CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 novembre 2018, n. 28634
Superamento periodo di comporto – Sottrazione mansioni di capo reparto – Dequalificazione
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo proposto da C.C. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale era stata confermata l’ordinanza emessa nel giudizio a cognizione sommaria e rigettata la domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimato da A. s.p.a. il 30 gennaio 2013 per superamento del periodo massimo di 180 giorni di malattia nell’anno solare. La Corte d’appello, per quello che qui ancora rileva, confermava la sentenza del primo giudice che aveva disatteso la tesi della lavoratrice secondo la quale la malattia che aveva determinato l’assenza sarebbe stata causata dall’illegittimo dimensionamento originato dalla sottrazione delle mansioni di capo reparto.
2. La Corte territoriale argomentava che la C. era stata assunta come allieva caporeparto e al termine del periodo formativo non aveva superato la valutazione per l’assegnazione della relativa qualifica, né ella aveva mai censurato la valutazione negativa sul piano formale. Riteneva poi che la valutazione globale delle prove testimoniali consentisse di confermare il giudizio del Tribunale, secondo il quale le mansioni di fatto disimpegnate dall’appellante non erano assimilabili a quelle di caporeparto, non avendone la pienezza di poteri e la responsabilità, che nel caso erano assunte dal caposettore. Negava infine che la posizione ricoperta, di caporeparto senza poteri decisionali né responsabilità di risultati, risultasse deteriorata per effetto della proposta e non pienamente eseguita attribuzione delle mansioni di addetta alle vendite ed alla rilevazione dei prezzi, che risultavano compresi nelle mansioni di caporeparto, pur non costituendone elemento predominante.
2. Per la cassazione della sentenza Concetta C. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui A. s.p.a. ha resistito con controricorso. La C. ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.
Considerato che
1. come primo motivo, la ricorrente deduce violazione falsa applicazione dell’articolo 2103 del codice civile e sostiene che la circostanza di non essere mai stata formalmente inquadrata come caporeparto sarebbe del tutto irrilevante rispetto al denunziato dimensionamento e dequalificazione, occorrendo accertare se le mansioni assegnate fossero o meno equivalenti a quelle precedentemente svolte nonché corrispondenti al terzo livello del C.C.N.L. del terziario distribuzione e servizi.
2. Come secondo motivo, deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio è stato oggetto di discussione fra le parti, motivazione apparente e motivazione contraddittoria e lamenta che la Corte d’appello non abbia comparato le mansioni assegnatele dall’assunzione sino al mese di aprile 2012 con quelle successive di sistemazione della merce sugli scaffali (addetta alle vendite) svolte sino al licenziamento.
3. Come terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 416 c.p.c. in relazione all’articolo 2103 c.c. e all’articolo 2697 CC. e sostiene che la natura delle mansioni svolte sino al 2012 come descritte nel ricorso non sarebbero state contestate dalla controparte.
4. La valutazione del giudice di merito ha fatto corretta applicazione dell’art. 2103 c.c. (nel testo anteriore alla modifica apportata dall’art. 3, comma 1, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, operante ratione temporis ) in quanto, come risulta dallo storico di lite riportato, ha valutato non solo la qualifica formalmente attribuita, ma anche le mansioni svolte di fatto, sia anteriormente che posteriormente al 2012, ritenendole coerenti con il livello professionale raggiunto dalla C. di allieva caporeparto e tali da consentire l’ utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dalla dipendente; ha poi escluso che la temporanea attribuzione dopo il colloquio valutativo del 2012 di alcuni soltanto dei compiti caratterizzanti la posizione complessiva raggiunta fosse idonea a determinare una dequalificazione.
Nel far ciò, ha condiviso la valutazione del primo giudice quale risultata all’esito del dibattito processuale e tenendo conto del complesso delle risultanze istruttorie.
5. I motivi dunque, al di là della rubrica formulata, pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, mirano in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito e chiedono che venga svolto un nuovo giudizio di equivalenza in merito alle mansioni assegnate alla C. e da lei espletate che la Corte di merito, confermando il giudizio del primo giudice, ha già effettuato e riportato con motivazione congrua. Essi incorrono quindi in violazione della previsione del quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ. (v. Cass. n. 5528 del 10/03/2014, n. 26774 del 22/12/2016) e chiedono un vaglio di legittimità che esorbita dai limiti delineati da Cass. S.U 07/04/2014, n. 8053 e 8054 (v., in caso analogo, Cass. n. 8758 del 04/04/2017).
6. Per tali motivi il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile e debba essere in tal senso deciso con ordinanza
in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 1, cod. proc. civ.
7. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.
8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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