CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 marzo 2022, n. 7443
Tributi – Rivalutazione partecipazioni – Affrancamento – Imposta sostitutiva – Versamento della prima rata – Perfezionamento – Obbligo di versamento restanti rate
Premesso che
P.F. attivò il procedimento per la rivalutazione del valore di una partecipazione azionaria (detenuta nella società T. Group s.p.a.) ai sensi dell’art. 5 della I. 28 dicembre 2001, n. 448, provvedendo al pagamento della prima rata. Al versamento della prima rata non seguì il pagamento delle successive. L’Agenzia delle entrate, dopo un controllo automatizzato sul modello Unico 2005, richiese chiarimenti, cui il contribuente rispose affermando di essere incorso in errore nell’attivazione del procedimento. Ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, chiese peraltro il rimborso della somma versata con la prima rata.
L’Amministrazione finanziaria emise il provvedimento di diniego del rimborso, che fu impugnato dal P.. Seguì anche l’emissione e la notificazione della cartella di pagamento con cui l’Amministrazione finanziaria pretese la corresponsione degli importi delle rate restanti, oltre interessi e sanzioni. Anche la cartella erariale fu impugnata dal contribuente.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Treviso, previa riunione dei ricorsi, li respinse con sentenza n. 106/06/2009. L’appello proposto dal P. dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto avverso la suddetta pronuncia esitò nella sentenza n. 101/14/2010, che confermò le statuizioni di primo grado. Il giudice regionale non condivise i motivi del contribuente, che aveva insistito sull’erronea attivazione del procedimento regolato dalla I. 448 del 2001 e sulla riconoscibilità dell’errore.
La sentenza della Commissione regionale fu censurata dal P. con sette motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Equitalia è rimasta intimata.
Nelle more del giudizio il contribuente ha depositato istanza con cui ha dichiarato di volersi avvalere della definizione agevolata delle controversie, introdotta dall’art. 6 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119. Con ordinanza emessa all’esito dell’udienza pubblica del 28 gennaio 2019, ricorrendo i requisiti previsti dalla normativa, il giudizio è stato sospeso. Tuttavia non è seguita alcuna concreta attivazione del procedimento medesimo, così che, fissata l’adunanza camerale del 24 novembre 2021, ritualmente comunicata alle parti, la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che
Deve preliminarmente escludersi che la controversia trovi definizione con l’applicazione della disciplina introdotta dal d.l. n. 119 del 2018, tanto ai sensi dell’art. 6, quanto dell’art. 3. Dopo l’enunciazione della volontà di volersi avvalere del procedimento di definizione agevolata della controversia, manca agli atti ogni riscontro della attivazione della procedura medesima, anche ai sensi dell’art. 3 del medesimo d.I., trattandosi allo stato di carico affidato all’agente della riscossione.
Esaminando dunque il merito, con il primo, il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., vizi di omessa pronuncia con riguardo: 1) ai motivi d’appello relativi alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del giudice di primo grado, che avrebbe «introdotto nel processo considerazioni fattuali e giuridiche chiaramente estranee ed esterne al thema decidendum»; 2) alla confusione tra l’assetto civilistico e quello fiscale dell’operazione, operata dalla commissione provinciale nella costruzione della motivazione; 3) al contrasto della sentenza di primo grado «sotto molteplici profili» con l’art. 179 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
I tre motivi sono inammissibili per difetto di specificità. Il ricorrente ha descritto in maniera generica il contenuto dei motivi d’appello rispetto ai quali denuncia l’omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado e, soprattutto, considerata la natura argomentativa delle relative censure, non ne ha chiarito la relazione con le statuizioni effettivamente adottate e motivate dal giudice d’appello. Dalla pronuncia impugnata si evince infatti che il fatto è stato ricostruito in relazione a dati essenziali conformi a quelli esposti in questa sede dal contribuente, inquadrando a sua volta l’opzione fiscale sostitutiva in termini anche civilistici, e considerando indifferente, ai fini del perfezionamento della medesima opzione, l’eventuale successiva cessione delle partecipazioni, e quindi la normativa fiscale a quest’ultima applicabile.
