CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 maggio 2019, n. 12172
Contratto di agenzia – Recesso – Retribuzioni indirette per affari conclusi dalla mandante nella zona di esclusiva
Rilevato che
La Corte d’Appello di Bologna respingeva l’appello proposto da G. V. avverso la sentenza del giudice di prima istanza che aveva disatteso le domande proposte nei confronti della s.r.l. S.A.I., volte a conseguire il pagamento di provvigioni indirette maturate – in relazione al contratto di agenzia inter partes protrattosi dal 1/8/98 al 1/8/08 – per gli affari conclusi nella zona di esclusiva assegnata (Stati Uniti d’America e Canada), nonché l’indennità sostitutiva del preavviso e le indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c. I giudici del gravame, dopo aver puntualizzato che il rapporto di agenzia si era instaurato, era intercorso, e si era risolto fra la società mandante ed il ricorrente, ha tuttavia rimarcato che quest’ultimo aveva costituito la società G.V. Service Inc. nel gennaio 2000 e che non aveva mai emesso fatture nei confronti della società nel corso della collaborazione inter partes, essendo il fatturato interamente riconducibile alla società G.V. Service Inc., che aveva percepito le relative provvigioni dalla s.r.l. S.
Ha quindi dedotto che, essendo emerso come tutti gli affari andati a buon fine fossero “attribuibili al V. non come persona fisica ma come titolare della G.V. Service inc.”, doveva ritenersi che il rapporto di agenzia inizialmente sorto nei confronti di G.V. in proprio, si fosse poi per facta condudentia modificato, subentrando all’agente persona fisica la società dallo stesso costituita.
Avverso tale decisione il Valente interpone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria, cui oppone difese, con controricorso, la società intimata.
Considerato che
1. Con il primo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c. Si deduce che alla stregua delle medesime argomentazioni espresse dal giudice del gravame, doveva ritenersi acclarata l’esistenza di un rapporto di agenzia fra il V. e la s.r.l. S. Si precisa, altresì che all’esito degli accertamenti peritali espletati, era emerso che detta società – nella vigenza del contratto di agenzia – aveva effettuato numerose vendite dirette nella zona oggetto del contratto, al cliente americano D.T. Inc. Viene, quindi, rimarcata la sussistenza in atti di una piena dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto azionato relativi al diritto del ricorrente a percepire le retribuzioni indirette per gli affari conclusi dalla mandante nella zona di esclusiva, irrilevante palesandosi l’argomentazione addotta dalla Corte di merito in ordine alla fatturazione per gli affari conclusi da parte della società G.V. Service. Si trattava, infatti, di una mera modalità di fatturazione e di pagamento delle provvigioni dirette spettanti al V. quale persona fisica, concordata fra le parti, e che non incide in alcun modo sulla attività che egli era stato chiamato a svolgere.
2. La doglianza non è condivisibile.
Al di là di ogni considerazione in ordine alla mancata impugnazione da parte ricorrente, della statuizione con la quale la Corte aveva ritenuto inammissibile, perché tardivamente formulata, la allegazione secondo cui la diversa modalità di fatturazione non incideva sulla attività di agente svolta personalmente dall’attore, non può sottacersi che la doglianza tende a dare ingresso ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, non consentita nella presente sede di legittimità.
Mediante il vizio di violazione di legge, in realtà il ricorrente lamenta principalmente una erronea valutazione dei dati istruttori acquisiti (segnatamente, il contratto stipulato inter partes, la relazione peritale versata in atti e riprodotta integralmente) che, se rettamente apprezzati, avrebbero dovuto suffragare la fondatezza del diritto azionato, così trasfondendo in un vizio motivazionale.
Preme rilevare al riguardo, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 16/7/2010 n. 16698).
Sotto tale aspetto, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (vedi ex aliis, Cass. 4/7/2017 n. 16467).
Nello specifico deve rilevarsi che la Corte di merito ha proceduto ad un accertamento in concreto del materiale istruttorio versato in atti valutando il peso probatorio delle specifiche acquisizioni; ha rilevato che il V. aveva costituito con la G.V. Service Inc dopo la stipula del contratto in oggetto; che non aveva mai emesso fatture per tutta la durata della collaborazione; che tutte le fatture erano state emesse dalla G.V. Service Inc. la quale peraltro, aveva ricevuto le provvigioni spettanti dalla società S.A.I. s.r.I.
Sul rilievo che tutti gli affari andati a buon fine fossero attribuibili al V. non come persona fisica ma quale titolare della società G.V. Service dimostrava, la Corte è pervenuta alla conclusione che il rapporto inizialmente insorto con il Valente in proprio, si fosse modificato sull’accordo delle parti, subentrando all’agente persona fisica, la società dallo stesso costituita.
La pronuncia impugnata non risponde, quindi, ai requisiti della motivazione apparente ovvero della illogicità manifesta che avrebbero giustificato il sindacato in questa sede di legittimità.
L’espletato accertamento investe pienamente la quaestio facti, e rispetto ad esso il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014.
3. Con il secondo motivo si prospetta violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.
Si critica la sentenza impugnata per aver affermato ex officio, che il rapporto di agenzia si sarebbe modificato per facta condudentia con il subentro all’agente persona fisica, della società dallo stesso costituita, benchè la medesima società non avesse eccepito alcuna novazione soggettiva né oggettiva mediante la costituzione di un nuovo rapporto.
4. Anche questo motivo presenta profili di inammissibilità. Ed invero, come questa Corte insegna, il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto d’introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori. (vedi ex plurimis Cass. 11/04/2018 n. 9002, Cass. 4/2/2016 n. 2209, Cass. 11/1/2011 n. 455).
La Corte distrettuale nel proprio incedere argomentativo, si è mostrata rispettosa dei principi enunciati, procedendo alla accurata disamina del materiale istruttorio acquisito e pervenendo alle conclusioni innanzi descritte alla stregua di una doverosa qualificazione giuridica del rapporto di lavoro intercorso fra le parti condotta alla luce degli elementi di fatto acquisiti, senza travalicarne i limiti.
Conclusivamente, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.
5. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento del presente giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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