CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 marzo 2022, n. 7457
Tributi – Accertamento – Esercizio abusivo dell’attività di tassista via acque interne – Determinazione presuntiva di ricavi – Legittimità – Imponibilità ai fini Irpef – Sussiste – Assoggettamento ad Irap – Esclusione
Rilevato che
M.C. ha proposto ricorso avverso la sentenza 236/24/2015, depositata il 22 gennaio 2015 dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, che aveva confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso introduttivo avverso l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con cui era stato rideterminato il reddito del contribuente relativo all’anno d’imposta 2006, ai fini Irpef ed Irap.
Con l’atto impositivo l’Amministrazione finanziaria aveva riconosciuto ricavi, relativi all’attività di tassista via acque interne in Venezia, accertati nella misura di € 142.877,00. Per l’effetto al contribuente era stato attribuito il maggior reddito di € 78.839,00, a fronte di € 8.645,00 dichiarati, con l’atto impositivo fu dunque richiesto il pagamento di maggiori imposte, oltre interessi e irrogazione di sanzioni.
Dalla decisione si evince che l’accertamento era stato promosso per l’incoerenza dei ricavi e compensi dichiarati rispetto alle spese fisse (€ 12.412,52), superiori all’imponibile dichiarato. L’Amministrazione pertanto aveva avviato un accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia che, con sentenza n. 135/05/2013, aveva rigettato integralmente le ragioni del contribuente. All’esito dell’appello, con la sentenza ora impugnata, la Commissione tributaria regionale aveva solo ridotto l’imponibile accertato (riconoscendo i maggiori ricavi nell’importo di € 57.642,00), confermando per il resto le statuizioni di primo grado. In particolare, il giudice regionale ha ritenuto che gli elementi utilizzati dall’Ufficio, per pervenire alle conclusioni rifuse nell’avviso di accertamento, nella loro unitarietà costituissero presunzioni gravi precise e concordanti.
Quanto all’Irap, ha ritenuto dirimente, in ordine alla assoggettabilità del contribuente, la circostanza che il B. si fosse servito delle strutture della Cooperativa di cui era dipendente, senza che rilevasse che di tale attività (abusiva) la cooperativa medesima non ne fosse a conoscenza.
Il contribuente ha censurato la sentenza con due motivi, chiedendo la cassazione della decisione. L’Agenzia delle entrate ha irritualmente depositato un “atto di costituzione” al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Nell’adunanza camerale del 27 gennaio 2022 la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma, 1, lett. d), e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., quanto al malgoverno delle prove presuntive. Ha sostenuto che gli indizi posti a base dell’accertamento fossero privi dei requisiti della precisione, gravità e concordanza. A tal fine ha criticato i dati e le notizie raccolte dall’Ufficio, desunte a suo dire da riscontri errati e privi di conferma. Ha pertanto insistito nell’evidenziare l’assenza di riscontri oggettivi a supporto dell’avviso d’accertamento.
Il motivo è inammissibile perché le lunghe pagine in cui si sviluppa sono tutte indirizzate a contestare l’attività accertativa dell’Agenzia delle entrate, senza alcun formale e sostanziale riferimento alla motivazione della sentenza, che, in un giudizio a critica vincolata, qual è il giudizio di legittimità, deve costituire l’oggetto delle censure. Tutte le ragioni finalizzate ad inficiare le prove presuntive utilizzate dall’Amministrazione finanziaria sono indirizzate all’avviso d’accertamento, non alla pronuncia impugnata, li motivo pertanto, pur formalmente ricondotto nell’alveo dell’errore di diritto sostanziale della sentenza, anziché rilevare i vizi di questa, si risolve nel tentativo di una rivalutazione nel merito dei fatti di causa, come giudizio di fatto, che tuttavia è inibito in sede di legittimità.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. degli artt. 39, comma, 1, lett. d), e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., quanto al riconoscimento della assoggettabilità ad IRAP del contribuente. La doglianza è proposta sotto il duplice profilo della rilevanza degli elementi acquisiti in sede d’accertamento ai fini della individuazione del requisito della organizzazione dell’attività del contribuente, nonché della omessa motivazione su quel “quid pluris” richiesto dal concetto di “organizzazione”, rilevante ai fini dell’assoggettamento all’Irap. Va chiarito che presupposto per l’assoggettamento all’imposta è «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla …. prestazione di servizi” (art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n, 446), applicabile anche alle “persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del predetto testo unico (ndr. d.P.R. n. 917/1986) esercenti arti e professioni, di cui all’art. 49 comma 1, del medesimo testo unico>> (art. 3, lett. c, del d.lgs. n. 446/1997).
