CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2021, n. 19443
Tributi – Accertamento – Decesso del contribuente – Notifica agli eredi
Fatti di causa
Con sentenza n. 107/10/2007 la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo accolse il ricorso proposto da L.R.I., nella sua qualità di coniuge superstite ed erede di R.S., contro l’avviso di accertamento n. RJP010100662, con cui la Agenzia delle Entrate di Palermo aveva accertato nei confronti di R.S. maggiori imposte IRPEF, IRAP ed IVA, per l’anno di imposta 2002, sulla base dei rilievi del riscontro di saldi negativi nel conto cassa e della omessa vidimazione delle scritture contabili.
La ricorrente aveva dedotto con il ricorso la nullità della notifica dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 65 del DPR n. 600 del 1973, perché eseguita soltanto al coniuge superstite ed a due figli del debitore di imposta, deceduto nelle more fra la procedura di accertamento e la notifica, mentre in realtà i figli erano tre e, nel merito, che i saldi negativi risultavano annotati su un brogliaccio e non invece sul libro giornale a causa di una maldestra gestione della contabilità da parte del consulente, il che costituiva peraltro un rilievo soltanto formale.
La Commissione Tributaria Provinciale di Palermo annullò l’accertamento ritenendo che non fosse stato rispettato il procedimento notificatorio, ai sensi dell’art. 65, comma 2, del DPR n. 600 del 1973, stante la omessa notifica dell’accertamento al terzo figlio coerede.
Investita dall’appello della Agenzia delle Entrate – che sostenne che il procedimento notificatorio era stato correttamente eseguito ai sensi dell’art. 60 del DPR n. 600 del 1973, mentre l’utilizzo della procedura ex art. 65 dello stesso DPR aveva carattere residuale rispetto a tutte le altre forme di notificazione e che l’atto di accertamento era giustificato nel merito, tenuto conto della irregolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie nonché dei saldi negativi del conto cassa che costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti – la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con sentenza n. 108/29/2013, depositata in data 22.7.2013, accolse l’appello e compenso le spese del giudizio. Il giudice di appello rilevò che, pur essendo consentita la notifica impersonalmente e collettivamente agli eredi nell’ultimo domicilio del contribuente deceduto, nel caso in cui – come nella fattispecie in esame – gli eredi non avevano comunicato tempestivamente all’Ufficio la loro qualità ed il loro indirizzo alla Agenzia delle Entrate, peraltro la notifica era pur sempre valida se eseguita personalmente agli eredi indentificati come tali, aliunde, dall’Ufficio, tanto più che qualsiasi eventuale nullità era stata sanata poiché il contribuente aveva impugnato l’accertamento e la nullità avrebbe potuto avere rilievo, non già con riguardo alla legittimità dell’intero atto, bensì limitatamente (ed eventualmente) al coerede nei cui confronti la notifica non era stata validamente eseguita, per la quota dello stesso. Ritenne poi infondati i motivi di merito posti a base del ricorso iniziale e riproposti in appello perché ritenuti assorbiti dal giudice di primo grado, considerato che la negatività della cassa e la omessa vidimazione dei registri contabili costituivano fatti non contestati, oltre che gravi, precisi e concordanti elementi che giustificavano i recuperi.
Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione L.R.I., quale erede del deceduto R.S., con atto notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 21-24-27 gennaio 2015 affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 60 e 65 del DPR n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., poiché, non avendo gli eredi del contribuente deceduto eseguito la comunicazione di cui all’art. 65, comma 2, del DPR n. 600 del 1973, la notificazione doveva essere indirizzata collettivamente ed impersonalmente agli eredi. Peraltro, avendo l’Ufficio optato per la notifica personale agli eredi, avrebbe dovuta eseguirla a tutti, mentre invece aveva trascurato la coerede R.M. che pure risultava come tale nella denuncia di successione che era stata indirizzata allo stesso Ufficio.
