per violazione o falsa applicazione dell’art. 36, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. confermato integralmente l’avviso di accertamento e, al più implicitamente, l’atto di contestazione, limitandosi a menzionare in fatto e in diritto le sole contestazioni di maggiori ore lavorate concernenti il “personale F.”, senza mai fare alcun accenno alla diversa contestazione riguardante l’imputazione alla società F. dei cinque lavoratori in nero o irregolari, oggetto di specifico motivo in primo grado e di accoglimento della relativa domanda al suo esito, nonché di specifica questione in sede d’appello. Ad avviso della contribuente, la C.T.R., se avesse motivato, non avrebbe potuto fare altro che confermare sul punto la sentenza di primo grado, stante l’assenza di prova sulla sussistenza di quei rapporti di lavoro.
7. Col settimo motivo, la contribuente lamenta l’omessa o insufficiente motivazione in ordine a fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. confermato integralmente l’avviso, che faceva espresso riferimento anche ai cinque lavoratori risultanti dai tabulati della D., ma non iscritti nei libri matricola della F. e privi di copertura previdenziale e assicurativa, e, implicitamente, l’atto di contestazione, senza in alcun modo motivare sull’asserita sussistenza del rapporto di lavoro in nero o irregolare con la società F. e sui presupposti, fattuali e giuridici, della pretesa e dell’obbligo, per il periodo d’imposta in contestazione, di effettuare e versare per gli stessi ritenute alla fonte e nella misura quantificata negli atti impositivi opposti. La contribuente ha sul punto evidenziato come tale questione fosse stata oggetto del giudizio di primo grado, nel corso del quale era rimasto dimostrato il rapporto di lavoro intrattenuto da quattro di essi con altre aziende e all’esito del quale la domanda era stata accolta. Inoltre, con riguardo a due dei predetti lavoratori (M. e Q.), lo stesso Tribunale di Bergamo, con la sentenza n. 720 del 2009, aveva ritenuto insussistente la prova del dedotto rapporto di subordinazione con essa, così come accaduto, con la sentenza n. 533 del 2009 afferente ad altri cinque lavoratori (B., M., M., E.B. e M.), asseritamente impiegati nel 2003, mentre gli ispettori avevano fondato il proprio convincimento in via meramente induttiva e solo in quanto i predetti lavoratori per alcune giornate non erano risultati impiegati presso altre ditte, benché fossero risultati dipendenti altrui in più periodi proprio in quell’anno di imposta.
8. Con l’ottavo motivo, si domanda la declaratoria di giudicato interno in ordine all’annullamento dell’atto di contestazione, oggetto della statuizione dei giudici di primo grado, non avendovi la C.T.R. in alcun modo fatto riferimento, né nella parte motiva, né nel dispositivo, benché detto atto fosse distinto dall’avviso di accertamento e fosse stato oggetto in origine di separato ricorso, ed essendosi riferita esclusivamente all’avviso di accertamento.
9. Con il nono motivo, si lamenta la nullità della sentenza o l’omessa motivazione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi espressamente sull’atto di contestazione, benché oggetto di specifica impugnazione e statuizione del giudice di primo grado e di specifico motivo d’appello, e per averlo però implicitamente annullato in ragione dell’accoglimento integrale dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, senza mai farvi riferimento, né nella parte motiva, né nel dispositivo.
10. Con il decimo motivo, si lamenta l’omessa o insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in ordine al fatto decisivo e controverso della liceità o validità dell’atto di contestazione, oggetto di specifica e separata impugnazione in primo grado e di annullamento in tale sede, per avere la C.T.R. accolto, in dispositivo, l’appello dell’Ufficio, e riformato, pertanto, la sentenza di primo grado anche con riguardo a tale atto, senza mai menzionarlo e senza motivare in alcun modo sul punto.
11. Con l’undicesimo motivo, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 48 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e degli artt. 3 e 8, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e in genere della disciplina dell’obbligo di effettuazione del versamento di ritenute alla fonte dei redditi di lavoro dipendente, oltreché dell’art. 13, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, degli artt. 2697, 2699, 2700, 2702, 2727, 2729 cod. civ., delle norme che regolano la prova induttiva e indiziaria e prescrivono i requisiti di gravità, precisione e concordanza della presunzione semplice, e dell’art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto probanti i tabulati relativi al personale F., senza considerare le contestazioni, la documentazione prodotta e gli aspetti pregiudiziali ad essi riferiti e costituenti prova contraria. La contribuente afferma, in particolare, che l’unica prova, posta a fondamento della decisione, si basa sulla mera rilevazione dell’ingresso e dell’uscita dei lavoratori desunta dai tabulati della D., dei cui contenuti non era mai stata informata nel dettaglio (quanto ai giorni riferiti a ciascun lavoratore e agli importi), ma solo con riferimento alle maggiori quantità complessive e globali, benché sconfessata dai rilievi da essa proposti e sostanzialmente individuabili in quelli elencati nel precedente primo motivo.