A fronte del contenuto della sentenza della commissione regionale i primi tre motivi del ricorso, così come formulati, piuttosto che evidenziare altrettante effettive omissioni di pronuncia da parte del giudice a quo, paiono lamentare la mancata condivisione, da parte del giudice regionale, delle argomentazioni addotte dall’appellante al fine di pervenire ad una diversa ricostruzione in diritto della fattispecie tributaria controversa. Peraltro tali argomentazioni sono riproposte dal ricorrente con gli ulteriori motivi di ricorso.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della l. n. 448/2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice a quo ritenuto che l’opzione relativa alla rivalutazione delle partecipazioni, con applicazione dell’imposta sostitutiva, si fosse perfezionata a seguito del versamento, da parte del contribuente, della sola prima rata, con conseguente esclusione del diritto al rimborso di quest’ultima e con diritto dell’Ufficio di pretendere altresì il versamento delle due ulteriori rate. Il motivo va trattato unitamente al quinto, con il quale, sebbene formulato in relazione alla rubrica dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenzia un contenuto analogo al quarto, esprimendo censure alla motivazione della sentenza impugnata in punto di diritto.
Ambedue i motivi sono infondati. La decisione della commissione tributaria regionale veneta, nel ritenere che la redazione della perizia giurata di stima ed il pagamento della prima rata dell’imposta sostitutiva siano sufficienti a perfezionare definitivamente l’opzione fiscale sostitutiva, appare conforme a quanto già ritenuto, nella stessa materia, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’art. 81 (ora 67), comma 1, lett. c) e c-bis), del d.P.R. n. 917 del 1986, per il perfezionamento della procedura di rideterminazione del valore di acquisto di partecipazioni prevista dall’art. 5 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, non assume alcuna rilevanza la compilazione del quadro “RT” della dichiarazione dei redditi, ma ha rilievo decisivo la redazione della perizia giurata di stima, nonché l’assoggettamento all’imposta sostitutiva del valore così definito – attraverso il versamento, nei termini indicati dalla normativa, dell’intero importo o, nel caso di rateizzazione, anche della sola prima rata – sicché, a seguito di tale manifestazione unilaterale di volontà del contribuente, portata a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria, si produce l’effetto della rideterminazione del valore della partecipazione, non più unilateralmente revocabile (cfr. Cass., 20 febbraio 2015, n. 3410; vedi anche 12 marzo 2018, n. 5981).
Inoltre, questa Corte ha chiarito che: « […] devesi poi escludere che le circostanze dedotte siano idonee a rendere indebito il versamento di imposta sostitutiva, trovando questa causa necessaria e sufficiente in sé stessa, ossia nella stessa scelta liberamente operata dal contribuente di accedere alla opzione offertagli dal legislatore, bensì nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti probabilmente dovuta sulla plusvalenza non affrancata, ma senza che sia affatto richiesto che tale vantaggio sia effettivamente conseguito, potendo persino mancare la cessione stessa quale fattore generatore di una plusvalenza tassabile e, a fortiori, non potendo assumere rilievo la circostanza che quest’ultima risulti al momento della cessione, comunque, per qualsiasi altro motivo irrealizzabile » (Cass. 2 febbraio 2017, n. 19215; 12 marzo 2018, n. 5981). Deve pertanto affermarsi che in tema di imposta sostitutiva ex art. 5 l. n. 448/2001, la scelta del contribuente di optare, con il versamento anche solo della prima rata dell’imposta sostitutiva, per la rideterminazione del valore delle partecipazioni, costituisca atto unilaterale, dichiarativo di volontà e recettizio che, giunto a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria attraverso il pagamento, in base ai principi generali di cui agli artt. e 1334 e ss. cod. civ., non può essere revocato unilateralmente dal contribuente e produce l’effetto della rideterminazione del valore della partecipazione (Cass. 24 agosto 2018, n. 21049), facendo sorgere l’obbligazione di effettuare i successivi versamenti.