2. Con il secondo motivo si duole della violazione degli artt. 36 e 61 del D. Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 352 c.p.c., sempre in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., perché la sentenza impugnata – dopo avere affermato che aveva applicato la procedura di cui all’art. 65, comma 2 lett. a del DPR n. 600 del 1973 – non aveva poi indicato il motivo per cui la notifica si sarebbe perfezionata nonostante la omissione della stessa alla coerede R.M., il che costituiva un fatto decisivo ed assorbente per il giudizio e violazione dell’obbligo di motivazione.
3. Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 51, 53 e 75 del TUIR, 38 e 39 del DPR n. 600 del 1973, 6, 21, 24, 28 e 54 del DPR n. 633 del 1972, 3, 4, 19 e 25 del D. Lgs. n. 446 del 1997, 30 del D. Lgs. n. 241 del 1997, 3 del D. Lgs. n. 462 del 1997, 2727, 2728 e 2729 del c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la correttezza dell’accertamento sulla base di due presunzioni non stabilite dalla legge e comunque irrilevanti, quali la negatività del conto cassa che era addebitabile ad anticipazione del titolare della ditta a seguito dell’accettazione di assegni postdatati e ad errori commessi dal contabile della ditta e la omessa vidimazione dei registri e la bollinatura delle scritture che era stata abolita con legge 18 ottobre 2001 n. 383.
4. Il quarto motivo sostiene omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi degli artt. 65 e 60 del DPR n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per avere la sentenza impugnata omesso di considerare la omessa notifica dell’avviso di accertamento alla coerede R.M. ed erroneamente ritenuto la sanatoria della nullità per la costituzione in giudizio di altra coerede poiché la solidarietà passiva fra gli eredi era prevista dall’art. 65 del DPR n. 600 del 1973.
5. Infine, con il quinto ed ultimo motivo lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla imputabilità della cassa negativa al consulente contabile della ditta nell’ambito di un mero errore formale, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione agli artt. 51, 53 e 75 del TUIR, 38 e 39 del DPR n. 600 del 1973, 6, 21, 24, 28 e 54 del DPR n. 633 del 1972, 3, 4, 19 e 25 del D. Lgs. n. 446 del 1997, 30 del D. Lgs. n. 241 del 1997, 3 del D. Lgs. n. 462 del 1997, 2727, 2728 e 2729 del c.c.
6. Preliminarmente occorre rilevare che il ricorso per cassazione, diretto e notificato dopo il 1.1.2001 al Ministero dell’Economia è inammissibile poiché <<in tema di contenzioso tributario, a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate, divenuta operativa dal 1° gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia; tale legittimazione costituisce infatti il riflesso, sul piano processuale, della separazione tra la titolarità dell’obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l’esercizio dei poteri statali in materia d’imposizione fiscale, il cui trasferimento all’Agenzia, previsto dall’art. 57 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, esula dallo schema del rapporto organico, non essendo l’Agenzia un organo dello Stato, sia pure dotato di personalità giuridica, ma un distinto soggetto di diritto >> (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 3118 del 14/02/2006 Rv. 587609 – 01 e successive conformi; da ultimo Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 1462 del 23/01/2020 Rv. 656711 – 01: In tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001, giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza dell’art. 1 del d.m. 28 dicembre 2000, unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Entrate, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze). Peraltro la inammissibilità è sanata per effetto della costituzione in giudizio, senza alcun rilievo, da parte della Agenzia delle Entrate, in base al principio giurisprudenziale consolidato per cui “La nullità del ricorso proposto nei confronti di soggetto privo di legittimazione “ad causam” è sanabile, con effetto “ex tunc”, dal momento della costituzione in giudizio del soggetto passivamente legittimato, impedendo detta costituzione sempre e comunque l’inammissibilità per tardività del gravame, nel caso dei giudizi iniziati dopo il 30 aprile 1995, cui si applica l’art. 164, terzo comma, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 9 della legge 26 novembre 1991, n. 353” (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8177 del 11/04/2011 Rv. 617616-01 e successive conformi).
