CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 marzo 2018, n. 5624
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Ammissione al passivo – Revoca contributo regionale – Mancata prosecuzione dell’attività aziendale
Fatti di causa
Con istanza del 19 novembre 2012, la Regione Campania chiedeva l’ammissione al passivo del fallimento D.C.A., in via privilegiata, di un credito di € 1.681.576,97, deducendo di avere revocato nel 2011 un contributo concessogli nel 2006 per l’adeguamento strutturale dell’azienda casearia, poiché il D.C. non aveva soddisfatto le obbligazioni assunte.
Con decreto del 13 aprile 2013, il giudice delegato dichiarava esecutivo lo stato passivo ed escludeva il credito, considerandolo incerto e ritenendo che mancasse un titolo idoneo opponibile al fallimento.
L’opposizione della Regione veniva rigettata dal Tribunale di Salerno con decreto del 22 giugno 2016, secondo il quale il presupposto della revoca del finanziamento, cioè l’inosservanza dell’obbligo di non mutare la destinazione dell’azienda casearia e di non alienarla o concederla in godimento a terzi, non ricorreva nel caso di fallimento dell’impresa beneficiaria, il cui valore aziendale rimaneva acquisito all’attivo fallimentare, essendo possibile la continuazione dell’attività economica dopo la dichiarazione di fallimento.
Avverso il suddetto decreto la Regione Campania ha proposto ricorso per cassazione, affidato – a due motivi; il Fallimento D.C.A. ha resistito con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la Regione Campania ha denunciato la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in relazione agli artt. 98, 99 e 101 legge fall., 112 e 345 c.p.c. e 24 Cost., essendosi il Tribunale pronunciato su questioni non dedotte dal Fallimento e sulla base di argomentazioni scollegate dalle ragioni di esclusione indicate dal giudice delegato.
Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis, comma 1, n. 1, c.p.c., avendo il decreto impugnato deciso in senso conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (Cass. n. 8929/2012, n. 3110/2015). Né incorre nella violazione dell’art. 112 c.p.c. il Tribunale che, esercitando il proprio potere d’ufficio di accertare la fondatezza della domanda proposta, rigetti l’opposizione allo stato passivo proposta dal creditore, dovendo l’accertamento sull’esistenza del titolo dedotto in giudizio essere compiuto dal giudice ex officio in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di. ognuna delle sue fasi, in base alle risultanze acquisite nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali (Cass. n. 24972/2013).
Con il secondo motivo, la Regione lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla mancata prosecuzione dell’attività aziendale da parte del fallito.
Il motivo è fondato.
Come ha ammesso il Fallimento nel controricorso (a pag. 9), l’attività aziendale non è proseguita dopo il fallimento e tuttavia il Tribunale ha fondato la decisione di ritenere insussistente il presupposto della revoca del contributo sull’astratta eventualità della prosecuzione dell’attività, senza un accertamento in concreto al riguardo, pur trattandosi di un fatto decisivo per il giudizio, nell’accezione di cui al novellato art. 360 n. 5 c.p.c. Inoltre, il giudice di merito non ha spiegato perché la cessazione dell’attività non possa assimilarsi alle ipotesi, previste come causa di revoca, del mutamento della destinazione dell’azienda casearia e della alienazione o concessione dell’azienda in godimento a terzi.
In conclusione, in accoglimento del secondo motivo, il decreto impugnato è cassato con rinvio al Tribunale di Salerno anche per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo e, in accoglimento del secondo motivo, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Salerno, anche per le spese.
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