È quindi irrilevante, nel caso di specie, al fine di ritenere perfezionata la scelta del contribuente, che il risparmio sull’imposta ordinaria non si sia verificato, a detta del ricorrente, poiché quest’ultima non sarebbe stata dovuta in ragione del regime di neutralità fiscale riconosciuto al successivo conferimento delle partecipazioni.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. n. 448/2001, degli artt. 1428, 1429 e 1431 cod. civ., nonché degli artt. 1362 e 1366 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., censurando la sentenza del giudice d’appello perché, una volta ritenuta perfezionata l’opzione per la rivalutazione già con il pagamento della prima rata dell’imposta sostitutiva, ha escluso che la relativa volontà manifestata dal contribuente fosse viziata da errore essenziale e riconoscibile (in base ai criteri di interpretazione del contratto), ossia dalla convinzione, fondata sull’ignoranza degli artt. 178 e 179 del d.P.R. n. 917 del 1986, che il successivo conferimento delle partecipazioni all’estero avrebbe generato una plusvalenza la cui tassazione ordinaria sarebbe stata meno conveniente di quella sostitutiva prescelta.
Anche questo motivo è infondato. Questa Corte ha già espresso «il principio, valido per qualsiasi ipotesi di condono fiscale e nella specie applicabile per evidente analogia alla questione in esame, per la natura agevolativa dell’istituto della rivalutazione, secondo il quale la dichiarazione di volersi avvalere di una determinata definizione agevolata non ha natura di mera dichiarazione di scienza o di giudizio, come tale modificabile, ma integra un atto volontario, frutto di scelta da parte del contribuente, i cui effetti sono previsti dalla legge, sicché, una volta presentata, è irrevocabile e non può essere modificata dall’Ufficio, né contestata dal contribuente per un ripensamento successivo, ma solo per errore materiale, manifesto e riconoscibile e consistente nella discordanza, immediatamente rilevabile nel testo dell’atto, tra l’intendimento dell’autore e la sua materiale realizzazione e non può consistere in un ripensamento successivo alla dichiarazione (Cass. n. 15295 del 2015; Cass. n. 3301 del 2014; Cass. n. 15172 del 2016)» (Cass. 8 giugno 2018, n. 14947).
Nel caso di specie il contribuente non ha evidenziato alcun errore materiale, né tale errore di diritto potrebbe comunque qualificarsi come riconoscibile da parte dell’ufficio, ai sensi dell’art. 1431 cod. civ., al momento del perfezionamento della scelta della rivalutazione (e dunque al momento del versamento della prima rata dell’imposta sostitutiva o dell’intero importo se in unica soluzione), esulando del tutto dalla fattispecie legale astratta dell’art. 5 l. n. 448/2001 la identificazione dell’operazione finanziaria, che il contribuente avrebbe inteso porre in essere ed in funzione della quale si era determinato al pagamento della imposta sostitutiva.
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quanto ai vizi propri della cartella impugnata.
Il motivo è fondato. Infatti, la motivazione adottata sul punto dal giudice a quo – «Quanto alla cartella di pagamento non sono ravvisabili i vizi riportati nell’appello posto che sono state rispettate le varie disposizioni di legge» – è effettivamente assente o apparente, poiché ha apoditticamente condiviso la decisione di primo grado, ma non ha illustrato, neppure sinteticamente, le ragioni per cui ha inteso confermarla e per cui ha disatteso i motivi di appello, che neppure per implicito sono stati vagliati.
All’esito del giudizio segue dunque la cassazione, nei limiti del motivo accolto, della sentenza impugnata, con rinvio al giudice a quo affinché si pronunci sui denunciati vizi propri della cartella impugnata.
P.Q.M.
Accoglie il settimo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo, rigetta il quarto, il quinto ed il sesto motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, cui demanda, in diversa composizione, di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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