7. Ciò posto il ricorso è infondato.
8. Il primo, il secondo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente poiché riguardano tutti la pretesa violazione degli artt. 60 e 65 del DPR n. 600 del 1973, con conseguente dedotta nullità dell’intero accertamento, in considerazione dalla avvenuta notificazione diretta agli eredi dell’avviso di accertamento intestato al defunto, deceduto nelle more della notifica, ma con la esclusione della notifica ad uno di essi, mentre per tutti gli altri la notifica era andata a buon fine ed anzi la vedova ed erede del contribuente defunto aveva presentato tempestivo ricorso contro l’accertamento.
8.1 In realtà la ricorrente non contesta che la notifica dell’accertamento, dopo il decesso del contribuente, potesse essere eseguita direttamente ai singoli eredi, pur se essi non avevano eseguito la comunicazione ai sensi dell’art. 65 del DPR n. 600 del 1973, mentre sostiene soltanto che la nullità dell’accertamento deriverebbe dal fatto che il procedimento notificatorio avrebbe trascurato uno dei coeredi, il che determinerebbe la nullità dell’intero accertamento in virtù del principio di solidarietà passiva fra gli eredi prevista dall’art. 65 del DPR n. 600 del 1973.
8.2. L’assunto non è però fondato sotto il profilo della violazione di legge, poiché la sentenza impugnata ha, al contrario, applicato corretti principi giuridici per cui la notifica ben poteva essere eseguita nella forma maggiormente garantita di consegna diretta ai singoli eredi di cui l’Ufficio conosceva nominativi ed indirizzi (v. Cass. n. 26124 del 2007 rv. 601271: “In tema di notifiche degli atti di accertamento e di riscossione delle imposte sui redditi, in caso di decesso del contribuente, l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 65, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 non sussiste qualora l’Ufficio sia già in possesso delle necessarie informazioni per procedere alle notifiche presso il domicilio dei singoli eredi, posto che, conformemente a quanto disposto dall’art. 6 della legge n. 212 del 2000, l’Amministrazione è tenuta ad utilizzare le informazioni comunque pervenute in suo possesso per far giungere i propri atti a conoscenza dei destinatari“; conforme Sez. 5, Sentenza n. 803 del 14/01/2011 Rv. 615510 – 01), come riconosciuto peraltro dallo stessa ricorrente ed, in secondo luogo, non è vero che sussista litisconsorzio necessario fra gli eredi del contribuente deceduto prima della notifica dell’accertamento. Infatti in caso di successione “mortis causa” di una pluralità di eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio, il debito del “de cuius” si fraziona “prò quota” tra gli aventi causa, sicché il rapporto che ne deriva non è unico e inscindibile e, in caso di giudizio instaurato per il pagamento del debito ereditario, non sussiste, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, litisconsorzio necessario tra gli eredi del defunto, né in primo grado, né nella fase di gravame (v. Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 8487 del 29/04/2016 Rv. 639756- 01; v. ancora Sez. 1, Sentenza n. 2288 del 29/07/1974 Rv. 370670 – 01: Non sussiste litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore dell’imposta sull’incremento di valore delle aree fabbricabili, i quali, in mancanza di una specifica disposizione di legge che disponga il contrario, sono tenuti a rispondere, secondo i principi generali, delle posizioni debitorie del de cuius ciascuno in proporzione della sua quota ereditaria). D’altra parte, quand’anche sussistesse – e, nel caso, non sussiste – la solidarietà tributaria, questa non produrrebbe effetti diversi e maggiori di quelli che discendono dal vincolo solidale di diritto comune, né, quindi, comporterebbe – ed, anzi, escluderebbe – la necessita del litisconsorzio.
