CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 ottobre 2020, n. 21702
Tributi – Imposta di registro – Sentenza di condanna in solido di un correntista e dei suoi fideiussori – Restituzione somme di scoperto su conto corrente bancario – Operazioni soggette a regime di esenzione IVA – Imposta di registro in misura fissa – Legittimità
Ritenuto che
1. con sentenza n. 3587/18/16, depositata il 12 aprile 2016, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla BNL S.p.A. avverso la sentenza n. 24662/15/14 della CTP di Napoli, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione con cui era stato richiesto il pagamento in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, dell’imposta di registro dovuta in relazione ad una sentenza di condanna in solido, di un correntista e dei suoi fideiussori, alla restituzione di un finanziamento e relativi interessi;
3. la Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso con cui la Banca ricorrente aveva lamentato un difetto di motivazione dell’atto, per mancata allegazione della sentenza, e dedotto l’applicazione dell’imposta in misura fissa, avendo la condanna ad oggetto corrispettivi soggetti ad IVA, quali lo scoperto di un conto corrente bancario;
4. la CTR, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto la legittimità dell’avviso, ritenendo l’imposta di registro correttamente applicata in misura proporzionale in quanto le prestazioni avanzate nei confronti dei fideiussori non erano soggette ad IVA;
5. avverso la sentenza di appello, la Banca ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 11-11-2016, affidato ad un solo motivo; l’Agenzia ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. con unico motivo di ricorso la BNL S.p.A. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 e 1944 c.c., 10, comma 1, n. 1 del d.P.R. n. 633 del 1972, 40 del d.P.R. n. 131 del 1986 nonché dell’art. 8, nota II, della Tariffa allegata al medesimo d.P.R., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., avendo la CTR errato nel ritenere soggetta ad imposta proporzionale la sentenza di condanna del debitore principale, in solido con i fideiussori, al pagamento di corrispettivi soggetti ad IVA.
Osserva che
1. Il ricorso risulta fondato.
1.1 L’avviso di liquidazione impugnato ha ad oggetto una richiesta di pagamento dell’imposta di registro, determinata in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, rispetto ad una sentenza di condanna, emessa sia nei confronti del debitore principale che dei suoi fideiussori in solido, alla restituzione di un finanziamento reso nell’ambito di un rapporto di conto corrente, pacificamente soggetto ad IVA, seppure in regime di esenzione ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 633 del 1972.
1.2 L’art. 8 cit. assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo, in una articolata casistica, fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale.
Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un imposta proporzionale del 3% quelli ” recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; recita poi la nota II allo stesso articolo:” Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1-bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico.”
Secondo il richiamato art. 40, comma 1, “Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa.”
Dal quadro normativo innanzi delineato deriva l’operatività nel nostro sistema tributario del principio della cd alternatività tra l’IVA e l’imposta di registro, che esclude l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale per la registrazione di atti relativi ad operazioni che risultano già assoggettate ad IVA.
La corretta applicazione di tale principio presuppone che in presenza della registrazione di una sentenza di condanna al pagamento di somme venga verificato, preliminarmente, se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.
2. Nel caso in esame è incontroverso, e riconosciuto dalla stessa CTR, che la sentenza abbia ad oggetto un’operazione di finanziamento soggetta ad IVA, quale “prestazioni di servizi” ex art. 3, comma 2, n. 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, ancorché poi esentata dall’imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, esenzione che, tuttavia, secondo consolidata giurisprudenza, non esclude l’applicazione del principio dell’alternatività imposta di registro-IVA (sulla soggezione a IVA delle operazioni esenti vedi l’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, nonché Corte cost. 14 dicembre 2014, n. 279 e 13 luglio 2017, n. 177 e, in particolare, Cass. n. 29385 del 2019; n. 24268 del 2015; n. 9403 del 2007).
2.1 Né si pone un problema di distinzione tra quota capitale e quota interessi, in quanto la sentenza ha ad oggetto una condanna al pagamento di una somma, quale recupero di un finanziamento “oltre interessi convenzionali”.
Sul punto questa Corte ha da tempo affermato che “In tema di imposta di registro, la sentenza di condanna che un istituto di credito ottenga per il recupero delle somme dovutegli per un finanziamento, alla luce del principio di alternatività con l’IVA consacrato nell’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, va sottoposta a tassazione fissa, in base alla previsione della nota II dell’art. 8 della tariffa, parte I, allegata al detto decreto, senza distinzione tra quota capitale e quota interessi, quando questi ultimi non abbiano natura moratoria – come tali esentati, ex art. 15 del d.P.R. n. 633 del 1972, dalla base imponibile IVA, con conseguente applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8 della detta tariffa -, ma siano gli interessi convenzionali, e quindi (con la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale) il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento, trattandosi di prestazioni, ancorché esenti, attratte pur sempre all’orbita dell’IVA.” (Vedi Cass. n. 17276, n. 17277 e n. 27304 del 2017).
2.2 La fattispecie è però resa complessa dalla presenza di fideiussori, sicché in essa convivono più rapporti, ciascuno autonomo e scindibile: quello fra creditore e debitore principale, quello fra creditore e fideiussore, quello fra fideiussore e debitore. In questa sede rilevano, contemporaneamente, il rapporto creditore/debitore principale, che trova il suo titolo nel finanziamento soggetto ad IVA, ed il rapporto creditore/fideiussore, che trova il suo titolo nella fideiussione, dalla quale è derivata la prestazione di garanzia stipulata tra debitore principale e fideiussore in favore del terzo creditore.
