CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 marzo 2019, n. 6816
Tributi – Imposte sui redditi ed Iva – Cessione di esercizio commerciale (azienda) – Valore imponibile – Determinazione – Criteri
Ritenuto che
L’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento relativo alle imposte Irpef, Irap ed Iva per l’anno 2000 in cui rettificava i valori di cessione dell’esercizio commerciale del contribuente S.M.F., e rideterminava il reddito di impresa recuperando una plusvalenza di euro 285.778.316.
Il contribuente impugnava l’accertamento denunciando che il valore dell’accertamento avrebbe dovuto essere determinato non solo in base alla ubicazione dell’esercizio ed agli atti di provenienza, ma tenendo conto dei ricavi effettivamente conseguiti, e la CTP di Milano accoglieva il ricorso.
La CTR della Lombardia rigettava l’appello.
Contro tale sentenza ricorre l’ufficio sulla base di tre motivi.
Il contribuente non si è costituito.
Considerato che
Preliminarmente, la notifica del ricorso appare regolare, atteso che la stessa è stata compiuta al domicilio eletto, con invio della comunicazione di avvenuta notifica, ed è poi stata ricevuta dalla figlia del contribuente.
Con il primo motivo l’ufficio deduce errore “in procedendo” ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, d.lvo n. 546 del 1996 (omessa pronuncia).
La CTR non si è pronunciata sulla parte di accertamento relativa alla indeducibilità di costi.
Con il secondo motivo deduce omessa motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In particolare la sentenza della CTR non ha motivato sulla indeducibilità dei costi recuperati a tassazione dell’ufficio, ma si è limitata a confermare la sentenza di primo grado.
Con il terzo motivo deduce falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 2727 e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 39 dpr 600 del 1973, e all’art. 54 dpr 26.10.1972 n . 633, nonché in relazione all’art. 51 dpr n. 131 del 1986.
Il valore dell’avviamento determinato ai fini dell’imposta di registro ed ai fini delle imposte dirette non devono necessariamente coincidere.
Il primo motivo è fondato
Il fatto che l’accertamento si fondi anche sul disconoscimento di costi emerge in atti non solo, in parte, dal ricorso (paragrafo 5 della parte narrativa), ma anche dalla stessa sentenza impugnata che a pag. 2 dà atto del fatto che l’accertamento riguardava anche la deducibilità di costi. La CTP si è pronunciata su questo aspetto, ritenendoli deducibili, e l’ufficio aveva appellato sul punto, indicando che si trattava di spese non documentate e non inerenti, e quindi da ritenere indeducibili.
In effetti la CTR non si è espressa su questo tema. La mera affermazione finale, secondo cui la sentenza della CTP va “ritenuta fondata a tutti gli effetti”, non appare idonea a fare ritenere che con questo abbia coperto la questione dei costi indeducibili. La questione dei costi appare, infatti, ben distinta dall’altro elemento su cui si fonda l’accertamento, è cioè la determinazione dell’avviamento. In altri termini, risulta in atti che l’accertamento di specie si fonda su due elementi . 1) determinazione della plusvalenza 2) costi non deducibili, per cui affrontare il primo non vuol dire esaurire implicitamente anche il secondo. Il primo motivo è, dunque, fondato, essendo stato correttamente proposto ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. (si veda, al riguardo, sez. VI-5, n. 11801 del 2013) e ciò comporta l’assorbimento del secondo motivo che, in sostanza, ripropone la medesima questione sotto il profilo della insufficiente motivazione, Peraltro, anche a voler ritenere che, confermando la sentenza di primo grado, la CTR abbia inteso confermarla anche nella parte relativa al riconoscimento dei costi, allora una simile motivazione si espone alla valutazione di non sufficienza, non potendosi la stessa esaurire nella mera affermazione per cui la sentenza di primo grado va confermata, perché ciò non rende possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario, per ritenere valida la motivazione “per relationem”, che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio (Sez. IV, n. 21978 del 2018). Il terzo motivo è ugualmente fondato: occorre premettere che la situazione del caso di specie appare opposta alla tematica classica su questo argomento. Mentre, infatti, la questione del rapporto tra accertamento ai fini dell’imposta di registro ed imposte sui redditi viene in rilievo, di norma, quando l’accertamento ai fini della prima evidenzia un valore più alto di quello dichiarato ai fini delle seconde dal venditore del bene, nel presente caso si deduce che, evidentemente, il valore ai fini dell’imposta di registro fosse più basso di quello accertato ai fini delle imposte dirette e che la CTP (confermata dalla CTR) abbia concluso nel senso che il primo valore, divenuto definitivo, vincolasse l’amministrazione anche ai fini delle seconde.
Non può, al riguardo, non rilevarsi che nel 2015 è intervenuta sul tema una norma ritenuta di interpretazione autentica applicabile retroattivamente, l’art. 5, comma 3, d.Ivo 147 del 2015, secondo cui:
gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347
Questa Corte (Sez. V, n. 27614 del 2018) si è espressa sul rilievo di tale norma affermando che, più precisamente, alla luce del principio secondo cui nell’accertamento delle imposte sui redditi, «l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo; che il riferimento contenuto nella detta norma all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l’IRPEF (corrispettivo)» (Cfr. Cass. n. 19227/2017, Cass. n. 12265/2017);
Alla luce di ciò, allora, la nuova norma legittima ancora di più “l’accertamento dell’ufficio, perché, in sostanza, esprime il principio per cui l’accertamento ai fini delle imposte dirette non si può basare solo sul valore accertato ai fini dell’imposta di registro, perché il presupposto dell’imposta di registro è il valore del bene, mentre quello dell’imposizione diretta è il reddito derivante dalla cessione. Trasferendo tale principio nel caso concreto, vincolare l’accertamento ai fini delle imposte dirette al valore determinato ai fini dell’imposta di registro, anche se si risolve a favore del contribuente, non appare comunque corretto; l’ufficio è libero di determinare il maggior reddito.
Va anche rilevato come, in ogni caso, il concetto espresso dalla CTR secondo cui “i valori ascrivibili ai beni in contestazione non possono diversificarsi in ragione del tributo applicabile” appare errato, alla luce dei principi sopra esposti. La norma, piuttosto, sostiene proprio che occorre non assimilare i due valori.
Anche il terzo motivo deve, pertanto, essere accolto.
La sentenza impugnata deve, in conclusione, essere cassata, con rinvio della causa alla CTR della Lombardia anche per la pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
Accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese.
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