12. Con il dodicesimo motivo, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 23, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 48 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, 3 e 8, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in generale della disciplina dell’obbligo di effettuazione e di versamento di ritenute alla fonte su redditi di lavoro dipendente, oltreché dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, e comunque degli artt. 2697, 2699, 2700, 2702, 2727, 2729 cod. civ. e delle norme che regolano la prova induttiva e indiziaria e prescrivono i requisiti di gravità, precisione e concordanza della presunzione semplice, e dell’art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata confermato l’atto impositivo sull’assunto che il dato della consegna di un mezzo di prova ai verificatori implichi la natura probante dello stesso e sia dunque sufficiente per affermare la fondatezza dell’accertamento basato su di esso, senza esaminarne natura, efficacia e pertinenza probatoria rispetto al thema probandum essenziale al giudizio, anche alla luce delle avverse contestazioni specifiche e/o pregiudiziali svolte dalla ricorrente nei precedenti gradi di merito. Secondo la contribuente, i tabulati, formati da D. soltanto per motivi di sicurezza e statistici e contenenti esclusivamente rilevazioni di orario di ingresso e uscita e non di ore lavorate, non erano mai stati versati in causa nella loro interezza, ma ne erano stati prodotti soltanto alcuni stralci riguardanti il dipendente N..
13. Con il tredicesimo motivo, infine, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 23, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anche in relazione all’art. 48 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, 3 e 8, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e in generale della disciplina dell’obbligo di effettuazione e di versamento di ritenute alla fonte su redditi di lavoro dipendente, oltreché dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, anche alla luce di quanto allegato e provato dalla onerata Agenzia e della corretta interpretazione e applicazione degli artt. 2697, 2699, 2700, 2702, 2727, 2729 cod. civ. e delle norme che regolano la prova induttiva e indiziaria e prescrivono i requisiti di gravità, precisione e concordanza della presunzione semplice, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto che si dovessero effettuare e versare ritenute su redditi da lavoro dipendente, non correlate a pretese tributarie e sanzionatorie, sulla base della sola rilevazione dell’ingresso e dell’uscita dalla cittadella D., desunta dai tabulati da essa formati sul personale F., e sull’assunto che centouno dipendenti avessero lavorato per più ore rispetto a quelle contabilizzate, in relazione alle quali era stata fatta la ritenuta alla fonte, e che cinque ulteriori lavoratori fossero irregolari o in nero, benché nessuna prova fosse stata fornita a dimostrazione dell’avvenuta retribuzione delle maggiori ore lavorate dai dipendenti F. o in favore dei presunti lavoratori in nero. Ad avviso della contribuente, infatti, l’obbligo di effettuare e versare le ritenute alla fonte insorge soltanto in caso di effettiva corresponsione della retribuzione corrispondente a dette ore lavorate, aspetto questo che la C.T.R. aveva omesso di analizzare, al pari della questione sulla contraddittorietà dei dati riguardanti l’importo orario che, rispetto al dipendente Noris, era stato indicato in più punti con entità differenti.
14. Il terzo e il nono motivo, con i quali la contribuente contesta la nullità della sentenza in quanto eccessivamente concisa nella esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, così da rendere impossibile e incerta l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni a fondamento del dispositivo (terzo motivo), e in quanto priva del tutto di riferimenti all’atto di contestazione, benché oggetto di specifica impugnazione (nono motivo), sono fondati.
Come già sostenuto da questa Corte, infatti, «in forza del generale rinvio materiale alle norme del cod. proc. civ. compatibili, contenuto nell’art. 1, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è applicabile al rito tributario, così come disciplinato dal citato decreto, il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. (come novellati entrambi dalla legge 18 giugno 2009 n. 69), secondo il quale la mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione delle ragioni giuridiche della decisione, determinano la nullità della sentenza soltanto ove rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo» (vedi Cass., sez. 6 – 5, 18/04/2017, n, 9745. In termini Cass., sez. 5, 22/09/2003, n. 13990), così come è parimenti nulla la sentenza della Commissione tributaria regionale che sia priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto i giudici d’appello a disattenderle (vedi Cass., sez. 5, 05/10/2018, n. 24452; Cass., sez. 6-5, 26/06/2017, n. 15884).
Nella specie, la C.T.R. non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto fa laconicamente e genericamente riferimento, in punto di fatto, ad un avviso di accertamento in «merito all’omesso versamento di ritenute per redditi da lavoro dipendente», affermando che «avverso la decisione della C.T.P. che aveva accolto (respinto) da (società) Agenzia proponeva appello avanti a questa Commissione, chiedendone l’integrale riforma».
Tali scarne indicazioni rendono impossibile ricostruire l’esatto ambito del thema decidendum demandato al giudice d’appello, mancando del tutto l’esposizione del fatto processuale, il contenuto della sentenza di primo grado, di cui resta incerta perfino la parte a favore della quale vi era stata la pronuncia, essendo indicate entrambe le parti processuali, una sotto l’altra, all’interno di un’unica parentesi, e l’enunciazione dei motivi d’appello dell’Amministrazione, rimanendo ambigua perfino l’inclusione, tra essi, dell’atto di contestazione, stante l’esclusivo richiamo al solo avviso di accertamento.
Alla luce di quanto detto, i motivi in esame devono reputarsi fondati.
15. L’accoglimento delle suddette censure comporta perciò l’assorbimento delle restanti.
18. In definitiva, deve dichiararsi la fondatezza del ricorso relativamente al terzo e al nono motivo e l’assorbimento delle restanti censure.
Per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere cassata e deve disporsi il rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. distaccata di Brescia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso in relazione al terzo e al nono motivo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. distaccata di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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