3. Precedenti giurisprudenziali inconferenti sono quindi quelli posti dalla CTR a fondamento della sua decisione, relativi al diverso ed autonomo rapporto che sussiste tra fideiussore e debitore, sul quale si registra, da ultimo, la pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 18520 del 2019, che a composizione di un contrasto rimesso con ordinanza n. 33009 del 2018, ha affermato il principio secondo cui :”In tema d’imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato”
Il contrasto vedeva opporsi da un lato un più risalente orientamento, secondo cui “In tema di imposta di registro, rispetto alla sentenza di condanna ottenuta dal fideiussore nei confronti del debitore inadempiente per il recupero di somme assoggettate ad IVA, ai sensi dell’art. 8 della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, trova applicazione l’imposta in misura fissa, atteso che la surrogazione del fideiussore al creditore principale comporta una peculiare forma di successione nel credito e la novazione dal lato soggettivo ma non incide sull’identità oggettiva dell’obbligazione, che conserva la sua natura ai fini tributari” ( vedi Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14000 del 19/06/2014, cfr. anche Cass. n. 16975, 16976, 16307, 16308, 19499 tutte del 2014, nonché Cass. ord. 24/7/2014 n. 16975, 16976, 16977 e da ultimo Cass. n. 19365 del 2018), e dall’altro la posizione dissonante, risultata poi prevalente, secondo cui “In tema d’imposta di registro, al decreto ingiuntivo ottenuto dal garante nei confronti del debitore inadempiente, per il recupero delle somme pagate al creditore principale e soggette ad IVA, è applicabile l’aliquota proporzionale del tre per cento al valore della condanna, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, non avendo spazio il principio di alternatività, in quanto l’obbligo azionato con tale pretesa, da un lato, deriva da un rapporto distinto ed autonomo da quello principale e, dall’altro, non si risolve in un corrispettivo o in una prestazione soggetta all’imposta sul valore aggiunto” (vedi Cass. n. 20262 del 2015; n. 25702 del 2015 e di recente Cass. n. 2551 del 2018).
4. Alla fattispecie controversa deve trovare invece applicazione altro principio acquisito, e mai smentito, secondo cui “La registrazione del decreto ingiuntivo esecutivo ottenuto dal creditore per il pagamento di somme assoggettate ad I.V.A. gode, giusta il principio dell’alternatività previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40 dell’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Il dato secondo cui l’ingiunzione sia emessa contro il solo debitore principale, il fideiussore o entrambi, non soggetti I.V.A. non assume rilievo” (Vedi Cass. n. 9390 del 2007; n. 16098 del 2000; n. 3572 del 1998; n. 9007 del 1992); precedenti che, come constatato anche dal recente arresto delle Sezioni Unite innanzi richiamato,” si riferiscono all’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa al decreto ingiuntivo ottenuto non già dal garante, bensì dal creditore soggetto iva nei confronti del debitore principale, del garante o di entrambi in relazione all’unica operazione” (in motivazione Cass. n. 18520 del 2019).
4.1 In continuità con tale orientamento, ritiene questa Corte che in tali ipotesi l’elemento dirimente ai fini impositivi sia il conseguimento da parte del creditore, soggetto IVA, di un unico titolo esecutivo per il soddisfacimento del proprio diritto, a prescindere dal fatto che tale diritto trovi la sua fonte sia nel rapporto principale con il debitore che in quello di garanzia.
La delineata natura del fatto tassabile comporta, come logico corollario, l’identità del prelievo fiscale, indipendentemente dalla circostanza che l’obbligazione di uno dei debitori discenda da un contratto fideiussorio ed abbia connotazioni di sussidiarietà.
4.2 Decisiva la posizione del creditore, dato che, come si è visto, la tassazione investe il titolo esecutivo dallo stesso ottenuto: se il creditore ha la qualità di “soggetto-IVA”, e se l’adempimento reclamato è riconducibile nell’ambito di una fattispecie che implichi l’insorgenza del suo obbligo di pagare VIVA, come appunto si verifica per chi conceda un prestito di denaro di cui ha diritto alla restituzione, il provvedimento giudiziale assume la consistenza di condanna ad un pagamento sottoposto all’IVA medesima. Tanto basta per giustificare l’operatività del canone della prevalenza dell’IVA sull’imposta proporzionale di registro, atteso che la relativa regola si ricollega al mero assoggettamento di quel pagamento all’IVA, senza che assuma rilevanza la circostanza che la condanna si rivolga contemporaneamente al debitore principale ed al coobbligato solidale, per il quale la fonte dell’obbligo nasce da un rapporto distinto, quale il negozio costitutivo della fideiussione; per il creditore la condanna ha sempre ad oggetto un pagamento sottoposto ad IVA, quale che sia il soggetto tenuto al pagamento (il beneficiario del finanziamento od il terzo che abbia offerto garanzia).
5. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: “In tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, alla sentenza di condanna ottenuta dal creditore sia nei confronti del debitore inadempiente che del fideiussore per il recupero di somme soggette ad IVA, non è applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale bensì, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), nota II della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta in misura fissa, senza che assuma rilievo se la stessa sia emessa contro il solo debitore principale, il solo fideiussore o entrambi, non soggetti IVA.”
6. Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto; segue la cassazione della sentenza impugnata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c. mediante l’accoglimento del ricorso introduttivo.
6.1 Le spese del presente giudizio di legittimità vengono poste a carico dell’Agenzia delle Entrate, con compensazione delle spese del giudizio di merito, attesa la controvertibilità e novità della fattispecie.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso della contribuente;
pone a carico della controricorrente Agenzia le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in € 1.500,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge; compensa le spese del giudizio di merito.
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