Quanto al significato di “autonoma organizzazione” già la Corte Costituzionale, con sentenza n. 156 del 2001, aveva puntualizzato che l’imposta incide su un fatto economico diverso dal reddito, cioè su quel quid pluris aggiunto dalla struttura organizzativa alla attività professionale, tale da costituire un indice di capacità contributiva idonea a giustificare l’assoggettamento al tributo, il che non implica alcun limite quantitativo, di prevalenza o meno rispetto al lavoro autonomo esercitato, bensì semplicemente un giudizio di valore sulla idoneità di quella organizzazione a potenziare le possibilità produttive del professionista. La Corte di legittimità ha esplicitato la nozione di autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, riconoscendola ai fini IRAP quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (in tal senso già cfr. Cass., 16 febbraio 2007, n. 3676; 28 novembre 2014, n. 25311). Nel perimetrare ulteriormente l’assoggettamento ad Irap del lavoratore autonomo le Sezioni unite, da ultimo intervenute, hanno affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto quale presupposto dell’imposta dall’art. 2 cit., non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione implicchi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Sez. U, 10 maggio 2016, n. 9451).
La Corte ha anche affermato che per la soggezione ad IRAP dei proventi del professionista autonomo è necessario che la struttura organizzata, di cui questi si avvalga, faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo, in conseguenza non riconoscendo ad esempio la soggettività passiva all’imposta al professionista che, collaborando presso importanti studi professionali, ne aveva utilizzato la struttura organizzativa, traendone utilità (Cass., 16 febbraio 2017, n. 4080, con riferimento all’attività di avvocato). Si è anche detto che il professionista che svolga l’attività all’interno di una struttura altrui, così difettando di autonomia organizzativa, non è assoggettato all’Irap (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21150).
Con riferimento alla professione di medico generico convenzionato con il SSN si è affermato che la disponibilità di uno studio, avente le caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, rientrando nell’ambito del “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo (Cass., 22027/2017; 13405/2016).
In riferimento all’attività di tassista si è affermato che l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. E a tal fine si è ribadito che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, con esclusione dunque delle ipotesi in cui sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; impieghi peni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (cfr. Cass., 13 ottobre 2010, n. 21123).
L’accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
Questi gli approdi ermeneutici della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie il giudice tributario d’appello si è limitato ad affermare che «il ricorrente indubbiamente si è servito delle strutture della Cooperativa nell’effettuare il servizio di trasporto via acque, e l’obiezione che l’attività veniva esercitata all’insaputa della società per escludere il supposto utilizzo non è rilevante se si consideri che il comportamento evasivo del ricorrente è risultato generalizzato tra i motoscafisti….». La motivazione non ha fatto applicazione dei principi dispensati da questa Corte in tema di assoggettabilità ad Irap del lavoratore autonomo o del piccolo imprenditore, comunque voglia qualificarsi l’esercente del servizio taxi. Non è stato rappresentato quali strumenti, oltre il motoscafo per l’esercizio dell’attività di noleggio, fossero nella disponibilità del B., non é dato comprendere se effettivamente questi fruisse dell’organizzazione della cooperativa, della quale figurava quale dipendente. Per antecedente logico non è stato chiarito in che posizione il ricorrente si ponesse con la cooperativa, al fine di verificare se l’organizzazione della cooperativa facesse in qualche modo capo al medesimo. Manca insomma nella sentenza qualunque riscontro del se e in quali modalità il B. esercitasse la propria attività, se cioè avvalendosi di una organizzazione autonoma, di strumenti e/o di persone, sufficiente, secondo la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 446 del 1997, a identificare un soggetto assoggettabile o meno.
Il motivo va dunque accolto e la sentenza, in relazione al motivo accolto, va cassata e rinviata alla Commissione tributaria regionale del Veneto, perché, in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del giudizio di legittimità, riesamini l’assoggettabilità del B. ad Irap, facendo applicazione dei principi dispensati da questa Corte in materia.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo. Cassa la decisione in ragione del motivo accolto e rinvia il giudizio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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