8.3. E’ poi corretto anche il principio applicato dalla sentenza impugnata per cui qualsiasi nullità della notifica resta sanata dalla impugnazione dell’atto da parte del soggetto interessato, come nel caso in esame in cui l’atto è stato impugnato dalla vedova – erede in tale qualità. Infatti, addirittura la notifica di un avviso di accertamento effettuata ai sensi dell’art. 65, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 presso l’ultimo domicilio del defunto, impersonalmente e collettivamente agli eredi, benché questi abbiano effettuato almeno trenta giorni prima la comunicazione all’Ufficio delle proprie generalità e del proprio domicilio fiscale, ne determina la nullità, sanabile ex art. 156 c.p.c. con l’impugnazione dell’atto, atteso che la notifica non è un requisito di giuridica esistenza, ma una condizione integrativa di efficacia degli atti impositivi (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22476 del 04/11/2015 Rv. 637067 – 01; conforme Sez. 5 -, Sentenza n. 24196 del 29/11/2016 Rv. 642013- 01; v. ancora Sez. 5 -, Ordinanza n. 1156 del 17/01/2019 Rv. 652199 – 01: “La notifica dell’avviso di accertamento nei confronti di un contribuente deceduto, notificato agli eredi collettivamente e impersonalmente presso il domicilio del “de cuius”, è nulla ove gli eredi abbiano comunicato all’Agenzia delle entrate le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale almeno trenta giorni prima della notificazione: peraltro, atteso che la natura sostanziale dell’avviso di accertamento tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, detta nullità deve ritenersi sanata, per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156, comma 3, c.p.c., qualora l’erede proponga tempestivo ricorso avverso il ruolo, purché ciò avvenga prima della scadenza del termine di decadenza, previsto dalle singole leggi d’imposta, per l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria“).
E d’altronde, poiché la notifica è solo una condizione di efficacia dell’accertamento, eventualmente l’accertamento resterebbe inefficace, prò quota, nei confronti della coerede che non aveva ricevuto la notifica, non potendo in ogni caso essere nullo l’intero accertamento.
8.4. Con riguardo poi al secondo ed al quarto motivo di ricorso, essi sono inammissibili laddove, sotto il profilo della violazione di legge si deduce difetto di pronuncia (quarto motivo) e di motivazione (secondo motivo) sul punto del preteso perfezionamento della notificazione dell’accertamento pur in difetto della notificazione ad uno dei coeredi, poiché sul punto vi è una espressa pronuncia da parte della sentenza impugnata la quale ha preso in esame la doglianza ed ha ritenuto che la omessa notifica ad uno dei coeredi non potesse inficiare la validità dell’intero accertamento e ciò sotto vari profili, quali la sanatoria della eventuale nullità, la rilevanza delle eventuale omissione di notifica solo con riguardo alla posizione ed alla quota del coerede pretermesso e la correttezza della notifica eseguita direttamente alla vedova ed ai due figli del defunto.
9. Anche il terzo ed il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente poiché riguardano entrambi la correttezza dell’accertamento fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d del DPR n. 600 del 1973, che tali non sarebbero ad avviso della ricorrente.
9.1. Pure in tal caso si deve escludere il vizio di violazione di legge posto dalla ricorrente sotto il profilo della correttezza del ragionamento indiziario poiché la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio giuridico consolidato, che altro non è che l’espressione e l’applicazione della logica prima ancora che del diritto per cui la cassa negativa o “in rosso” è un avvenimento contabilmente-e realisticamente- impossibile. In altri termini, dal conto di cassa (il cosiddetto mastrino) non vi possono essere più poste “in uscita” rispetto a quelle “in entrata” (i prelevamenti, evidentemente, non possono mai essere superiori alle entrate).
9.2. Sulla base di tali rilievi questa Corte ha ritenuto, con orientamento giurisprudenziale costante nel tempo, che “la chiusura “in rosso” di un conto cassa significa, senza possibilità di dubbio, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati”, con la conseguenza che – in applicazione del metodo analitico induttivo – “non si può fare a meno di ravvisare, senza alcuna forzatura logica, l’esistenza di altri ricavi, non registrati” (v. Cassazione Civile, Sezione Tributaria, n. 24509/2009; Cassazione Civile, Sezione Tributaria, n. 27585/2008; Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza 31 maggio 2011, n. 11988; da ultimo, Cass. 15 novembre 2017, n. 27041).
