CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 marzo 2019, n. 6865
Tributi – Imposte sui redditi ed IVA – Accertamento – Rettifica costi per operazioni oggettivamente inesistenti – Servizi di facchinaggio – Ditta “cartiera” – Elementi distintivi
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento, rettificava la dichiarazione dei redditi, relativa all’anno d’imposta 2004, presentata dalla società F. B. S.r.l., recuperando a tassazione maggiori imposte ai fini IRES, IRAP ed I.V.A.
L’atto impositivo traeva origine da una verifica della Guardia di Finanza di Fondi dalla quale era emerso che la società aveva contabilizzato e dichiarato costi relativi ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti derivanti da fatture emesse dalla ditta individuale E. S., esercente attività di facchinaggio e movimentazioni merci all’interno del mercato ortofrutticolo di Fondi, risultata impresa cd. “cartiera”.
Proposto ricorso dalla società contribuente, la Commissione tributaria provinciale lo accoglieva con sentenza che veniva impugnata dall’Ufficio per carenza di motivazione.
La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello, affermando che le censure rivolte alla sentenza di primo grado erano generiche, dato che il rapporto di lavoro tra la I. S.r.l. e la ditta individuale E. S. era stato provato che fosse maturato “a conclusione di un iter interlocutorio avvenuto per corrispondenza e conclusosi con la stipula di un atto privato che disciplinava diritti e doveri”.
Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza l’Agenzia delle Entrate, con un unico motivo.
La società F. B. S.r.l., pur risultando ritualmente intimata, non ha svolto attività difensiva.
Considerato che
1. Con un unico motivo, la difesa erariale censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione circa fatti controversi decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., sia in ordine alla valutazione della esistenza di elementi indiziari di fittizietà delle operazioni, sia in ordine alla valutazione delle prove.
La ricorrente, ritrascrivendo la motivazione dell’atto impositivo, nel quale erano stati posti in rilievo gli elementi indiziari sulla base dei quali i verificatori avevano ritenuto che la ditta individuale E. S. non potesse essere considerata operante, perché sprovvista di mezzi e di autorizzazione del Mercato Ortofrutticolo, indispensabili per svolgere l’attività di facchinaggio e movimentazioni merci, lamenta che la Commissione regionale ha motivato la decisione in modo inadeguato e superficiale, senza tenere conto degli elementi offerti dall’Amministrazione a supporto della ripresa a tassazione.
Deduce, in particolare, che la sentenza è affetta da vizio motivazionale nella parte in cui si afferma: “il fatto che il sig. E. S. sia un soggetto poco raccomandabile non inficia la regolarità della contabilità della società non contestata dall’Ufficio. Il rapporto di lavoro intercorso tra la società “F. B. s.r.l.” e detto E. è stato provato essere maturato a conclusione di un iter interlocutorio avvenuto per corrispondenza e conclusosi con la stipula di un atto privato che disciplinava diritti e doveri. Quindi l’appellato ha fornito gli elementi per fugare il pensiero dell’Ufficio che il tutto si sia verificato fittiziamente”; sostiene che, anche laddove si volesse ritenere che la sentenza contenga un accertamento sulla effettività dell’operazione commerciale portata in deduzione (per le imposte dirette) ed in detrazione d’imposta (per l’iva) dalla contribuente, tale accertamento non sarebbe supportato da idonea spiegazione logico-giuridica.
Osserva, al riguardo, che la dimostrazione dell’effettività delle prestazioni non può essere ricavata dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che rappresentano un mero elemento indiziario da valutarsi unitamente a tutte le altre risultanze processuali.
2. La censura è fondata.
3. Va ribadito che, secondo la giurisprudenza che si è andata consolidando sulla problematica relativa alla detraibilità dell’I.V.A. ed alla deducibilità dei costi nel caso di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto e alla deducibilità dei costi in essa annotati, per cui spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto.
Tale prova può essere fornita anche mediante elementi indiziari e presuntivi, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 6/6/2012).
Pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ossia sia mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi, contesti anche l’indebita detrazione dell’I.V.A. e la deduzione dei costi, ha l’onere di provare che l’operazione fatturata non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari (Cass. n. 20059 del 24/9/2014; n. 15741 del 19/9/2012; n. 27718 del 11/12/2013; n. 9363 del 8/5/2015; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C- 439/04; 21 febbraio 2006, C- 255/02; 21 giugno 2012, C. 80/11); a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tale ultima prova non può tuttavia consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili o vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 17619 del 5/7/2018; n. 5406 del 18/3/2016; n. 18118 del 14/9/2016; n. 28683/15; n. 428 del 14/1/2015; n. 12802 del 10/6/2011; n. 15228 del 3/12/2001).
Con spefico riferimento all’I.V.A., inoltre, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta non può in alcun modo farsi discendere – anche sul piano probatorio – dal solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’operazione all’impresa, che è certamente mancante in relazione al pagamento dell’I.V.A. corrisposta per operazioni (anche parzialmente) inesistenti, in quanto di per sé inidoneo a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività dell’impresa, ed anzi potenziale espressione di detrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. n. 735 del 19/1/2010; n. 6973 del 8/4/2015).
4. Tutto ciò premesso in linea generale, nella specie, dalla motivazione dell’atto impositivo impugnato, che richiama il p.v.c. della Guardia di Finanza – riportato in ricorso in omaggio al principio di autosufficienza – si evince che l’Amministrazione aveva posto in risalto che la ditta individuale E. S., che aveva emesso le fatture oggetto di contestazione, poteva essere considerata quale impresa cd. “cartiera, in quanto : a) aveva omesso il versamento di imposte dirette ed indirette; b) non era in possesso di beni strumentali, di attrezzature e macchinari idonei allo svolgimento dei servizi di facchinaggio e movimentazioni merci; c) non aveva mai avuto dipendenti; d) nell’anno 2003 non aveva contabilizzato, né dichiarato alcun costo di gestione, pur avendo emesso numerose fatture per un imponibile complessivo di euro 288.020,00; e) non aveva mai avuto una sede aziendale e/o amministrativa; f) nell’anno 2004 aveva contabilizzato solo dodici fatture per prestazioni di servizi di movimentazione, carico e scarico merci da altra ditta (Laureiti Johnny), risultate oggettivamente inesistenti; la ditta risultava inoltre sprovvista della prescritta autorizzazione necessaria per lo svolgimento di servizi di facchinaggio e di movimentazione merci all’interno del Mercato ortofrutticolo di Fondi.
5. Nell’atto di appello, di cui è stato trascritto uno stralcio in ricorso, l’Agenzia delle Entrate ha nuovamente evidenziato i suddetti elementi indiziari, sottolineando che il soggetto emittente le fatture non possedeva le capacità tecniche e materiali, né era autorizzato, per svolgere le prestazioni esposte nelle fatture contestate.
6. A fronte di tali elementi indiziari e della circostanza che le fatture allegate al p.v.c. risultavano pagate in contanti, come emerge dalla riproduzione, in ricorso, di una delle fatture, la motivazione della sentenza impugnata risulta assolutamente insufficiente ed inadeguata, perché la Commissione regionale si è limitata ad affermare che la contribuente aveva offerto elementi contrari idonei a dimostrare che le operazioni commerciali oggetto di contestazione non fossero fittizie, valorizzando a tal fine l’esistenza di un contratto privato tra la ditta individuale E. S. e la F. B. s.r.l. e la regolare contabilità della società, omettendo, tuttavia, di prendere in esame i numerosi elementi offerti dall’Ufficio a supporto della dedotta inesistenza delle operazioni commerciali e di spiegare le ragioni per cui detti elementi non fossero di per sé sufficienti a dimostrare la fittizietà delle operazioni ed a determinare il ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente.
La sentenza deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, la quale dovrà procedere, attenendosi ai principi di diritto richiamati al § 3.), a nuovo esame della controversia, nonché alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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