CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2021, n. 19531
Contratto di formazione e lavoro – Nullità – Trasformazione in rapporto a tempo indeterminato – Mancanza della causa formativa
Rilevato che
1. Con sentenza n. 446 depositata l’8.6.2017 la Corte di appello di Messina, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, ha dichiarato la nullità del contratto di formazione e lavoro stipulato tra G.A. e R.S. s.p.a. (già S.S.) con conseguente trasformazione in rapporto a tempo indeterminato sin dalla data dell’assunzione (23.4.2002) per mancanza della causa formativa.
2. La Corte territoriale ha rilevato – al pari del giudice di primo grado – che a seguito di precedenti contratti a tempo determinato intercorsi con la medesima società, l’A. aveva già acquisito il titolo di “ufficiale di riscossione” (sin dall’anno 1997) impadronendosi delle relative mansioni e di una notevole e variegata esperienza pratica nel settore ed avvalendosi, quindi, di una professionalità già ampiamente maturata (anche alla luce delle modifiche, introdotte nel settore delle concessionarie per la riscossione, dal d.lgs. n. 46 del 1999).
3. Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso affidato a un motivo, illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso A..
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.l. n. 726 del 1984 (convertito con legge n. 863 del 1984), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., rilevando che la circostanza di svolgimento di attività lavorativa, da parte della A., precedentemente l’assunzione con contratto di formazione e lavoro non è circostanza di per sé sufficiente a far venire meno la causa tipica del contratto, posto che il progetto formativo ha privilegiato la formazione teorica (corsi della durata di 80 ore complessive) che ha contribuito ad arricchire il bagaglio culturale della dipendente, rendendola più competitiva.
2. Il ricorso non merita accoglimento.
Secondo orientamento consolidato di questa Corte elaborato in tema di contratti di formazione e lavoro, qualora il lavoratore, già al momento della sua assunzione con contratto di formazione, possegga la professionalità che, secondo gli accordi intervenuti, dovrebbe costituire lo scopo del programma formativo, avendo espletato in precedenza analoga attività presso un differente datore di lavoro, il contratto è affetto da un vizio parziale genetico di causa con conseguente sua trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. n. 5644 del 2009).
Questa Corte ha, inoltre, ripetutamente affermato che, in tema di contratto di formazione e lavoro, l’inadempimento degli obblighi di formazione determina la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, qualora l’inadempimento abbia un’obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e quindi trasfusi nel contratto. In questa seconda ipotesi il giudice deve valutare in base ai principi generali la gravità dell’inadempimento, giungendo alla declaratoria di trasformazione del rapporto (tra le tantissime Cass. n. 6068 del 2014; Cass. 20598 del 2012, Cass. n. 2247 del 2006, Cass. nn. 19846 e 15308 del 2004).
L’accertamento della sussistenza di una professionalità già acquisita e della sufficiente consistenza dei corsi teorici è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivato. Non può, in realtà, sottacersi che la censura svolta dalla società si traduce in critica ed obiezione avverso la valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 cod. proc. civ. e si risolve altresì nella prospettazione del risultato interpretativo degli elementi probatori acquisiti, ritenuto dallo stesso ricorrente più corretto ed aderente alle suddette risultanze, con involgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non consentito in sede di ‘legittimità, vieppiù a seguito della modifica del vizio di motivazione ad opera dell’art. 54 del d.l. 22.6.2012 n. 83.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
4. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di leggenda distrarsi;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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