9.3. A tale proposito la ricorrente ha sostenuto (pag. 11 e 12 del ricorso per cassazione) che l’errore, pur esistente, sarebbe giustificabile dalla presenza sistematica in cassa di assegni postdatati il che imponeva anticipazioni da parte del contribuente che usava la cassa promiscuamente anche per le proprie esigenze personali, ovvero, più verosimilmente, da erronee registrazioni nel brogliaccio tenuto dal contabile dell’azienda; però l’assunto, che riguarda eventualmente valutazioni di merito, non ha alcuna attinenza con riferimento al vizio della violazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il quale consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, come nel caso in esame, in cui la ricorrente si è limitata a tentare di giustificare la sistematica negatività del conto cassa attraverso mere ipotesi alternative, è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v. per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171 – 01).
9.4. E’ opportuno rilevare che, peraltro, neppure la apparente regolarità delle scritture contabili avrebbe impedito l’accertamento di cui si tratta, poiché è ben noto come, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo o anche solo induttivo del reddito d’impresa, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza. In tali casi è, pertanto, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (v. per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6337 del 03/05/2002 Rv. 554076 – 01 e successive tutte conformi).
9.5. L’ulteriore rilievo, da parte del ricorrente, che nell’anno di imposta 2002 la vidimazione del libro giornale era divenuta facoltativa per effetto della legge n. 383/2001, che aveva soppresso l’obbligo della bollatura di alcuni libri obbligatori e modificato l’art. 2215 c.c. con decorrenza dalla sua entrata in vigore (25 ottobre 2001), è ugualmente irrilevante poiché restava ferma l’obbligatorietà della loro numerazione progressiva e l’assolvimento dell’imposta di bollo prima di essere messi in uso, il che si ripercuoteva anche sulla annualità immediatamente successiva a conferma del disordine contabile in cui operava l’impresa ed a supporto del principale e ben più rilevante elemento presuntivo costituito dalla sistematica e conclamata negatività del conto cassa che giustificava da solo l’accertamento.
9.6. Si deve poi ritenere inammissibile il quinto motivo di ricorso poiché in parte ripropone la questione della violazione di legge già esaminata ed in parte deduce omesso esame di un punto decisivo costituito dalla imputabilità dei pretesi errori contabili al consulente della società che tale non è perché, a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., si deve trattare di omesso esame di un fatto storico decisivo, mentre la deduzione della omessa valutazione della tesi difensiva per cui la negatività sistematica del conto cassa poteva, in ipotesi, essere addebitabile al contabile dell’impresa, si scontra con l’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 21152/14), secondo cui tale disposizione, già nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, prevedeva l’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione», come riferita ad «un fatto controverso e decisivo per il giudizio» ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a «questioni» o «argomentazioni» che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. La censura s’infrange ora anche contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all’impugnazione della sentenza, depositata 11 22.7.2013, si applica il testo novellato ancora nel 2012 dell’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c.), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonché, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014).
9.7. Nel caso in esame, comunque, il giudice d’appello ha motivato, non solo con richiamo alla sentenza di primo grado ma anche con motivazione autonoma con riguardo al valore sostanziale della presunzione di evasione legata alla negatività della cassa che fra l’altro non era stata negata dalla ricorrente e che aveva trovato riscontro nelle scritture contabili “informali” acquisite in sede di verifica, il che rendeva irrilevante che vi avesse, in ipotesi, collaborato il consulente, una volta che la stessa ricorrente a pagina 11 del ricorso ha sostenuto che si sarebbe trattato di anticipazioni di cassa eseguite dal titolare della ditta per fare fronte al versamento di assegni postdatati e di coperture di vuoti di cassa eseguite sempre dal titolare dell’impresa.
10. In conclusione, il ricorso deve rigettato con condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. Poiché il procedimento di impugnazione è iniziato dopo il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della I. n. 228 del 2012, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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